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In carcere la privazione della libertà, ma non la privazione degli affetti

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La piscina Manara Sartori riprende quota. E ora spera anche nell'effetto Martinenghi - ilBustese.it. - . COMMENTA E CONDIVIDI Pubblichiamo la testimonianza,Campanella in forma anonima, di una vittima che ha vissuto la drammatica esperienza di un abuso in gioventù. È stato l’amore sincero e incondizionato di una donna a permettermi poco tempo fa per la prima volta dopo 25 anni di far affiorare sulle mie labbra il racconto di quello che ho subito da parte di un sacerdote, che avrebbe dovuto essere la mia guida spirituale e che invece mi ha manipolato per i suoi fini personali. Ed è stata sempre questa donna a usare per la prima volta una parola che io non avevo mai avuto il coraggio di formulare nemmeno nella mia testa in tutto questo tempo: abuso. Oggi, guardando indietro e avendo affidato quella ferita a un cuore di donna accogliente e pieno di umanità, mi rendo conto che questa parola, così orribile da sentire e pronunciare, descrive in modo corretto quell’esperienza che ha segnato la mia giovinezza, e forse l’intero percorso della mia vita.Probabilmente anche grazie a questa nuova consapevolezza ho guardato con occhi diversi i volti di Mirjiam e Gloria e ho veramente letto con il cuore le loro parole, il loro racconto nei giorni scorsi degli abusi subiti da Marko Rupnik. Un tempo tutti lo chiamavamo padre Rupnik, ma che padre è colui che ti prende per mano e ti accompagna nelle sue tenebre? Proprio come padre non fu – e nemmeno guida – il sacerdote che si era preso in carico la mia vita spirituale da giovane. Ho riconosciuto con dolore nelle storie delle due donne le stesse emozioni, le stesse modalità, le stesse strategie che ho vissuto io nel mio cammino. Un itinerario, che doveva essere solo spirituale e invece è arrivato a trasformare il mio corpo in un oggetto a disposizione di colui che, così facendo, ha tradito il proprio compito principale: indicarmi solo la strada dell’amore vero. Non avevo mai pensato all’abuso perché l’atto consumato con quel prete, paradossalmente, era nato da un mio gesto e perciò mi ero sempre sentito in colpa, pensando che alla fine lo avevo scelto io. In realtà lì, in quel momento, io ero disarmato, aggirato da discorsi falsi sul corpo e sul nostro rapporto con la fisicità. Colui che avrebbe dovuto dirmi: “Una cosa così non può esserci e non deve esserci, perché non può esserci uso del corpo senza l’amore autentico”, aveva sfruttato la mia debolezza per mettere in atto i suoi disegni. Perché quel progetto, me ne sono reso conto solo dopo, era nato da lontano, coltivato da gesti e parole furbamente conditi. Eppure io nel cuore sentivo l’aria torbida e l’inquietudine. Ma non quella sana, quel senso di limite che apre all’Infinito: era un fetore di marcio, spacciatomi come vita dello Spirito. Ma mi ero fidato, pensando che oltre quella sensazione di sbagliato c’era la vita vera. Non era così.Sono fuggito da quella persona, l’ho allontanata e ho continuato la mia vita e l’unico rimpianto che ho è che non ho avuto il coraggio di parlarne con nessuno: né con le mie vere guide, né con gli amici, né con i superiori di quel sacerdote. Per anni mi sono portato dietro questo peso e ora il tempo passato è troppo per poter fare qualcosa di concreto. Di questo, ne sono certo, risponderò a Dio, come ogni giorno ne rispondo davanti alla mia coscienza. Ecco perché ho ammirato il gesto coraggioso di Mirjiam e Gloria: loro hanno messo la faccia, la voce, lo sguardo, le mani strette sul volto, la propria presenza fisica, la propria storia dolorosa, davanti a tutto il mondo, affrontando i giudizi e le conseguenze a testa alta.Io, da parte mia, non posso che ringraziare il Signore per aver messo poi sulla mia strada altre guide sagge, che mi hanno dato molto e che mi hanno confermato nel mio amore per il Vangelo e per i suoi testimoni nella storia. Soprattutto per questa povera Chiesa, ferita assieme alle vittime degli abusi da mani oscure e malate, che hanno bisogno di essere guarite. E nel tempo mi sono convinto sempre più che la guarigione passa anche attraverso la giustizia. Ecco perché è la cultura della giustizia la prima attenzione da curare. Così tra le mie preghiere oggi metto anche i responsabili delle comunità cristiane, i vescovi, i preti, gli educatori, perché si convincano sempre più che chi affronta la verità è il testimone più autorevole di quell’amore infinito che Dio riserva per tutti, specialmente per chi è ferito, soffre e cerca giustizia.Adesso vedo attorno a me crescere l’attenzione a questo tema così come i gesti concreti, anche nella Chiesa italiana, e questo mi alleggerisce il cuore perché so che questi segni aiuteranno tante persone a curare le loro ferite. Ma anche quelle della Chiesa.

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