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«Mamma, io non volevo il ketchup»: schizzi di sangue sul panino del fast food per una bimba di 4 anni. La mamma denunciaAlcuni momenti di formazione nelle scuole e parrocchie con simulazioni di pratiche riparative - . COMMENTA E CONDIVIDI Una nuova giustizia dove vittime ed esecutori del reato si confrontano e la comunità è coinvolta. Ecco perché la restorative justice interessa Caritas Italiana. «Da anni - spiega Cinzia Neglia,criptovalute referente per Caritas Italiana dell’ambito Giustizia – ci siamo interrogati sulla giustizia riparativa finché non abbiamo incontrato la professoressa Patrizia Patrizi, che è stata presidente del Forum europeo, con il suo team delle pratiche di giustizia riparativa dell’Università degli studi di Sassari, e condividendo l’approccio, che coinvolge la comunità nei percorsi di restorative justice, abbiamo nel 2019 avviato momenti di formazione con gli operatori delle Caritas diocesane. Se dopo la riforma processuale di Marta Cartabia di giustizia riparativa se ne parla in ambito penale, l’approccio del Forum europeo ci ricorda che è appropriata ed efficace nei contesti di giustizia, sicurezza, peace building, ma anche in ambito educativo, di sviluppo sociale, di sostegno familiare, per la tutela di diritti e benessere di bambine e bambini e nella vita organizzativa e comunitaria. Per la giustizia riparativa non si può prescindere dal rispetto della dignità umana, dal riconoscere i bisogni di tutte le parti, dalla partecipazione libera, volontaria e confidenziale perché le verità soggettive possano entrare in dialogo con l’obiettivo di dis-fare l’ingiustizia. Questo coincide con il nostro approccio. Abbiamo puntato inizialmente sulla conoscenza del paradigma e sulla formazione degli operatori invitando a un paio di seminari una ventina di Caritas diocesane attive sul versante giustizia. Abbiamo partecipato al primo master dell’ateneo sassarese nel 2020, nel 2022 abbiamo proposto a otto Caritas di partecipare a un progetto nazionale sperimentale, finanziato con il contributo dei fondi otto per mille, per approfondire le conoscenze scientifiche e testarle per testimoniare alle altre diocesi».Cos’è la giustizia riparativa?Si configura come pensiero e pratiche di accoglienza e cura di persone, relazioni, comunità. Tutte in sofferenza a causa del crimine o di altro illecito e con un bisogno di riparazione del danno, di ricostruzione del senso di fiducia, ricomposizione dei conflitti per risanare ferite delle persone e fratture del tessuto sociale, di prevenzione. Non “rimuove” il passato, lo utilizza per costruire un futuro migliore. Non è alternativa alla pena, è complementare.E i risultati?I progetti hanno attivato 137 percorsi con 203 incontri di sensibilizzazione, 356 di formazione, 94 interventi di giustizia riparativa. Anche in sette istituti di pena sono state proposte attività con 10 percorsi di formazione, sensibilizzazione e attività riparativa. in tutto 121 incontri che hanno coinvolto 257 persone, tra cui 159 detenuti. Altro luogo di realizzazione delle attività sono i territori diocesani. Nel complesso sono stati coinvolti più di 3mila cittadini in 154 incontri e 446 ore di attività, con la partecipazione anche di avvocati, operatori penitenziari, insegnanti, studenti, volontari. Alle attività riparative hanno partecipato anche vittime o autori di reato. Siamo stati in 46 scuole incontrando 413 insegnanti e 2.775 studenti. Il risultato più importante è stata la richiesta di interventi – formativi o di percorsi riparativi – dopo la sensibilizzazione. La sperimentazione ha confermato che tema e approccio sono appropriati per Caritas.Come procede la riforma?In modo lento. Percorsi riparativi si possono attivare in ogni momento del processo penale, il che implica la necessità di informare chi il danno lo ha commesso quanto chi l’ha subito. Ma informazione e formazione sono necessari per gli operatori del carcere e i volontari . Mancano i centri di giustizia riparativa anche se con alcuni decreti se ne sta predisponendo l’apertura. A giugno sono stati pubblicati gli elenchi dei mediatori riconoscendo anche le esperienze pregresse. Resta il dovere di diffondere la conoscenza della restorative justice.
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