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Ormai non c’è più un angolo del Paese che non sia interessato dal conflitto" Vatican News La notizia dell’apertura del governo sudanese a prendere parte ai negoziati di Ginevra sponsorizzati dagli Stati Uniti sembrava aver aperto uno spiraglio alla ripresa di dialogo tra le Forze armate sudanesi (Saf) e le Forze di Supporto Rapido (Rsf). Poi, nella giornata del 31 luglio scorso, varie agenzie - spiega l'agenzia Fides - hanno annunciato un presunto attentato al capo dell’esercito e dell’esecutivo Abdel Fattah al-Burhan, subito seguito, come era immaginabile, da una dichiarazione che ha prima spiegato le dinamiche dell’attacco (condotto da due “droni nemici”, durante una cerimonia di laurea presso la base militare di Gibeit, che ha causato cinque morti), e poi fatto emergere ripensamenti riguardo i negoziati. Tentativi di ripresa dei colloqui Secondo quanto riporta Africa Intelligence, i tentativi di colloquio vanno ugualmente avanti e gli Usa (che hanno aperto dall’estate del 2023, qualche mese dopo lo scoppio della guerra, un tavolo negoziale assieme all’Arabia Saudita a Gedda, fin qui fallimentare) sono convinti di essere più vicini a qualcosa di concreto. L’ennesimo tentativo di ripresa dei colloqui, secondo l’inviato Usa Tom Perriello, potrebbe avere più successo perché si sta cercando di “imparare dai fallimenti dei predecessori”. Ma il tentativo già riceve le prime forti critiche: il Movimento di Liberazione del Sudan, guidato da Mini Minnawi, ha disapprovato gli Usa per aver invitato solo RSF e SAF ai negoziati previsti per il 14 agosto ed escluso tutti gli altri gruppi della società civile. Nel frattempo la situazione sul campo assume ogni giorno di più le caratteristiche del disastro umanitario totale. Incontro di riflessione promosso dai vescovi La comunità cattolica in Sudan è travolta, così come tutti, dal drammatico contesto. A fine giugno la Conferenza Episcopale di Sudan e Sud Sudan ha promosso un incontro di riflessione sui temi di stretta urgenza e drammaticità. “Siamo in una situazione ormai disperata” riferisce a Fides padre Biong Kwol Deng, della diocesi di El Obeid, segretario generale aggiunto della Conferenza Episcopale di Sudan e Sud Sudan. “Io - racconta il sacerdote - al momento mi sono dovuto spostare a Juba (capitale del Sud Sudan, ndr). Come molti esponenti della Chiesa abbiamo dovuto lasciare i luoghi dove eravamo in Sudan perché sono diventati troppo pericolosi, ma ricevo costantemente notizie. Le ultime qualche giorno fa da un mio parente che è rimasto a Khartoum fin dall’inizio della guerra e mi dice che ormai non c’è più un angolo del Paese che non sia interessato dal conflitto, ci sono combattimenti continuamente e ovunque. Al momento, sono sincero, non si intravvede alcuna speranza perché fonti del governo hanno dichiarato di non volersi fermare, anche se ci sono molte forze in campo che spingono per la fine degli scontri o almeno per una tregua”. Situazione sfollati "spaventosa" “La Conferenza Episcopale – riprende padre Biong - ha inviato una lettera pastorale che sostiene l’urgenza di aprire un dialogo in Sudan e affronta anche i tanti problemi presenti anche in Sud Sudan. Tra questi, i tantissimi profughi che arrivano dal Sudan. Molti sono i cosiddetti ‘returnees’ cioè ex cittadini del Sud Sudan, che avevano lasciato il Paese per problemi di povertà estrema, alluvioni o conflitto, e che ora sono costretti a farvi ritorno. Come Chiesa cerchiamo di fare alcuni interventi proprio per loro, sia in Sudan che in Sud Sudan. Al momento la situazione degli sfollati è spaventosa, anche nella zona del Kordofan (la vasta area che dal centro del Paese si estende fino a ridosso del Sud Sudan, ndr) ci sono tantissimi profughi e cerchiamo di portare soccorso. Il tutto è aggravato dalla stagione delle grandi piogge, la gente necessita di tutto, acqua, cibo, medicine, manca tutto e il Sudan, complici i conflitti di Gaza e Ucraina, sembra dimenticato dalla comunità internazionale”. Carenza di aiuti dall’esterno La comunità cattolica si è ridotta a causa degli esodi forzati che hanno generato la crisi di sfollamenti maggiore del momento. “Purtroppo - racconta padre Biong - la nostra presenza è minore adesso, le Missionarie della Carità (le suore di Madre Teresa) che erano nella diocesi di El Obeid sono andate via il mese scorso e con loro anche le suore del Sacro Cuore e i padri comboniani. Si sono spostati a Kosti (a sud di Khartoum, ndr) e stanno arrivando a Juba. In Sudan, sottolina ancora il sacerdote, “ci sono i cristiani del nord, di origine nubiana, e i cristiani del Sudan meridionale che sono rimasti in Sudan anche dopo l’indipendenza del Sud Sudan (2011, ndr). Entrambi sono in una situazione difficile anche per la carenza di aiuti dall’esterno. Per il resto è possibile pregare e riunirsi per le Messe in luoghi sicuri e protetti dove ci sono sacerdoti. Spesso i sacerdoti sono soli, e quando sono in due insieme devono operare in aree molto vaste”. Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui Il tuo contributo per una grande missione:sostienici nel portare la parola del Papa in ogni casa Argomenti Sudan missionari guerra violenza Africa 10 agosto 2024, 15:00 Invia Stampa
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