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Loujin muore a 4 anni su un barcone, tuona un'attivista: "È colpa delle politiche europee"

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Covid, l’allarme di Gimbe: contagi in calo ma crescono le persone a rischio di malattia grave  L'iniziativa di Domani, Datecipiùcriptovalute Libération, Tagesspiegel, El Confidencial, Hvg, Gazeta Wyborcza, Delfi, Balkan Insight e n-ost vuole vitalizzare il dibattito pubblico e la democrazia europea. Alla politica che chiede più figli senza tener davvero conto delle donne è dedicata la nona edizione della nostra newsletter paneuropea, che esce ogni mercoledì ed è gratuita. Iscriviti qui Buongiorno Europa! Eccoci con la nona edizione dello European Focus! Sono Michał Kokot, il caporedattore di questa settimana, e scrivo da Varsavia. In Polonia il recente dibattito sui bassi tassi di natalità ha messo in luce, ancora una volta, fino a che punto i politici trattino le donne come oggetti. Lo ha dimostrato chiaramente Jaroslaw Kaczynski, che formalmente è leader del Pis – il partito al governo - ma nella sostanza è il leader effettivo del paese.  In un incontro con gli elettori, Kaczynski ha sostenuto che il basso tasso di natalità sarebbe dovuto al consumo eccessivo di alcool da parte delle donne in giovane età. Dichiarazioni che hanno scatenato un putiferio, con molte donne che hanno (giustamente) trovato offensive le sue parole. Lo stesso Kaczynski non ha famiglia, non si è mai sposato, e nulla si sa dei suoi rapporti con donne o uomini, ma quando si tratta di parlare della famiglia è sempre pronto. Purtroppo, che siano gli uomini a decidere per le donne, è un evento ricorrente, in Polonia. Se un giornalista invita dei politici a un dibattito televisivo sul diritto all'aborto, parlano solo gli uomini. A quanto pare anche in altri paesi, in Spagna, in Italia o in Macedonia del Nord, i politici si riempiono la bocca di parole di preoccupazione per la situazione demografica del paese. Ma la voce delle donne, in tutto questo, non dovrebbe contare qualcosa?  Michał Kokot, caporedattore di questa edizione EuropaNove media creano un appuntamento settimanale per il dibattito europeoFrancesca De Benedetti Qui sul tema dei figli è caduto il governo Il momento in cui la prima ministra Kaja Kallas si rende conto di essere stata pugnalata alla schiena. La domanda di un giornalista alla conferenza stampa del governo ha appena rivelato che gli altri membri della sua coalizione (seduti alla sua destra e alla sua sinistra) le remano contro. Foto: Rauno Volmar, Delfi. TALLINN – «Quanto alla crescita della popolazione del paese, Lei fa parte del problema», ha detto Martin Helme, attuale leader del partito di estrema destra estone Ekre, a una giornalista di 27 anni nel 2016. La giornalista gli aveva chiesto se ritenesse sbagliato che lei non avesse intenzione di avere figli, almeno al momento. Helme l'ha anche definita un «elemento socialmente dannoso», una frase rimasta tristemente nota, in Estonia, nell'incessante dibattito sulla natalità. Nonostante le condanne del mondo liberale contro questo linguaggio, ciò non ha influito negativamente sulla popolarità di Ekre. Dopo la caduta della cortina di ferro, l'Estonia ha subìto un rapido declino dei tassi di natalità. Tuttavia Mark Gortfelder, demografo dell'Università di Tallinn, ha sottolineato come la paura esistenziale per la propria "sopravvivenza" demografica sia esistita per un periodo più ampio dei 104 anni di vita della repubblica estone. L'Estonia vive la questione della sopravvivenza in maniera più viscerale rispetto a gran parte del resto d'Europa. La nazione baltica, o quanto meno un'ampia porzione del suo territorio, è stata controllata in diversi periodi storici da una delle varie potenze regionali. E buona parte di queste fasi è stata testimone della perdita di un numero enorme di vite estoni.Il primo periodo di indipendenza de facto dell'Estonia (1918-1940) si è interrotto con la seconda guerra mondiale, foriera di eccidi e deportazioni di massa. Tra il 1945 e il 1989 l'immigrazione ha portato a un aumento della percentuale di non-estoni all'interno della repubblica, all'epoca controllata dai sovietici, dal 3 al 38 per cento. Si è temuto che gli estoni sarebbero presto diventati «una minoranza nella loro stessa terra». È per tutti questi motivi che le narrazioni sulla «produzione di bambini» trovano terreno fertile nella politica estone. Per la prima ministra Kaja Kallas questo ha significato rompere con gli altri membri della sua coalizione, che insieme a Ekre, e alle sue spalle, hanno presentato un disegno di legge per un massiccio aumento dei sussidi familiari. Molti esperti dicono che un sistema simile non porta a un aumento significativo dei tassi di natalità. Per Kallas, restare al suo posto è costato caro: i suoi nuovi alleati hanno preteso ricchi sussidi per le famiglie, ed era stato proprio su questo che il precedente governo era stato spodestato. Herman Kelomees, giornalista politico di Delfi Il numero della settimana: 24.500 BUDAPEST - In Ungheria, tutte le coppie sposate possono accedere a un prestito senza interessi di 24.500 euro (10 milioni di fiorini ungheresi). Non è necessario rimborsare la cifra nei tre anni successivi alla nascita del primo figlio, il 30 per cento del debito viene estinto alla nascita del secondo, mentre tutti gli interessi vengono cancellati alla nascita del terzo. In linea con lo slogan del governo, che parla di “un paese amico della famiglia", questi strumenti di supporto finanziario rimangono attivi fintantoché i cittadini adempiono ai propri obblighi "domestici". Se la coppia divorzia, o non ha figli prima del quinto anniversario di matrimonio, il sostegno si trasforma in penalità: non solo il prestito si converte al tasso di mercato, ma la coppia deve restituire allo stato il tasso di interesse sovvenzionato. Viktoria Serdült è giornalista di HVG Il colmo è che danno la colpa alle donne L'autrice Alicia Alamillos da bambina, coi genitori e una delle sorelle. Foto privata MADRID – Vengo da una famiglia cattolica. Ho tre sorelle. Ma quando penso all'idea di avere figli, vedo soltanto incertezza per il futuro. La crisi del 2008 ha provocato uno shock nel mercato del lavoro spagnolo. Là dove prima c'era "l'azienda per la quale hai sempre lavorato", adesso c'è una fila per il sussidio di disoccupazione. È arrivata la «flessibilità di licenziamento», ma senza alcuna prospettiva di rapida riassunzione in un'altra azienda. Non sapendo se avrò ancora un lavoro tra cinque anni, come faccio a prendermi un impegno a lungo termine, come quello di fare un figlio? Il colmo è che è sempre colpa delle donne, non importa che si tratti di dare l'allarme per la contrazione della popolazione europea; che si senta parlare del timore che il tasso di natalità, in Spagna, sia tra i più bassi d'Europa; o che si sentano i politici incolpare le giovani, e il loro stile di vita, per questa situazione. In tutti quei discorsi, le “colpevoli” a quanto pare saremmo noi. La colpa del calo dei tassi di natalità è esclusivamente delle donne, che decidono di lavorare (è vero!), che vogliono concentrarsi sulla loro carriera (vero anche questo!), per non parlare di quelle «egoiste» che vogliono godersi una giovinezza più lunga e senza figli (altra verità!). Ma quando i politici si occupano di natalità, non è mai una questione di alloggi, di insicurezza economica, di mercato del lavoro o di costo della vita. Le politiche governative dovrebbero affrontare il problema in chiave olistica, cioè tenendo conto di tutti gli aspetti. Ma su questo veniamo puntualmente deluse. Invece di cercare di convincermi ad avere figli, il governo potrebbe provare a correggere il mercato immobiliare. Dopo anni di lavoro precario, avevo 27 anni quando ho ottenuto il mio primo contratto a tempo indeterminato. A Madrid, dove vivo, trovare una casa a prezzi abbordabili, con più di due stanze, e in un quartiere normale, è un calvario. E scordati di poterti comprare casa. Come potrei mai pensare di fare un figlio senza avere una casa dove crescerlo? Figuriamoci quattro figli, come mia madre. Alicia Alamillos scrive di politica internazionale per El Confidencial L’aiuto arriva in ritardo Foto Pixabay «"Non ti preoccupare. A volte succede, è la burocrazia. Nel frattempo, se puoi, prendi a prestito un po’ di soldi". Così mi è stato detto quando ho chiesto al sistema di previdenza nazionale perché i miei sussidi per il congedo di maternità fossero in ritardo. È successo l'anno scorso, dopo aver partorito il mio secondo figlio. Il denaro ha iniziato ad arrivare dopo tre mesi. Un ritardo davvero stressante, per una madre single con un neonato. Ho dovuto prendere denaro in prestito dai miei genitori. Non riesco a capire come lo stato abbia potuto lasciarmi in queste condizioni in un momento di tale fragilità». SKOPJE – In Macedonia del Nord, durante il congedo per maternità, un fondo statale copre il 100 per cento del salario della madre . Ma Lidija Stancevska, 43 anni, di Skopje, ci ha detto che a volte le madri rimangono senza un soldo in attesa dell'"aiuto" dello stato. Nel frattempo, il paese si prepara a un dibattito pubblico sull'estensione del congedo di maternità da nove mesi a un anno. Ma a che serve un'estensione formale, se il denaro arriva tardi? Siniša-Jakov Marusic è giornalista di Balkan Insight I «riempi-culle» al potere Matteo Salvini, che vuole «riempire le culle», e Giorgia Meloni, «donna e madre». Foto AP ROMA – Vi verrebbe mai in mente di pensare che la vita di una donna abbia meno valore se non ha figli? Sembra qualcosa di inconcepibile, in un paese europeo. Eppure è proprio ciò a cui stiamo assistendo in Italia. Sotto il governo Meloni, l’idea di aiutare le famiglie va di pari passo con la propaganda, ed è proprio qui che cominciano i problemi, per noi donne. Niente rende meglio l’idea, di questa frase pronunciata da Isabella Rauti, la figlia del fondatore dell’Msi Pino Rauti, che a maggio, alla convention di Fratelli d’Italia, ha detto: «Senza figli, senza la gioia di essere continuati, non c’è futuro, non c’è niente». Una volta al governo, Meloni ha inaugurato il ministero della Natalità, la cui ministra, Eugenia Roccella, in passato ha affermato che l’aborto «non è un diritto». Questa settimana, annunciando la legge di bilancio, il governo ha anche apparecchiato una speciale riforma pensionistica: prevede pensione anticipata per le donne che hanno più figli. Insomma, più figli fai, prima in pensione vai. Ma qualcuno ha pensato alle donne che i figli non li possono, o semplicemente non li vogliono, avere? E in tutto questo il partner che ruolo gioca? Dietro la cortina fumogena della propaganda, resta la cruda realtà: alle donne serve un sistema di welfare che sia davvero robusto, e servono stipendi equi, altrimenti quelle sulla famiglia – che la si chiami «tradizionale» o meno – restano chiacchiere. Giorgia Meloni, che ha fatto dell’essere «una donna e una madre» il suo vero e proprio brand, guida un partito che ha votato contro la direttiva per la parità salariale in Ue. E in Italia, la sua prima ossessione è spazzar via il reddito di cittadinanza. Per ora, la capacità effettiva di aiutare le famiglie resta “molto rumore per nulla”, in compenso l’effetto della propaganda sulla vita delle donne è concreto: si pensi a quel che è successo all’esercizio del diritto all’aborto nelle Marche, con Fratelli d’Italia alla guida della regione. Francesca De Benedetti, redazione Europa ed Esteri di Domani (Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Simone Caffari) EuropaNine European Media Outlets Launch Unique ‘European Focus’ CollaborationFrancesca De Benedetti© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?Accedia cura di Francesca De Benedetti Europea per vocazione. Ha lavorato a Repubblica e a La7, ha scritto (The Independent, MicroMega), ha fatto reportage (Brexit). Ora pensa al Domani.Short bio  Twitter account

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