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West Nile, donna di 45 anni punta da zanzara infetta muore dopo tre mesi di agonia: lascia due figlie, il dramma nel VenezianoLa storia di Mario Marfella,VOL primo bagnino italiano in Australia: “Qua al posto dei pattini usiamo le rescue board” Antonio Muglia 21 luglio - 10:59 - MILANO “Il mare italiano non è mai mosso come quello dell’oceano e potrebbe apparire meno pericoloso, ma tanto sicuro non è”. Parola di Mario Marfella, 43 anni, il primo lifeguard italiano a lavorare in Australia, paese dove fare il bagnino è un lavoro tutto l’anno e richiede una preparazione di altissimo livello. Marfella, che è un appassionato surfista e a Sydney e dintorni è molto conosciuto perché partecipa al programma Bondi Rescue, un reality che racconta i loro salvataggi, si trova in queste settimane in Italia e sta promuovendo l’uso della rescue board, una speciale tavola ispirata al surf da onda che viene sistematicamente usata all’estero. merito del surf—  Il Bel Paese ha ancora i pattini, da altre parti si usano invece mezzi più adatti al salvataggio in mare, soprattutto quando ci sono le onde. È una verità risaputa, ma è questa in sintesi la situazione delle coste italiane, sotto il profilo della sicurezza. Paradossi della burocrazia, le cui norme non tengono il passo con le esigenze reali. Basti pensare che i pattini, o mosconi, utilizzati quasi esclusivamente nelle nostre spiagge, sono spesso loro stessi una causa di pericolo, come avvenuto poche settimane fa a Cagliari, dove la Capitaneria di Porto ha dovuto recuperare due bagnini in difficoltà a causa del vento da terra. A sottolineare l’importanza di utilizzare mezzi più adatti è Marfella, che non si stanca mai di promuovere l’uso della rescue board. “È grazie al surf se questa tecnica oggi è quella principale per riscattare le persone in mare – spiega – da sempre siamo noi appassionati surfisti, presenti in acqua con condizioni di mare mosso, i primi ad aiutare i bagnanti in pericolo”. Nasce così questa speciale tavola, un surfboard più grande e con una maggiore galleggiabilità, dotata di corde ai lati dove poter aggrapparsi. E di cui Mario Marfella è un maestro. .bck-image_free_height { position: relative; margin-bottom: 1.6875rem; } .bck-image_free_height .image_size img { height: auto !important; width: 100% !important; } .bck-image_free_height figure{ width:100%; display: table; } .bck-image_free_height img.is_full_image { display: table-row; } Mario Marfella sul posto di lavoro bagnino down under—  Nato Napoli, ma romano d’adozione, Marfella è stato il primo italiano a guadagnarsi un lavoro da lifeguard nelle spiagge australiane. Non un’impresa semplice, perché richiede una lunga preparazione sia sotto l’aspetto teorico, sia sotto quello fisico. Un bagnino qui deve saper nuotare 800 metri in almeno 13 minuti, ma solo se supera questo test accede alla vera prova, la lifeguard mission: un esame massacrante che prevede una combinata di 400 metri di nuoto, 400 metri di corsa e altri 400 metri di nuoto con la tavola, per due volte e in mare, sapendo ovviamente dimostrare di poter riportare a terra una persona. “Da completare in 25 minuti, e ovviamente ha la precedenza chi fa il tempo migliore”, racconta Mario, che, come gli altri colleghi, deve rifare questo test di idoneità ogni anno. Marfella lavora come bagnino in Australia dal 2009 e dal 2014 è a Sydney, in quella che è la spiaggia più affollata e forse conosciuta. “A Bondi ogni giorno entrano ed escono circa cento mila persone e d’estate facciamo dai cento ai duecento salvataggi al giorno”, racconta. Numeri da capogiro che hanno attratto anche una casa di produzione che qui gira Bondi Rescue, un reality che racconta le loro gesta, e di cui Mario è protagonista. Un momento della masterclass. Ph. Fabrizio Biosa masterclass in sardegna—  A Bondi capita di tutto, da situazioni estremamente pericolose a salvataggi che hanno una piega beffarda. “Una volta, durante un recupero con la moto d’acqua, due bagnanti hanno perso il costume e sono tornati a riva nudi”, ricorda. Ma al di là della risata, ogni situazione va presa sul serio. “Qui normalmente recuperiamo almeno due persone alla volta o anche di più, e le situazioni più pericolose, per me e per loro, sono quando siamo vicini alle rocce”. Fondamentale è l’uso della rescue board. “È quello che manca in Italia. Con il pattino uscire in certe condizioni è molto difficile”, precisa. Nelle nostre coste questa speciale tavola non è quasi mai concessa dalle Capitanerie e solo alcune, più sensibili, la autorizzano come attrezzatura ausiliaria. Inoltre, basti pensare che in molti tratti di spiaggia il surf d’estate può essere considerata una pratica vietata.Parti con un gruppo di sportivi come te, scopri i viaggi di Gazzetta Adventure e Tribala all'insegna dello sport e del divertimento nel mondo Marfella nei giorni scorsi ha svolto una masterclass dove ha spiegato come utilizzare la tavola, di cui ha anche sviluppato un modello tutto suo, la MMRescueboard. L'ha fatta a Porto Ferro, in Sardegna, l’unica spiaggia italiana dove in passato ha lavorato come bagnino. Spot famoso del nord dell’Isola, Porto Ferro è anche un luogo insidioso per i bagnanti a causa della grandezza della baia e delle correnti di deflusso, particolarmente forti nelle giornate di swell. Ma qui da oltre vent’anni c’è un servizio di salvamento, operato dalla Vosma, dove si mettono in pratica, oltre ad una massiccia dose di prevenzione, anche mezzi innovativi. Moto d’acqua, quad, e rescue board inclusi. Surf: tutte le notizie Active: tutte le notizie © RIPRODUZIONE RISERVATA

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