Influenza suina, primo caso del 2021 negli USA: è un bambinoDecine di studenti rapiti da uomini armati in NigeriaVaccino Johnson & Johnson potrebbe presto arrivare negli USA
In Cina riaprono i cinema, Hollywood invece è fermaIl dibattito sui corsi online è troppo spesso condizionato da opinioni smentite da fatti e verifiche. Essi soddisfano ogni anno le esigenze di oltre 250 mila persone,trading a breve termine circa il 13% del totale degli studenti italiani, che sarebbero probabilmente esclusi dalla formazione. Sono dati importanti per un Paese come il nostro, al penultimo posto in Europa per laureati nella fascia tra i 25 e i 34 anni. Una replica all’articolo di Raffaele SimoneIn un Paese democratico e orientato a un futuro di sviluppo, innovazione e inclusione, sia gli atenei presenziali sia le università telematiche dovrebbero poter provvedere, con le rispettive peculiarità, alla formazione delle nuove generazioni di studenti e professionisti.Viceversa, come sulle pagine di questo giornale pochi giorni fa, nell’articolo di Raffaele Simone dal titolo “Il business opaco delle università telematiche: il topolino diventato una montagna”, si continua a sostenere che la qualità delle telematiche sarebbe inferiore, che questi atenei non guardano al bene dei propri studenti ma solo al profitto e che studiare a distanza è più facile e non sarà mai come studiare in presenza.Le università telematiche soddisfano ogni anno le esigenze di oltre 250 mila persone, circa il 13% del totale degli studenti universitari italiani, che sarebbero probabilmente esclusi dalla formazione universitaria. Sono dati importanti, per un Paese come il nostro che è al penultimo posto in Europa per numero di laureati nella fascia tra i 25 e i 34 anni.Riguardo alla presunta concorrenza con le università tradizionali, in realtà circa tre quarti degli studenti delle Università digitali sono “lavoratori-studenti”, contro meno del 10% nelle Università tradizionali. L’età media degli studenti delle telematiche è di circa 30 anni, spesso residenti in piccole province e aree remote del Paese (l’80% della popolazione italiana vive in centri medio-piccoli).Rispetto agli esiti dei percorsi accademici e agli sbocchi occupazionali, i risultati agli esami e i voti di laurea degli studenti delle università telematiche risultano assolutamente comparabili a quelli delle tradizionali, i laureati delle telematiche – come accennato in gran parte già lavoratori – ottengono spesso un aumento stipendiale subito dopo la laurea, e nei concorsi pubblici la loro percentuale di successo è allineata a quella delle tradizionali.Le rette delle università digitali si attestano in media a circa 2.300 euro con supporto didattico e attività di sostegno incluse. Si tratta di un costo assolutamente nella media e inferiore a quello della maggior parte delle università private italiane, che percepiscono rilevanti contributi statali. Viceversa, gli atenei digitali non gravano sui conti pubblici, poiché le risorse provengono dalle rette versate dagli studenti.Qualche numeroSe a dieci anni dall’istituzione delle telematiche, le università tradizionali hanno perso circa 200 mila studenti rispetto a un incremento di soli 50 mila nelle digitali, dobbiamo porci qualche domanda. È stata la progressiva digitalizzazione infrastrutturale del Paese, nonché la pandemia e il conseguente cambiamento delle dinamiche socio-economiche, a facilitare la diffusione della didattica digitale asincrona, non andando però a influenzare i trend delle università tradizionali. Infatti, nel corso dell’ultimo decennio, a fronte della crescita delle università telematiche, le università tradizionali hanno invertito il trend e sono comunque cresciute di circa 70 mila unità.Anche il tanto criticato rapporto docenti/studenti, che è più alto nel caso delle telematiche, si spiega pensando soprattutto al diverso DNA di questo tipo di atenei. Peraltro, è giusto riconoscere il notevole investimento in termini di reclutamento che le telematiche stanno effettuando negli ultimi anni, un aumento che solo nei primi mesi del 2024 è di oltre il 12 per cento del proprio corpo docente a tempo indeterminato.Se è vero, da un lato, che la didattica in presenza presuppone una capacità di interazione umana di grande valore, dall’altro è altrettanto evidente che le modalità formative tradizionali meritano un ripensamento, alla luce del processo di digitalizzazione in atto e del ritardo sociale e culturale dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei. La didattica digitale asincrona pone al centro lo studente e prevede un costante monitoraggio dei contenuti trasmessi, in relazione agli obiettivi di apprendimento degli studenti, che mutano nella società attuale con estrema rapidità. ItaliaQuell’esercito di insegnanti precari e “ingabbiati” che pagano le università online per un’abilitazioneInfine, nel suo articolo, Raffaele Simone criticava anche l’ANVUR – l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca - che, nel caso delle telematiche, non applicherebbe gli stessi criteri di valutazione in uso per le presenziali. In realtà non solo i criteri sono gli stessi, ma la stessa ANVUR ha valutato gli atenei presenziali e digitali con giudizi di accreditamento significativamente similari.Osservando il giudizio di accreditamento fatto registrare dalle università telematiche, emerge per la quasi totalità un giudizio uguale a quello ottenuto da molte università presenziali. A testimonianza di come il dibattito sulle università telematiche sia troppo spesso condizionato da pregiudizi, che vengono poi smentiti alla prova dei fatti e delle verifiche ufficiali.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediDario Caroniti
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