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Tina Anselmi, svastica sulla lapide della prima ministra della Repubblica ItalianaUn momento dell'ultima Settimana sociale dei cattolici,analisi tecnica a Trieste COMMENTA E CONDIVIDI La Settimana sociale di Trieste ha riportato al centro dell’attenzione del mondo ecclesiale italiano il tema della democrazia. Di fronte a un passaggio storico nel quale da più parti si mette in evidenza una fatica, se non una crisi, della democrazia come regime politico e forma di organizzazione delle istituzioni pubbliche, i cattolici italiani hanno sentito il bisogno di fermarsi a riflettere e lavorare. Trieste è stata dunque un’occasione di confronto su quelle che sono le fragilità e le potenzialità della democrazia oggi. E questo passaggio che ha coinvolto centinaia di delegati da tutte le diocesi italiane lascia aperta la questione di come dare forma e sostanza alla democrazia in questo secolo. Una sfida, questa, che le giornate di Trieste consegnano al Paese e soprattutto alla sua classe politica, a chi siede nelle istituzioni, a chi ha responsabilità di partito e sceglie di dedicarsi a incarnare la democrazia nella quotidianità.Del resto, la Settimana Sociale ha posto l’accento su alcuni aspetti cruciali della democrazia, a cominciare dal nodo della partecipazione. Quest’ultima è uno dei pilastri di una forma di organizzazione ed esercizio del potere che ambisce ad essere caratterizzata dal primato del “noi” sull’“io” e che si traduce in una diffusione di responsabilità che va al di là del semplice momento elettorale e investe la qualità e la maturità di un discorso pubblico a cui tutti hanno il diritto/dovere di prendere parte. Ora, in un tempo in cui la nostra democrazia conosce un’erosione sistematica della partecipazione, chi esercita una funzione politica è chiamato a porsi il problema di comprendere le ragioni di una dinamica che rischia di minare la natura stessa della democrazia. La richiesta che emerge dai tavoli e dalle proposte che hanno segnato le giornate triestine è quella di tornare ad una politica che sia non solo “per” tutti ma che sia “di” tutti. Questo perché la democrazia vive di quel complesso e però ricchissimo rapporto che lega i cittadini, le realtà sociali, economiche e culturali alle istituzioni attraverso una rappresentanza che è coinvolgimento reciproco, strumento per far sì che tutte le voci concorrano alla costruzione del discernimento politico e delle decisioni conseguenti. Le questioni che oggi segnano il nostro tempo – dall’ambiente alla pace, dall’impatto delle nuove tecnologie allo sviluppo economico e sociale, fino al nodo del governo dei flussi migratori – sono un terreno su cui la democrazia conosce la “concorrenza” di regimi politici che promettono sicurezza in cambio della rinuncia alla libertà, all’equità e alla giustizia.Si è dunque di fronte ad una sfida storica, nella quale occorre pensare alla democrazia come qualcosa di più che un semplice equilibrio di poteri o una specifica procedura legislativa o di governo. La democrazia, in questo secolo, può avere una voce ed essere un punto di riferimento se viene concepita e praticata alla luce di un’idea alta di essere umano. Perché è quando quest’ultimo viene inteso come persona, cioè come soggetto capace di esercitare la propria libertà con responsabilità e però di farlo avendo cura dell’altro, la democrazia torna ad essere chiamata a pensare e operare assieme. Le proposte di legge di iniziativa popolare che Acli e Argomenti2000 hanno elaborato sulla partecipazione e sull’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione rispetto alla democrazia interna ai partiti sono così un tentativo di rimettere la cura per la democrazia al centro dell’attenzione pubblica. In un tempo in cui la guerra torna ad avere il volto crudo del conflitto su larga scala, in cui di fronte a fenomeni di portata storica come la migrazione di decine di milioni di esseri umani prevale la tentazione securitaria, in cui l’esigenza di una cura degli equilibri ambientali deve sposarsi con il bisogno di maggiore equità economica e sociale, la politica italiana e quella europea vengono chiamate in causa dai delegati delle Settimane Sociali di Trieste. A chi porta oggi la responsabilità di pensare e praticare la politica viene così affidata la domanda: siete di nuovo capaci di accostare alla parola “democrazia” la parola “futuro”?Presidente di Argomenti2000
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