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Chi è Adolfo Urso, il nuovo ministro delle Imprese e del Made in ItalyAumentare le competenze dei giudici di pace,trading a breve termine che già sono pochi, significa creare una giustizia di serie A, riservata a coloro che si rivolgeranno ai Tribunali, ed una di serie B, dinnanzi a quei giudici di pace che sono sovraccarichi, e non hanno il supporto della informatica. La Commissione ministeriale Luiso aveva detto che introdurre preclusioni sin dagli atti introduttivi, nelle cause complesse, riduce anche la efficienza (oltre le garanzie) ma il Ministero lo vuol fare lo stesso. Nel merito, quell’emendamento è sbagliato, perché riduce il diritto di difesa, ed allunga i tempi della giustizia. Egualmente inaccettabile è l’idea ricorrente di introdurre sanzioni: se scrive gli atti “male”, se fa cause ritenute da un giudice temerarie, se non presta acquiescenza alla anticipazione di una decisione sfavorevole. La pretesa punitiva dello Stato viene estesa dal penale al civile. Nella più famosa delle sue “Prediche inutili”, Einaudi aveva rivolto tre esortazioni al Legislatore: «Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare». Quando non si fa così, proseguiva, «le leggi frettolose partoriscono nuove leggi, intese ad emendare, a perfezionare; ma le nuove, essendo dettate dall’urgenza di rimediare a difetti propri di quelle mal studiate, sono inapplicabili, se non a costo di sotterfugi, e fa d’uopo perfezionarle ancora...». Partiamo quindi dai numeri, presi dalla relazione del primo presidente per l’inaugurazione dell’anno 2021: A) in Tribunale, pendono n. 2.015.188 giudizi; dinanzi al giudice di pace, 858.874; B) la durata media in Tribunale è di 348 giorni; dai giudici di pace, di 327; Questi essendo i numeri, mi pare che la conclusione sia evidente: ci sono pochi giudici togati, e pochi giudici di pace. E quindi aumentare le competenze, per materia o valore, di questi ultimi, significa soltanto trasferire arretrato dagli uni agli altri. Giustizia di serie A e B Significa creare una giustizia di serie A, riservata a coloro che si rivolgeranno ai Tribunali, ed una di serie B, dinnanzi a quei giudici di pace che sono sovraccarichi, e non hanno il supporto della informatica. Si dirà: ma il riparto di competenza per valore assicurerà che alla giustizia di serie A vadano le cause “importanti”. Rispondo citando il manuale del Presidente della Commissione che quella riforma ha proposto, Prof. Francesco Paolo Luiso: «Contro tale criterio sono state sollevate diverse critiche, probabilmente fondate, perché effettivamente il valore delle controversie non è un criterio razionale per determinare la competenza».  Passiamo al giudizio ordinario di cognizione. La Commissione Luiso aveva presentato due diverse proposte, una delle quali – quella contraddistinta dalla lettera A – una sua razionalità ce l’aveva. Circola un testo di emendamento diverso e quindi evidentemente il Ministero le ha bocciate tutti e due.  Non si è trattato di preferire la efficienza alla equità, che sarebbe stata una scelta politica, e non tecnica: la Commissione aveva detto che introdurre preclusioni sin dagli atti introduttivi, nelle cause complesse, riduce anche la efficienza (oltre le garanzie) ma il Ministero lo vuol fare lo stesso. Finisce sempre così: si nominano Commissari illustri, che formulano proposte anche ragionevoli; quelle proposte entrano nell’Ufficio legislativo, saldamente presidiato da Magistrati fuori ruolo, e ne escono stravolte: perché? Perché quelle due ipotesi della Commissione Luiso, prima di finire alle ortiche, non sono state sottoposte al dibattito tra gli addetti ai lavori, come suggeriva di fare il mai abbastanza compianto Presidente Einaudi? Confesso che non l’ho capito. Si riduce il diritto di difesa E per questo il dibattito lo abbiamo aperto noi delle Camere civili, il 7 giugno.  Nel merito, quell’emendamento è sbagliato, perché riduce il diritto di difesa, ed allunga i tempi della giustizia nel suo complesso. Esso vorrebbe “realizzare una maggiore concentrazione delle attività nell’ambito della prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa” A questo fine: 1) domande e prove devono essere contenute tutte negli atti introduttivi; 2) alla prima udienza, l’attore potrà replicare al convenuto “anche proponendo domande ed eccezioni che siano conseguenze delle difese svolte dal convenuto, nonché il diritto di entrambe le parti ad articolare i necessari e conseguenti mezzi istruttori”. Anche ammesso che non si sprechino migliaia di sentenze per stabilire quando la modifica di una domanda è conseguenza di una difesa altrui, e quando no, e tralasciando la difficoltà obiettiva di replicare immediatamente a domande, eccezioni e nuove prove articolate in quella stessa udienza, è l’impianto che non va, non solo la possibilità di qualche inconveniente pratico. Limitare la facoltà delle parti di modificare le domande o eccezioni ai soli casi in cui la modifica sia conseguenza delle difese della controparte comprime i diritti dei cittadini, e nello stesso tempo moltiplica i processi, e quindi rallenta la giustizia nel suo complessivo funzionamento. Ridurre il cd. “deducibile”, infatti, significa restringere i limiti oggettivi del giudicato; e dunque le parti potrebbero dedurre in un secondo processo quello che era vietato allegare nel primo. È per evitare questo, che le Sezioni Unite (sentenza 12310/2015) hanno sancito che per ogni rapporto in contestazione dovesse esserci un processo soltanto, e perciò hanno consentito di “modificare” senza limiti le domande, nella dichiarata convinzione che facendo così i tempi della giustizia si riducano: per loro, per tutti i Relatori che hanno preso parte al confronto organizzato dalle Camere civili, e per noi, le preclusioni immediate pregiudicano nello stesso tempo la equità e la efficienza dei processi.  no alle sanzioni Egualmente inaccettabile è l’idea ricorrente di introdurre sanzioni per chi dovesse sbagliare: se scrive gli atti “male”, se fa cause ritenute da un giudice temerarie – il che non significa necessariamente che lo siano – se non presta acquiescenza alla anticipazione di una decisione sfavorevole. La pretesa punitiva dello Stato viene estesa dal penale al civile, e questo non è ragionevole. L’errore umano è inevitabile, quando si parla di due milioni di cause ogni anno; è per questo che esistono le impugnazioni. Ed è per questo che non è condivisibile ipotizzare che chiunque sbagli debba essere severamente punito. La norma dell’art. 96 cpc, nella sua struttura originaria, serviva a ristorare eventuali danni provocati da una iniziativa giudiziaria, e ad affidarne la liquidazione al giudice chiamato a deciderla, non a comminare sanzioni. Un ultimo cenno, prima di concludere, alla estensione della media conciliazione. Gli incentivi fiscali proclamati a gran voce, per ora, non ci sono. Forse ci saranno, e saranno riconosciuti (secondo l’articolato contenuto nella proposta della Commissione Luiso) «in relazione ai procedimenti conclusi…in misura proporzionale alle risorse stanziate». Auguri. Molte ombre e poche luci, quindi; la verità, è che aveva ragione il Presidente Einaudi: prima di deliberare, bisognerebbe discutere. Speriamo che da oggi in poi accada davvero.   © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediAntonio De Notaristefani Presidente dell’Unione Nazionale Camere Civili, e avvocato del foro di Napoli.

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