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Tajani sulla maternità surrogata: "Il corpo della donna non è un forno da cui sfornare patate"Turista sfregia le pareti di una domus romana a Ercolano - Tiscali Notizie25 aprile. Così Meloni e i suoi alleati si dicono «avversi ai regimi autoritari»

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Guru, fedelissimi e professionisti: la propaganda di governo ci costa 5 milioniUn’indagine dell’istituto Demopolis èsemprepiùEconomista Italianoper Fondazione con il sud evidenzia come i cittadini siano preoccupati per il welfare, divisi sul progetto di riforma costituzionale e considerino il Piano di ripresa e resilienza un’occasione mancata per lo sviluppo del paeseAlla vigilia delle elezioni europee, in Italia le persone vivono sotto la stessa bandiera, ma in realtà diverse. Le diseguaglianze tra nord e sud sono sempre più forti.A dividere e preoccupare gli italiani sono le sostanziali differenze nelle prestazioni del welfare, l’autonomia differenziata (il cui disegno di legge è al vaglio del parlamento) e l’efficacia del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il divario tra le due parti del paese è percepito dall’82 per cento dei cittadini.A dirlo è uno studio di Demopolis, condotto su un campione di 4mila persone per Fondazione con il sud: l’istituto ha analizzato l’opinione pubblica nazionale rilevando le problematiche che gravano sulla quotidianità e sul futuro del paese, i divari territoriali e di cittadinanza percepiti dagli italiani, ma anche le opinioni degli intervistati su temi caldi del dibattito politico, come la riforma dell’autonomia differenziata.Il welfare tra nord e sudIl welfare è un punto centrale nella ricerca di Demopolis: meno di un quinto degli italiani ritiene che garantisca tutte le prestazioni di cui c’è bisogno, ma questo dato si abbassa significativamente nel Mezzogiorno, dove a pensarlo è solo il 6 per cento della popolazione. In generale, il 43 per cento pensa che garantisca soltanto le prestazioni fondamentali.Il direttore dell’istituto Demopolis Pietro Vento sottolinea invece che negli ultimi anni, in particolare dopo la pandemia, è aumentato il numero di persone che pensa che il welfare non garantisca neanche le prestazioni essenziali. Il dato corrisponde al 38 per cento degli italiani, mentre per il sud cresce fino al 58 per cento.Guardando al dato nazionale, il 58 per cento della popolazione promuove i servizi pubblici, ma guardando più attentamente ci sono grandi differenze territoriali: il 70 per cento di chi vive al nord è mediamente soddisfatto, ma il dato scende al 57 per cento al centro e diminuisce drasticamente nel sud e nelle isole, arrivando al 39 per cento.L’istituto ha anche chiesto ai cittadini quali problemi secondo loro peseranno maggiormente sul futuro dell’Italia in seguito alle crisi sanitaria, economica e climatica. L’84 per cento è preoccupato per la fragilità della sanità pubblica. Come evidenzia Vento, il dato è aumentato di 30 punti negli ultimi quattro anni.L’inflazione e la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie preoccupano il 65 per cento delle persone e le carenze nel welfare il 62. DatiIl divario tra nord e sud? Continua ad aumentare. Cosa fare per invertire il trendEnzo RissoA impensierire la popolazione ci sono anche tematiche “di prospettiva”: lo spopolamento e la denatalità (58 per cento), messo in relazione con l’invecchiamento della popolazione, che porta alla mancanza di nuovi lavoratori che sosterranno il sistema pensionistico e del welfare. E poi ci sono gli effetti del cambiamento climatico (53 per cento): alluvioni, siccità e ondate di calore condizionano sempre più la vita degli italiani.Per il presidente di Fondazione con il sud, Stefano Consiglio, la preoccupazione per la denatalità è nuova, così come quella per l’insicurezza urbana e la criminalità, mentre il fenomeno dell’immigrazione «inizia a essere considerato come un’opportunità per il territorio», soprattutto di fronte alle questione dell’invecchiamento e del calo delle nascite.Il Pnrr, per tutti un’occasione mancataSe c’è qualcosa su cui la popolazione è concorde è il tema del Pnrr: in generale per il 67 per cento le risorse non saranno spese in modo efficace per far ripartire l’Italia, il dato è leggermente superiore al sud (70 per cento). Il pessimismo e la sfiducia sulla gestione del Pnrr sono presenti sia al nord che al sud: la popolazione avverte una mancanza di visione complessiva e di riforme e non crede nemmeno nella capacità dei fondi europei di incidere sui problemi del paese, quali l’arretratezza del meridione, l’emigrazione dei giovani verso il nord o all’estero e la costruzione di infrastrutture moderne nel Paese.Secondo gli intervistati, i problemi principali sono la lentezza della burocrazia e l’insufficienza di figure specializzate nella pubblica amministrazione (78 per cento), la bassa qualità o improvvisazione di molti progetti (60) e la scarsa attitudine dell’Italia nella progettazione e gestione dei fondi europei (43). ItaliaLa scuola è disuguale e con l’autonomia si apre una voragineFederica PennelliL’autonomia differenziata polarizza il PaeseIl tema dell’autonomia differenziata, il cui decreto legge voluto dal governo è al vaglio del Parlamento, è un tema che vede in disaccordo il 53 per cento della popolazione, mentre il 35 per cento la ritiene necessaria e urgente «perché aiuterebbe tutte le regioni». Per la maggioranza della popolazione la riforma andrebbe solamente ad acuire le differenze già presenti in Italia.La questione dell’autonomia è fortemente polarizzata in base alle regioni di provenienza: al nord, il 52 per cento la ritiene positiva, al centro la percentuale cala significativamente al 29 e al sud crolla al 14.L’autonomia differenziata, secondo i cittadini, avrà un impatto differente sulla qualità del welfare in base alle regioni in cui vivono: per l’81 per cento di chi vive nel Mezzogiorno l’impatto della riforma sarà negativo, contro il 21 per cento del nord e il 44 per cento del centro. DisuguaglianzeDal sud al nord per curarsi. L’autonomia differenziata rischia di alimentare l’esodoEnrico DalcastagnéLa consapevolezza sul divario tra nord e sudIl divario tra nord e sud esiste da prima dell’Unità d’Italia, ma anche con i piani dei governi unitari non è mai stato colmato, a differenza di altri paesi europei.L’82 per cento degli intervistati pensa che sul piano economico e sociale l’Italia non sia unita, mentre l’85 per cento sostiene che negli ultimi cinque anni non ci sia stato un miglioramento nel divario territoriale, anzi il 45 per cento pensa che sia addirittura aumentato, mentre nel sud questo dato arriva al 60 per cento. La percezione dei cittadini è che, malgrado le forme di sostegno, le risorse speciali o i fondi di coesione destinati per decenni alle aree in deficit di sviluppo, i provvedimenti abbiano inciso poco sulla trasformazione socioeconomica del Mezzogiorno e sulla reale unità del paese.La maggioranza degli italiani, l’80 per cento, ritiene che il ritardo socioeconomico del Mezzogiorno blocchi la crescita complessiva del Paese.Per quanto riguarda l’attenzione della politica alla cosiddetta “questione meridionale”, il 49 per cento dei cittadini sostiene che negli ultimi anni il sud ha avuto un ruolo nelle scelte della politica nazionale, mentre per gli abitanti del sud il dato è ribaltato: il 65 per cento pensa che il Mezzogiorno non abbia inciso sulle decisioni di governo e Parlamento. EconomiaIl divario Nord-Sud non è un problema, se sei riccoMassimo TaddeiLa disaffezione al voto in vista delle europeeIn occasione delle elezioni europee che si terranno l’8 e 9 giugno Demopolis ha registrato un ulteriore dato sulla partecipazione al voto: su 50 milioni di persone che potranno votare alle prossime consultazioni, 22 milioni di italiani sceglieranno di non recarsi alle urne.Chi, tra gli intervistati, ha deciso di astenersi dal voto lo fa perché si sente deluso dai partiti (53 per cento). Altre motivazioni che portano i cittadini a non votare è una complessiva sfiducia nelle capacità della politica di incidere sulla vita reale delle famiglie (38 per cento) e nella possibilità di cambiare la gestione della cosa pubblica attraverso il voto (36 per cento).«Se il primo dato può essere considerato come una “forma di non voto emotivo”, gli altri due rappresentano una critica fortissima all’istituto della rappresentanza», ha commentato una delle autrici dello studio, Maria Sabrina Titone.Dallo studio emerge anche l’attesa per un approccio rinnovato alle politiche di sviluppo. Per il 65 per cento della popolazione lo Stato dovrebbe coinvolgere imprese e cittadini, anche in forma organizzata, per fare scelte condivise nel processo decisionale per la pianificazione dello sviluppo del territorio.Consiglio sostiene che «le alternative un po’ ideologiche, come lasciare che sia lo Stato a prendere tutte le decisioni o delegarle a un privato no profit non viene considerata come una strada percorribile dai cittadini. Per affrontare i momenti di transizione – demografica, digitale, ecologica – è necessario costruire collaborazioni, tenere insieme tutti gli attori e mettere da parte la competizione».Il presidente della Fondazione ha annunciato che al momento stanno preparando un piano triennale che terrà conto di ciò che è emerso dalla ricerca e cercheranno la collaborazione con enti locali, ministeri e università per cercare di affrontare i problemi evidenziati dalla popolazione e che ne condizionano la vita, in particolare nel Mezzogiorno.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediAnnalisa Godi

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