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Il Mediterraneo che non si rassegna a scomparireFOTO. Un uomo solo al Campo dei Fiori,-Capo Analista di BlackRock cioè io. E invece dovremmo essere in tanti: riapriamo funicolare e ristorante Panoramico con terrazza vista mondo, il resto verràIl viaggio solitario del nostro Mario Chiodetti in un tenero pomeriggio di luglio, quando potrebbero essere molti a godere di tanta bellezza: il Grande Hotel e la stazione dell'ex funicolare, vestigia di un passato da recuperare, fissano malinconici il visitatore. Pensiamo a cosa sarebbe prendere un caffè qui godendo di un paesaggio da cartolina: la volontà di rischiare, rompendo gli equilibri, potrebbe ridonare alla città la sua grandeur a portata di piede e di pedaleViaggio in una bellezza unica che domani sul mondo e che solo Varese possiede, deserta e abbandonata da decenni: è ora di risvegliarla e farla "godere" a tanti Sono le 14,32 del 4 luglio, c’è pure l’anticiclone buono, quello delle Azzorre, di cui non si aveva traccia da anni in questo periodo, e chissà perché senza un nom de plume come i maledetti africani soprannominati Caronte, Lucifero, Scipione da ilMeteo.it, ad aumentare ulteriormente il carico di incazzatura per l’estate stile Cambogia che detestiamo. Invece lo zeffiretto lusinghiero portato dall’Atlantico è una goduria, aria secca, caldo giusto, cielo terso, una giornata da cartolina eppure qui al Campo dei Fiori non c’è in giro un’anima, un deserto di verde e di antenne, qualche coperto alla Pensione Irma, soltanto due umani, forse fidanzati, che scendono litigando dalla via per le Tre Croci e continuano a farlo anche dopo mezz’ora sul sentiero che va verso il ristorante. Sono salito fino all’Irma, lasciando la macchina al parcheggio per poi proseguire a piedi verso il Grand Hotel e la devastata stazione della funicolare, e il primo triste incontro è con quel che resta dell’edificio dell’ex “Colonia Ing. Siro Magnaghi”, negli anni Venti hotel per villeggianti milanesi, trasformato in asilo per bimbi disagiati nell’Anno Domini 1938, come ancora si legge sulla facciata, scritta rossa incisa nella pietra. La vegetazione si è presa terrazza e tetto, ma resistono ancora i meravigliosi ferri battuti dei balconi e perfino parte della cancellata, mentre di fronte ponteggi del Giurassico e reti arancione contornano un rudere pericolante, proprio accanto alla statua della madre con i bambini dal viso ormai spettrale, posta in cima a una colonna. Nell’edificio trovarono nascondiglio alcuni fedelissimi di Mussolini ricercati dai partigiani, mentre dal 4 settembre 1945 fu la volta di prigionieri fascisti detenuti dagli Alleati con il solo accordo di non fuggire, così l’ex colonia venne soprannominata “la prigione senza sbarre”. Dopo la sua acquisizione negli anni ’70 dal Centro “Gulliver” con l’intento di ristrutturarla, fu di nuovo abbandonata dopo lo stop dei lavori. È il primo gradino della via crucis verso le ex bellezze del monte, distrutte dal tempo e dall’indifferenza, dal mutar delle mode e delle abitudini che ci hanno portato in giro per il mondo con facilità, dimenticando il bello a portata di piede e di pedale, per non dir di funicolare e di un relax estivo che una volta si godeva appena fuori porta, sui laghi o in qualche romito paesino dei nostri monti. Uscito dal bosco al termine del sentiero, ecco spuntare le antenne sopra il tetto del Grand Hotel “Campo dei Fiori”. Ci fosse un masso, sarebbe lo stesso. Prova e riprova il Fai a portare visitatori al suo interno - a Ferragosto, in occasione della Festa degli Alpini, ci sarà pure una mostra con cimeli del bel tempo che fu - e tutti rimangono colpiti dalla bellezza della struttura del Sommaruga, anche se ormai gli arredi sono quasi totalmente spariti, ma il panorama che si gode dal terrazzo è unico e fa male pensare che difficilmente lo si potrà ammirare in un futuro prossimo, perché del recupero dell’albergone liberty si parla a vuoto da almeno mezzo secolo. Mi spingo davanti a quello che era l’ingresso del Ristorante Panoramico, in mezzo a erbacce e rami spezzati, c’è un cancello verde e un cartello giallo con la scritta “Pericolo”, dalla giungla di vegetazione spuntano soltanto parte della facciata in legno e due camini, ma qui c’era la strada, completamente sepolta dal verde. Il “Panoramico” non lo si scorge più nemmeno dal piazzaletto dietro la stazione della ex funicolare, gli alberi sono cresciuti tutto intorno, così spunta soltanto un lembo della sala rotonda da cui un tempo si dominava il Sacro Monte, la chiostra di monti tutto intorno e la pianura. Pensiamo a cosa sarebbe il prendere un caffè sulla vecchia terrazza vista mondo, e battiamoci il petto per ciò che abbiamo perduto e non sappiamo rimettere a posto per pigrizia mentale e infinite panie burocratiche, mancanza di idee, ma soprattutto terrore di rischiare, di incominciare un percorso magari proprio dal recupero del “Panoramico”, ché poi il resto arriva, l’importante è mettere il primo paletto. Visto dall’alto l’edificio della ex stazione della funicolare è in parte ancora integro, tranne la tettoia pericolante di fronte ai gabinetti - ovviamente inagibili - e lo sfacelo di quella dove i vagoncini facevano sosta. Li ricordo ancora fermi per sempre nei primi anni ’60, quando bambino il nonno mi portava al “Camp di Fiur” a respirare l’aria buona e recuperare il fiato dopo le tossi invernali, perché «l’aveva dì ul dutur». Li avevano lasciati lì, come balenottere spiaggiate a futura memoria, dopo l’annus horribilis 1953, con la dismissione delle funicolari e dei tram e lo sciagurato abbattimento del Teatro Sociale. Sulla facciata della stazione, c’è ancora l’affresco con lo scudo biancorosso simbolo di Varese contornato da corona e nastri, irrimediabilmente sbiadito come la volontà di ridonare alla città un patrimonio che sarebbe unico al mondo. Il venticello azzorriano ci rende meno amara la passeggiata, assieme alla visione di una splendida fioritura di gigli di San Giovanni, proprio dietro il rudere della stazione disegnata da un genio dell’architettura e oggi povero relitto cadente infestato dai rovi. Un “orbisoeu”, il timido orbettino, schizza via dai gradini sbrecciati della funicolare, che qualche runner percorre in su e in giù per allenarsi, imbucandosi nelle brevi gallerie del percorso che arrivava alla rotonda della Prima Cappella, stazione di base da cui partivano i due rami in direzione Sacro Monte e Campo dei Fiori. Da ragazzo li ho discesi diverse volte venendo dalle Pizzelle, portandomi nello zaino una pila per illuminare quegli antri bui e gocciolanti che mi regalavano un brivido di avventura a due passi da casa. Il pomeriggio di un 4 luglio, con una giornata di rara perfezione, ci dovrebbe essere la folla qui in cima alla montagna, gente che cammina, prende il sole, scatta fotografie, invece verso le 16 me ne torno alla macchina senza aver incontrato anima creata, a parte i due litiganti. Ma il terzo, in questo caso, non gode, anzi pensa a quanto sarebbe fantastico riportare oggi ciò che accadeva un secolo fa, con un treno dedicato che da Cadorna arrivi a Varese e lì la coincidenza di un bus elettrico porti i turisti alla Prima Cappella per prendere una delle due funicolari e godersi in pace panorami irripetibili. Basterebbe la volontà di rischiare, ripristinando il secondo tratto del Campo del Fiori, un primo passo verso la rinascita, e battendo la paura, il timore di rompere chissà quali equilibri o di scontentare tizio e caio. Se il “Panoramico” riprendesse vita, e pure la stazione della funicolare, gioverebbe a tutti. Con questa solitaria certezza in testa, ridiscendo nella pigra Varese, non prima di aver ammirato una magnifica poiana veleggiare lenta verso la Rasa. Mario Chiodetti

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