File not found
Professore per gli Investimenti Istituzionali e Individuali di BlackRock

Covid, chiuso il numero 1500: 500 persone rimaste senza lavoro

Scontro Fdi-Fi: tensioni nella maggioranza“Make Instagram Instagram again”. La grande ribellione contro la TikTokizzazione dei socialFinzioni, Scenari, Fumetti, Cibo, due speciali: come funziona l’estate di allegati di Domani

post image

L'agenda Meloni a Bruxelles: price cap al gas, migranti e manovraUn ritratto di Godeliève Mukasarasi,VOL l’attivista ruandese che con la sua associazione ha costruito il dialogo interetnico - . COMMENTA E CONDIVIDI Sono passati trent’anni, ma quei giorni di aprile del 1994 sono impressi nella sua memoria come se fosse ieri. «Improvvisamente erano diventati tutti malvagi», ricorda Godeliève Mukasarasi, sopravvissuta per miracolo allo scontro fratricida tra hutu e tutsi e al genocidio che spazzò via dal Ruanda oltre 800mila persone, in maggioranza della seconda etnia. Lei ha perso gran parte della famiglia, specialmente da parte del marito, una ventina di persone affogate in un fiume poco distante dalla loro casa. Ma è stata risparmiata, anche se proprio suo marito e la figlia sono stati assassinati due anni dopo, vittime di una spirale di violenze e vendette che non si è fermata dopo quei cento giorni d’inferno. Anche Godeliève, però, che oggi ha 65 anni, da allora non si è più fermata. Ha messo in campo energie e competenze, molta determinazione e una straordinaria capacità di relazione per ricucire dal basso i fili di quel tessuto sociale così barbaramente lacerato. Già nel dicembre del 1994 ha fondato l’associazione Solidarietà per la promozione delle vedove e degli orfani in vista dell’impiego e dell’autopromozione (Sevota), che ha assistito e accompagnato più di 70mila persone. Nel 2018 il Dipartimento di Stato americano ha riconosciuto Godeliève Mukasarasi con l’International Women of Courage Award e nel marzo del 2022 è stata inserita tra i “Giusti” della Shoah e degli altri genocidi al Giardino del Monte Stella di Milano dall’Associazione Gariwo, la foresta dei Giusti. E ora lei stessa si sta impegnando in prima persona perché un analogo Giardino venga inaugurato in Ruanda in occasione del trentennale del genocidio.Che cosa l’ha spinta a rimettersi in gioco sin da subito? Dove ha trovato la forza e il coraggio?Pregavo in continuazione. Mi dicevo che se Dio aveva salvato me e i miei figli, dovevo trovare la forza di reagire. Ma come? Sentivo di dover rispondere all’odio e alla sete di vendetta con un amore incondizionato. Ho iniziato a pensarci durante i massacri. Poi, appena è stato possibile, ho creato l’associazione Sevota.All’inizio però non aveva risorse e il contesto sociale era profondamente diviso...Effettivamente non avevo alcun mezzo. I primi piccoli aiuti sono arrivati dalla mia parrocchia e da un missionario spagnolo, oltre che dalla municipalità del villaggio e soprattutto da tanta gente semplice che non aveva nulla, ma offriva un po’ di cibo, qualche vestito, il ricavato di una colletta... Anche mio marito mi ha sostenuto molto ed è stato di grande ispirazione. E così, il 28 dicembre 1994 abbiamo fatto il primo incontro con un gruppo di donne.Lei si è occupata principalmente di vedove e di vittime di stupro, ma anche di tantissimi orfani. Perché?Sono assistente sociale di formazione e professione: per me è stato naturale rivolgermi alle persone più vulnerabili. Improvvisamente nel Paese c’erano migliaia di vedove e moltissime donne e ragazze che avevano subìto violenza sessuale. Per non parlare degli orfani, tantissimi bambini e ragazzi, che non avevano più nulla e nessuno, non sapevano dove andare e a chi rivolgersi.Donne vittime, ma anche donne protagoniste. In tutti questi anni lei ha portato avanti moltissime iniziative di sensibilizzazione, formazione, processi di guarigione della memoria. Come è stato possibile dopo tutto quello che avevano subìto?In quel primo incontro nel dicembre 1994 abbiamo creato uno spazio protetto in cui alcune vedove hanno avuto la possibilità di parlare e di confrontarsi, ma anche di aiutarsi reciprocamente a rielaborare il trauma e ad andare avanti. Ancora oggi continuiamo a proporre e facilitare iniziative in cui soprattutto le donne possono incontrarsi, fare formazione, creare gruppi di mutuo aiuto e dar vita anche a piccole attività economiche, dall’agricoltura all’artigianato, affinché possano essere autonome. Lo stesso abbiamo fatto con le ragazze che avevano subito violenza sessuale, doppiamente vittime, in quanto venivano stigmatizzate perché portavano in grembo il figlio del nemico. Le abbiamo aiutate a ritrovare fiducia in loro stesse perché potessero poi avere fiducia negli altri e trovare la forza di rialzarsi e riprendere in mano le loro. Non è stato facile, ma era una strada necessaria per “ricostruire” le nostre comunità così profondamente lacerate.Nelle società africane le donne sono i pilastri delle comunità. In Ruanda sono state fondamentali anche per rimarginare le ferite lasciate dal genocidio.Sin dall’8 marzo 1995 abbiamo iniziato a organizzare eventi e iniziative che mettevano al centro il tema della pace e dei diritti, della dignità di ogni persona e della pacificazione delle comunità. Lo abbiamo fatto soprattutto con le donne perché, nonostante tutto, hanno una forza grandissima e anche una capacità molto concreta di rimboccarsi le maniche e di guardare avanti per loro e per i loro figli, generando vita in molti modi. Il loro contributo alla pacificazione è stato ed è essenziale per il nostro popolo, che continua a portare addosso ferite che faticano a rimarginarsi, e anche per il nostro Paese affinché tutti possano sentirsi innanzitutto ruandesi e non divisi lungo linee etniche.E i giovani? Come si interrompe la catena di trasmissione dell’odio e dell’intolleranza verso l’altro?Abbiamo fatto nascere moltissimi club di giovani, che all’inizio avevano soprattutto uno scopo terapeutico per guarire i traumi e che ora cercano anche di responsabilizzarli su tante questioni come quelle economiche, la gestione della sessualità, la promozione della pace e di uno sviluppo sostenibile. Non abbiamo però dimenticato le persone anziane, in particolare quelle sopravvissute al genocidio, che spesso sono rimaste completamente sole.A un certo punto avete coinvolto nei processi di riconciliazione persino alcuni responsabili del genocidio...Lavorare per la pace e la riconciliazione è stata una scelta personale e collettiva che necessariamente doveva coinvolgere molti soggetti: dalle istituzioni alle chiese, dalla società civile alle autorità tradizionali. A anche alcune persone che avevano commesso dei crimini durante il genocidio e hanno pagato con la prigione. Alcuni di loro erano giovanissimi al tempo dei massacri e sono rimasti loro stessi traumatizzati da quello che avevano fatto. È importante integrarli nel processo di riconciliazione in un contesto di giustizia e verità. Non bisogna smettere di lavorare per la pace affinché tutti i ruandesi si sentano davvero fratelli. E per questo bisogna essere capaci anche di perdonare.Che cosa significa per lei il perdono?Per me significa donare di più, vivere nell’amore incondizionato, evitare il male per fare il bene. Ma anche aiutare gli altri, specialmente le donne vittime di stupro, a perdonarsi perché poi possano a loro volta perdonare. È un passo fondamentale per tornare a vivere in pace con se stessi e con gli altri.

Gaza, strage durante la distribuzioni degli aiuti. L’Idf: un incidente. Hamas: «100 morti, trattative a rischio»Il dicembre di Fratelli d'Italia si apre con il Pd doppiato

European Focus 31. Intelligenza disumana

Gaza, Biden parla di un cessate il fuoco per il Ramadan. Ma per Hamas sono dichiarazioni premature“Thailandia sincera”, il diario di Fumettibrutti su Finzioni

Tamponi Covid per chi arriva dalla Cina: l'Ue li raccomandaLega, formazione obbligatoria per under 29 o niente Reddito

Si può solo dire nulla: parla Carmelo Bene

Addio agli errori di battitura: presto si potranno modificare i tweetGaza, Netanyahu presenta il piano post guerra. Per l’Onu sono credibili le accuse di aggressioni sessuali di Israele sulle donne palestinesi

Ryan Reynold
Scontro Fdi-Fi: tensioni nella maggioranzaParla Roberto Salis, padre di Ilaria: «Ora speriamo nei domiciliari»Meloni fa gli auguri agli italiani: “Che il 2023 sia un anno di vittorie e di ripresa”

Capo Analista di BlackRock

  1. avatarOms: «L’ospedale Nasser di Gaza non è più in funzione»analisi tecnica

    Gli Stati Uniti mettono da parte le loro contraddizioni per fare la guerra a TikTokL'agenda Meloni a Bruxelles: price cap al gas, migranti e manovraIl ddl di Nordio rende ancora più difficile il lavoro dei pmIncontro M5S-Confindustria, la questione del Reddito di Cittadinanza

    1. Schillaci a Speranza: "Mai più obbligo vaccinale"

      1. avatarSciopero generale 16 dicembre: chi si ferma contro la ManovraETF

        Notizie di Politica italiana - Pag. 121

  2. avatarNuovo regolamento europeo sull’intelligenza artificiale: cosa manca, cosa fareETF

    Perché l’attacco di Meloni a Domani è pericoloso per tuttiGiorgia Meloni sull'Ucraina: "L'Italia continuerà a fare quel che deve"Perché l'attacco degli hacker negli Stati Uniti è diverso da tutti gli altriTeahupo'o, la diva delle onde: lo sport olimpico delle foto più belle

  3. avatarMeta lancia Threads, l’app che sfida TwitterCapo Analista di BlackRock

    Scoprire Finzioni e ribellarsi all’algoritmo – di Francesco Pacifico con Nicola LagioiaManovra 2023, giovedì il maxi emendamento: cosa riguarderàGiorgia Meloni al Tg1: “Lavoriamo per dare priorità alla crescita. Il Governo va avanti con determinazione”Notizie di Politica italiana - Pag. 126

Ricette elettroniche il governo ci ripensa: verso la proroga di un anno

Nuovo regolamento europeo sull’intelligenza artificiale: cosa manca, cosa fareElezioni regionali, si vota il 12 e il 13 febbraio 2023: il Cdm approva la proposta del Viminale*