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Wall Street, nuovo tonfo per First Republic BankCOMMENTA E CONDIVIDI Non è mancata la generosità degli italiani lo scorso anno. Ma la pandemia ha accresciuto solo leggermente la percentuale di cittadini che hanno effettuato donazioni a un’associazione. Con l’emergenza sanitaria che ha fatalmente monopolizzato le destinazioni dei doni verso la Protezione civile e le strutture sanitarie,VOL mettendo in difficoltà la raccolta fondi di buona parte delle organizzazioni non profit. E ciò proprio nel momento in cui alle associazioni era richiesto un maggiore impegno per rispondere alle esigenze della nostra comunità. Suscitando così nuovi interrogativi sul ruolo dell’intervento pubblico e di quello sociale che rischia di restarne schiacciato. È questo, sinteticamente, il quadro che emerge dal rapporto annuale 'Noi doniamo', che verrà presentato questa mattina al Cnel dall’Istituto Italiano della Donazione (IID) in occasione del Giorno del Dono fissato al 4 ottobre. Il rapporto indaga le tre principali tipologie di dono: la donazione di capacità e tempo, cioè le attività di volontariato, la donazione economica e quella biologica, come il sangue e gli organi. L’IID per stilare il rapporto usa diverse fonti: dall’indagine sulle raccolte fondi condotta con la rete dei Centri di servizio per il volontariato alle ricerche di BVA Doxa su un campione di 2mila persone, oltre alle statistiche dell’Istat e all’Italy giving report di Vita non profit magazine. Aprendo così uno squarcio approfondito sui comportamenti solidali degli italiani e sulle possibilità del mondo associativo di finanziare le proprie attività a beneficio della comunità. Il primo dato che colpisce riguarda il grande insieme dei cosiddetti 'donatori informali', coloro che offrono denaro direttamente senza passare da un’associazione – come avviene per l’elemosina in strada o le offerte raccolte durante le Messe – che sono crollati dal 41% del 2019 al 33% dello scorso anno. Come è facilmente intuibile hanno pesato i mesi di lockdown, nei quali non era possibile neppure la partecipazione alle funzioni religiose, tuttavia se si considera che nell’anno precedente alla pandemia si era già registrato un calo di 5 punti si ha l’idea di una tendenza negativa che purtroppo va consolidandosi. Si registra invece la crescita dei cittadini che effettuano donazioni alle associazioni. Si tratta di una netta minoranza, ma nel 2020 questa 'fettina' di popolazione è aumentata dal 13,4 al 14,5% degli italiani, per un importo medio di 80 euro. Bene dunque, se non fosse che, come anticipavamo, le donazioni sono state indirizzate in misura decisamente prevalente ver- so le strutture sanitarie e di Protezione civile. Come è accaduto in occasione di terremoti o altri eventi eccezionali, infatti, la pandemia ha catalizzato l’attenzione dei donatori, lasciando piuttosto a secco gli altri settori d’impegno sociale. L’indagine dell’Istituto Italiano della Donazione registra così un calo inedito rispetto alle precedenti edizioni: la raccolta fondi diminuisce per il 54,5% delle organizzazioni non profit, è invariata per il 20,5% e in aumento per il 25%. In netto calo anche la raccolta da aziende (diminuita per il 36,4% e invariata per il 58%) e quella da privati cittadini (diminuita per il 45,5% e invariata per il 37,5%), mentre dalle Fondazioni erogative è aumentata per il 26,1% delle onp e diminuita solo per il 14,8%. Anche le prime proiezioni sull’anno in corso confermano il trend negativo: il 43% delle organizzazioni stima di chiudere il 2021 con una diminuzione delle entrate moderata o consistente. Non è andata meglio sugli altri due fronti. Quello del volontariato che, a causa dei lockdown e delle norme di distanziamento fisico, hanno potuto dedicare minor tempo ed energie alle diverse cause. Secondo l’indagine AVQ Istat, così, la quota di cittadini che ha prestato la propria opera di volontariato è calata dal 9,8 al 9,2% mentre ben il 45% delle associazioni nel corso dello scorso anno aveva dovuto interrompere in alcune fasi la propria attività e il 23% riorganizzarla solo online. Stesso trend negativo sul fronte delle donazioni biologiche. Le persone che hanno donato il sangue lo scorso anno è calato del 3,4% rispetto al 2019 secondo i dati forniti dal Centro nazionale sangue, e la quota di nuovi donatori diminuita del 2%. Hanno pesato alcune difficoltà negli ospedali, una maggiore diffidenza a recarvisi per la donazione, oltre ovviamente alle condizioni di salute dei donatori stessi. Un segnale positivo in controtendenza è arrivato dalle donazioni di plasma e piastrine in aferesi, aumentate del 7,5%. È l’effetto, si spiega, «delle campagne di sensibilizzazione alla donazione di plasma iperimmune per la cura dei sintomi da Covid-19». L’emergenza sanitaria ha invece provocato un calo dei trapianti di organi e tessuti. In diminuzione anche la propensione a donare gli organi: nei rinnovi dei documenti di identità si è passati dal 68% del 2019 al 66,4% del 2020 e ben il 46,7% di coloro che rinnovano il documento di identità preferisce comunque non esprimersi. Nel 2020 sono crollati i benefattori informali (elemosine e offerte alle Messe) ed è peggiorata la raccolta per il 54% delle organizzazioni del Terzo settore. Per il 43% sta andando male anche il 2021 L’esperto: «Così lo Stato ha introdotto una tassa di scopo occulta. E c’è anche il rischio di un’oligarchia degli influencer»«Nonostante tutte queste difficoltà il mondo del non profit è rimasto attivo al fianco delle comunità di riferimento per sostenerle sia sul fronte sanitario sia su quello sociale – commenta il presidente dell’IID Stefano Tabò – . Un’azione che è costata molte risorse e che è stata solo in parte finanziata dall’impegno dei cittadini. Le pratiche del dono in Italia purtroppo non variano sensibilmente e la quota di coloro che donano denaro, fanno volontariato o donazioni biologiche è sempre minoritaria e vive un trend di lenta decrescita da molti anni. Invertire questa rotta è una delle sfide cruciali per il non profit che dovrà cercare di sensibilizzare i cittadini e intercettare la loro generosità». A mettere il dito nella piaga è Valerio Melandri, direttore del Master in Fundraising dell’Università di Bologna e fondatore del Festival del Fundraising, che parla di «errore grave compiuto con la raccolta fondi svolta a tappeto dalla Protezione civile, cioè dallo Stato, durante la pandemia». Non esita a definirla «indegna di un Paese civile, una tassa di scopo occulta, di un organismo dello Stato preposto e già finanziato per fare proprio quell’attività: gestire l’emergenza. Non ha senso che per svolgere il suo compito solleciti donazioni ai cittadini pubblicizzando ovunque l’Iban statale». Il nodo è che così facendo si rischia di mortificare la sussidiarietà, «anziché potenziare le capacità dei cittadini di dare risposte in proprio ai problemi, di abilitare le energie delle persone e delle associazioni che si spendono nel sociale. Così invece si spegne il loro impegno, delegando tutto allo Stato», ragiona ancora Valerio Melandri. L’ esperto di economia del Terzo settore mette in guardia infine anche da un altro rischio, quello derivante dall’aumento delle raccolte promosse da singoli personaggi, non più solo semplici testimonial di associazioni. Al di là delle cause specifiche, infatti, «così facendo si finisce per promuovere una disintermediazione del sociale che alla lunga significa perdita di competenze, di impegno e di libertà nelle scelte delle cause su cui impegnare la società ». Il rischio, condensa il concetto Melandri, è quello di arrivare all’«oligarchia degli influencer».
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