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Indagato trentacinquenne per l'omicidio di Pierina PaganelliAnsa foto di archivio COMMENTA E CONDIVIDI AGGIORNAMENTO DEL 19 OTTOBRE 2021 Era stato denunciato come scomparso il 4 ottobre scorso. Ed è di Antonio Natale,ETF 22 anni, residente nel Parco Verde di Caivano, il cadavere in avanzato stato di decomposizione abbandonato alle porte del comune dell'area Nord della provincia napoletana, nei pressi di un campo rom. Il corpo è stato ritrovato nelle campagne, semi sotterrato, ieri pomeriggio, 18 ottobre. La certezza sull'identità è arrivata in serata grazie ad alcuni effetti personali del giovane che erano accanto al cadavere e a diversi tatuaggi. Nei prossimi giorni sarà effettuata l'autopsia. L'ipotesi è che sia stato ucciso anche se al momento, a quanto si apprende, non c'è certezza che abbia ferite da arma da fuoco.Del ventiduenne Antonio Natale non si hanno notizie dal pomeriggio del 4 ottobre. Una lenta e spietata agonia per la mamma che va gridando la sua disperazione per le strade di Caivano. Grida che “dovrebbero” straziare anche i cuori più induriti; purtroppo, non accade. Antonio non è stato uno stinco di santo, la gente lo sa e trae le sue conclusioni, che, per quanto comprensibili, sono da rigettare. Guai a dire: la colpa è sua; guai a rinunciare al desiderio di legalità; guai a relegare in soffitta la pietà.Sabato scorso un piccolo gruppo di persone - familiari, qualche amico, il parroco, il sindaco, poliziotti in borghese, un consigliere regionale – manifesta per tenere alta l’attenzione sul sequestro di Antonio. Dai balconi tanti fanno capolino, ma non scendono, mentre gli automobilisti brontolano per il traffico intralciato. È accaduto un fatto di una gravità inaudita; una tragedia immane si sta consumando sotto i nostri occhi, ma le reazioni sono strane. Tutti sono convinti che Antonio sia rimasto vittima della “lupara bianca”, metodo primitivo e disumano di far scomparire la vittima, condannando a un ergastolo esistenziale chi gli voleva bene. Niente, nemmeno la certezza della morte deve avere la famiglia dello scomparso. Una sorte di macabra altalena tra speranza e disperazione dovrà accompagnarla negli anni. La “lupara bianca” agisce a diversi livelli: sulla vittima per punirla di qualche sgarro commesso, sui giovanissimi componenti del clan della camorra, perché imparino a essere obbedienti e sottomessi ai capi, sulla società civile per impaurirla e tenerla in ostaggio. Qualcuno dice che siamo ritornati agli anni ’80. Forse è vero, forse no. Dopo aver insanguinato le strade della campania, dopo anni di carcere duro, anche Raffaele Cutolo ha detto addio alla vita. Che vita grama e infelice, la sua. Che sciupio d’ intelligenza, giovinezza, talenti, serenità, gioia di vivere. Che situazioni assurde, macabre, grottesche ha vissuto. Poveraccio, non si accorse che non vale la pena usurpare patrimoni che non potranno mai essere goduti. Io non so se siamo ritornati agli anni ’80, so solo che, ancora una volta, navighiamo in acque burrascose dalle quali non sappiamo uscirne da soli. Inutile girarci intorno, i territori a cavallo delle province di Napoli e Caserta sono un ricettacolo d’ immondizie e di fetori di ogni tipo; in balia di bande camorriste che seminano terrore e morte. Mentire a riguardo sarebbe vergognoso e pericoloso. Le nostre amministrazioni comunali, con gli strumenti e gli uomini che hanno a disposizione, non ce la faranno mai ad assicurare la pace e la legalità. In ogni comune mancano all’appello decine di vigili urbani; nelle caserme dei carabinieri, il personale andrebbe almeno raddoppiato. Queste nuove ondate di camorristi nati a cavallo dell’anno 2000, spaventano per la ferocia e l’inesperienza. Cocaina, sesso, tatuaggi, barba lunga e capelli corti, bella vita, portafoglio zeppo, scarpe e abiti firmati, pesanti catene d’oro al collo, auto e moto a noleggio, pigrizia, pistola in bella mostra, cultura pari allo zero: ecco l’identikit del moderno camorrista. Lo Stato non può lasciare Caivano e i paesi limitrofi nelle loro mani; non può trattare gli italiani in modo disuguale. Al contrario, deve essere più forte e presente laddove l’antistato, si fa più feroce e prepotente. Governo, regione e parlamento dovrebbero temere e tremare, insieme a noi, al pensiero che tanta gente si va convincendo che in fondo è giusto che un quasi ragazzino venga sequestrato, tenuto prigioniero, e forse ucciso, da chi, come lui, è finito nel buco nero della camorra. Ecco, se c’è una cosa che mi fa veramente paura è questa rassegnazione. Mi impressiona chi dice: se l’è cercata, sapeva che sarebbe finita così. Capisco il senso di frustazione della politica locale, non m’interessa trovare capri espiatori, una sola cosa è certa: da soli non ce la facciamo a uscire da questa maledetta storia. Domenica mattina, Noemi, la bambina rimasta gravemente ferita nella sparatoria di due anni fa in piazza Nazionale a Napoli, è venuta a Messa a Caivano con i genitori. Che dolore vedere questo angelo fragile e indifeso, serrato in un busto ortopedico per poter rimanere in piedi. Non deve accadere più. Diamoci da fare. Siamo ancora in tempo. Uniamo le nostre forze per mettere al riparo e assicurare un futuro ai ragazzi dei quartieri a rischio prima che vengano risucchiati e stritolati dal maledetto vortice della camorra disumana.

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