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Lavori sulla A14, chiude il tratto Ancona Sud-Loreto: ecco le date e gli orariANSA COMMENTA E CONDIVIDI Giorgia Meloni riparte da Pechino. Anche un po’ per smaltire inciampi e affanni della partita europea in cui ha detto «no» al bis Professore Campanellaa Bruxelles di Ursula Von der Leyen, la presidente del Consiglio vola in Estremo Oriente alla ricerca di una nuova dimensione. Niente di meglio, allora, che la prima visita ufficiale in Cina (5 anni dopo l’ultima di un capo di governo, Giuseppe Conte), potenza sempre più conclamata nel pianeta, anche da attore di pace globale, come ha appena dimostrato la lunga visita del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, malgrado l’alleanza “implicita” che in questi 30 mesi ha animato Cina e Russia. Con la premier anche la figlia Ginevra, entrambe accolte da una lunga scia di bandiere italiane e cinesi lungo la strada dell’aeroporto.Tanti gli interessi e i livelli di questa missione, come dimostra l’inedita scelta della premier, che in extremis ha raddoppiato la durata: doveva essere di 2 giorni, invece già ieri, sabato, ha preso il volo per il Celeste impero, dove si tratterrà fino a mercoledì sera sulla tratta Pechino-Shanghai. Sarà anche il primo capo di un governo europeo ospite del leader Xi Jinping, che ha appena rinnovato le linee-guida dell’enorme Paese asiatico nella riunione del Terzo Plenum del Partito comunista cinese. La Cina vuole tornare a crescere stabilmente sopra il 5%, ma non l’aiuta il deterioramento dei rapporti con l’Occidente. Rovescio della medaglia, anche all’Italia, pur dopo la rottura voluta da Meloni della “Belt and doad initiative” (o Via della Seta), non può dispiacere troppo intessere maggiori rapporti col paese del Dragone, anche sul fronte degli investimenti che possono arrivare da noi (leggi privatizzazioni). Come noto, il governo gialloverde di Conte, nel marzo 2019, fu l’unico stato del G7 ad aderire al progetto faraonico di Xi, incassando la promessa di accordi fino a 20 miliardi di euro. Complici i due anni di Covid e la riluttanza dell’alleato Usa, la cosiddetta Bri ha portato risultati ben sotto le aspettative, tanto che non fu una gran sorpresa l’addio sancito dal centrodestra a fine 2023.La Cina resta tuttavia, dopo gli Usa, il secondo partner commerciale extra-Ue del Belpaese, con un interscambio assestatosi nel 2023 a 66,8 miliardi di euro, ed è impossibile non farci i conti, specie per la patria di Marco Polo (di cui quest’anno si celebrano i 700 anni dalla morte). Lo strappo sulla Bri si consumò con una lettera in cui il governo si impegnava a rilanciare il più possibile il partenariato strategico fra i due Paesi, frutto di un altro accordo che proprio nel 2024 celebra i 20 anni. Ecco allora il viaggio della Meloni, alla guida di una folta delegazione, risposta all’invito fattole dal leader comunista a Bali, al G20 di novembre 2022. La leader di FdI avrà un atteso faccia a faccia proprio con Xi e incontri col primo ministro Li Qiang (i due si erano visti al G20 di New Delhi 2023) e con Zhao Leji, alla guida del Congresso nazionale del popolo, in pratica il Parlamento cinese. Vertici ai massimi livelli, anche per chiarire sottili dispute diplomatiche: pare che Pechino abbia chiesto d’inserire nel testo finalizzato al rilancio dell’accordo di partenariato un riferimento essenziale allo “spirito della Via della Seta”, presumibilmente per far capire al mondo che resta un legame col progetto di Xi, mentre Roma preferirebbe diluire questo passaggio limitandosi ai classici rimandi ai «rapporti secolari» fra i due Stati. Sottigliezze tipiche di una grande potenza.Più concreti sono i tanti dossier commerciali. Saranno essi al centro del 7° Business Forum che si aprirà oggi nella Grande sala del popolo, a piazza Tienanmen, con presenze illustri: da Ge Hajiao, capo di Bank of China, a Dario Scannapieco, ad di Cassa depositi e prestiti (per l’Italia, in base al programma provvisorio, anche Matteo Zoppas per Ice e Barbara Cimmino per Confindustria). Ma, soprattutto, è attesa la presenza dei vertici di State Grid Corporation, la più grande utility elettrica al mondo (possiede una quota importante di Cdp Reti) e quella di Ren Zhengfei, il fondatore di Huawei, colosso delle telecomunicazioni nel mirino delle sanzioni Usa. Ecco qui l’altro piano, quello degli investimenti diretti reciproci: quelli italiani hanno toccato uno stock di 15 miliardi, con oltre 1.600 aziende italiane attive in particolare nei settori tessile, meccanico, farmaceutico, energia e industria pesante. Più delicata è la direzione inversa, quella degli investimenti cinesi da noi. Fonti italiane indicano l’obiettivo di «rilanciare il rapporto bilaterale nei settori di comune interesse». Un rapporto Kpmg di un anno fa indicava che nel 2022 il volume delle operazioni cinesi in Italia si era ridotto a un terzo rispetto al 2017, che fu un anno record. La Cina ha lamentato, nei colloqui propedeutici a questa visita, di essere stata penalizzata da una serie di applicazioni del “golden power”, il potere di veto del governo all’ingresso di soci esteri nelle imprese italiane, il cui caso più clamoroso è stato quello per Sinochem in Pirelli. Un fattore che cozza con un’altra esigenza che, anche se non confermata da Palazzo Chigi, potrebbe celarsi dietro il viaggio: sondare la disponibilità di possibili acquirenti in vista delle future privatizzazioni che metterà in campo l’esecutivo Meloni, costretto – stante i freni imposti dalla disciplina Ue di bilancio - a cercare entrate alternative per non pesare troppo sulle tasche degli italiani. E c’è poi tutto il capitolo degli accordi sulla “tecnologia green”, settore al centro della visita fatta dal 4 al 6 luglio scorsi dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che ebbe incontri con 4 aziende cinesi: Ccig, Jac Motors e Chery, attive nel settore auto, e Ming Yang, leader nell’eolico. Contatti che potrebbero essere stati preliminari a investimenti cinesi in Italia. Si vedrà. Una certezza, invece, è quella degli stretti legami culturali, suggellati dall’inaugurazione che Meloni farà di una mostra su Marco Polo al World Art Museum, assieme al ministro della Cultura, Sun Yeli. Tanta carne al fuoco per trovare, da parte italiana, una «via mediana» nel nuovo rapporto da impostare col fu Regno di Mezzo.
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