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Luca Zaia contro l'omofobia: "L'omosessualità non è una patologia"Dovrebbe essere basato su un efficace modello di rete tra tutte le istituzioni impegnate e invece,analisi tecnica ad oggi, questa permeabilità tra competenze specifiche e professionalità formate è ancora inaccettabilmente scarsa«Abbiamo tutta una Giornata per l’eliminazione della violenza sulle Donne, tutte le altre sono solo per l’eliminazione».Questo manifesto è stato realizzato per l’avvocatura istituzionale dall’illustratrice Anarkikka, in occasione della ricorrenza del 25 novembre 2021. All’epoca, a qualcuno era parso eccessivamente provocatorio e invece purtroppo si è rivelato realista.Il richiamo alla feroce quotidianità è oramai cronaca e rivela tutta l’inadeguatezza di un sistema che non previene, non protegge in maniera efficace ed adeguata. Forse punisce, questo sì, anche se va tenuto conto che l'aspetto sanzionatorio è quello meno rilevante poichè interviene a fatto avvenuto e consumato a danno delle ferite a morte e dei feriti a vita, come i bambini rimasti orfani o i familiari delle vittime.«L’educazione al rispetto e all'affettività è il punto da cui partire per prevenire atti di violenza di genere. È necessario istruire i ragazzi su questi temi già da giovanissimi a scuola». In questi termini l’avvocatura si esprimeva già oltre dieci anni fa, suggerendo alle istituzioni una via per iniziare a intervenire a monte invece che solo punire a valle. Negli anni successivi, le istituzioni forensi hanno contribuito come hanno potuto con le migliaia di iniziative e progetti, quelle che vengono indicate come “buone prassi”.Ad oggi, tuttavia, è evidente come manchi ancora sia la consapevolezza del «si deve», ma anche e soprattutto quella del «come farlo», perchè continua ad esistere una forte resistenza nella società, che non sa – o peggio non vuole – riconoscere la violenza maschile sulle donne. Una violenza, vale continuare a ricordarlo, che dipende da chi la mette in opera en on certo da chi la subisce. Di patologico, infatti, c’è solo e spesso la visione distorta della persona ancor prima che del genere.Una responsabilità in questo deriva anche dai limiti della comunicazione e dell’informazione, che sono tuttora non solo inadeguate ma fuorviate e fuorvianti. La narrazione, le immagini che evocano storie d’amore e sofferenza di “bravi ragazzi” e non di odio e di disprezzo di uomini feroci, cattivi, criminali che negano persino la pietà ad un essere umano colpevole solo di essere donna stanno alimentando il circolo vizioso, non certo magico, dei disvalori.La magistratura ancora fatica non poco a riconoscere la violenza e soprattutto a valutare in maniera adeguata il rischio e a dimostrazione di questo vanno ricordate le decisioni della Cedu, che ha condannato più volte l’Italia per questo aspetto.Il rischio, allora, è che la formazione comune dei tanti soggetti coinvolti – che si invoca e recita evidentemente con scarsa convinzione - si esaurisca in molteplici occasioni di incontro ma senza contenuti adeguati e soprattutto di obiettivi chiari e comuni.La violenza contro le donne utilizza e approfitta di un sostrato culturale che la genera. Per combatterlo e smontarlo occorre una strategia forte ed efficace che non può prescindere alcuni elementi: la diffusione della cultura di genere, la sensibilizzazione ai valori della differenza, una adeguata tutela antidiscriminatoria soprattutto in ambito lavorativo e la costruzione di un sistema di prevenzione.Proprio questo sistema di prevenzione è quello che oggi porta maggiori responsabilità: dovrebbe essere basato su un efficace modello di rete tra tutte le istituzioni impegnate e invece, ad oggi, questa permeabilità tra competenze specifiche e professionalità formate è ancora inaccettabilmente scarsa.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediMaria MasiGià presidente del Consiglio nazionale forense e avvocata civilista presso il foro di Napoli.
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