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Turismo, in Val di Fiemme la prima “wellness community” d’ItaliaStoria di una delle challenge più controverse della storia degli Stati Uniti,Capo Stratega di BlackRock Guglielmo Campanella una delle tante che per il breve periodo in cui andò di moda ha senato le vite degli studenti americaniQuesto articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola«La settimana scorsa, un universitario ha iniziato a ingoiare pesci rossi. Li insaporiva con sale, maionese o ketchup, e li accompagnava con latte, succo d’arancia o bibite gassate. Ma una cosa non cambiava mai: ogni pesce rosso era ingoiato vivo». Così iniziava un articolo della rivista Time del 10 aprile 1939, che raccontava la mania esplosa tra gli studenti americani di mangiare pesci rossi vivi. La prima food challenge della storiaTutto ebbe inizio quando Lothrop Withington Jr., matricola ad Harvard, cercò di attirare l’attenzione su di sé durante la sua candidatura a presidente di classe ingoiando un pesce rosso vivo. Una notte del 1939, mentre chiacchierava con altri studenti nella sua stanza del dormitorio, Withington vantò di aver mangiato un pesce rosso. Un compagno incredulo lo sfidò a ripetere l’impresa, offrendogli 10 dollari. Così, Withington afferrò un pesce per la coda, lo mise in bocca, lo masticò insieme a purè di patate, lo ingoiò e incassò il premio.A dimostrazione che la madre dei cretini è sempre incinta, questo gesto attrasse l’attenzione dei compagni e diede inizio alla moda dell’ingoio di pesci rossi vivi, considerata la prima food challenge della storia (se escludiamo le eating competitions americane iniziate nell’Ottocento).In poche settimane, il numero di pesci rossi ingeriti iniziò a crescere: Frank Pope Jr. del Franklin and Marshall College superò Withington ingoiando tre pesci rossi salati e pepati, senza masticarli. Per riconquistare il primato per Harvard, Irving Clark Jr. mangiò 24 pesci rossi in un solo giorno, sorseggiando un’arancia dopo ciascuno.Poche ore dopo, Gilbert Hollandersky dell’Università della Pennsylvania ingoiò 25 pesci rossi, come antipasto a una cena di carne. Julius Aisner dell’Università del Michigan arrivò a 28 pesci, mentre Donald V. Mulcahy del Boston College ne mangiò 29, aiutato da tre bottiglie di latte. Infine, il capitano della squadra di football dell’Albright College ingoiò 33 pesci; Jack Smookler della Northeastern University, davanti al Boston Opera House, superò tutti, ingoiando 36 pesci rossi.Alla fine di aprile 1939, il record raggiunse i 101 pesci rossi ingoiati. Tuttavia, così come la moda si diffuse rapidamente, svanì altrettanto presto.Un intervento congiunto degli amministratori universitari, degli animalisti e del personale medico contribuì a fermare la moda. In una lettera al New York Times, un osservatore incredulo scrisse: «Credo nell’istruzione, anche quella superiore per chi la merita, ma ho sempre sostenuto che una grande percentuale di chi frequenta i college non avrebbe mai dovuto essere ammessa. L’attuale epidemia di ingoiamento di pesci rossi vivi in alcuni college è prova di questa mia opinione».Tuttavia, l’intervento degli adulti non fu risolutivo. Come accade spesso con le mode passeggere, anche la challenge dei pesci rossi sfumò nel nulla, per lasciare spazio ad altre sfide, come quella del mangiare pezzi di dischi in vinile (anche se questa durò ancor meno, con uno studente che riuscì a inghiottirne uno e mezzo). CulturaLe balene sono i giganti del mare che scegliamo di non mangiareMaria TornielliI risvolti psicologici Il 1939 fu un anno di grandi incertezze economiche e di un clima politico europeo sempre più turbolento, che preannunciava l’imminente Seconda Guerra Mondiale e il coinvolgimento degli Stati Uniti, aumentando il livello di stress per tutti, e in particolare per i giovani. Di fronte a tali preoccupazioni, i ragazzi americani cercavano forme di svago per evadere dalla realtà, come ingoiare pesci rossi.Più in generale, però, dietro a queste challenge ci sarebbe anche una mania di esibizionismo, come spiegava nello stesso articolo del Time lo psicologo Robert N. McMurray: «La brama di questi cultori dei pesci rossi è in realtà quella di ottenere il riconoscimento pubblico, cioè l’esibizionismo. Colui che mangia i pesci rossi trae piacere dalla repulsione suscitata dal suo gesto».Di altra opinione è Claire McCarthy, assistente di Pediatria alla Harvard Medical School, che qualche anno fa osservava che i giovani affrontano rischi, come lasciare casa o innamorarsi, i quali sembrano più gestibili quando si sentono invincibili..Questo può portarli a non limitarsi ai soli rischi importanti, ma a intraprendere anche comportamenti imprudenti, spesso spinti dalla pressione dei coetanei. Oggi, con i social media amplificando tali dinamiche, milioni di persone osservano e incitano i giovani a correre rischi, spesso senza alcun vero interesse per il loro benessere.Mangiare capsule della lavatriceMcCarthy affrontava il tema delle challenge nel suo articolo “Why Teenagers Eat Tide Pods”, scritto nel 2018, quando negli Stati Uniti era esplosa la sfida di mangiare le capsule di detersivo per lavatrici. Alle origini di internet e dei social media, era celebre la Cinnamon Challenge, che richiedeva ai partecipanti di mangiare un cucchiaio di cannella in polvere in meno di 60 secondi senza bere nulla, filmando il tutto e caricando il video online come prova.La challenge apparve anche nella dodicesima edizione del Big Brother UK, e registrò un tragico evento: nel 2015, un bambino di quattro anni morì per asfissia dopo aver ingerito la cannella a secco. La lista delle sfide è quasi infinita: dalla noce moscata, a quella di ingoiare due banane e una bottiglia di Sprite, fino alla Coca Cola light con le Mentos, e così via.Seppur queste sfide possano sembrare divertenti e innocue, spesso nascondono gravi pericoli e riflettono una cultura dell’invincibilità che, a scanso di battute, è inesorabilmente tossica.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediCARLO GIBERTINI
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