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Il progetto di Nescafè sulla rigenerazione urbana fa tappa a Ferrara

Parigi 2024, FISE: sport equestri in salute, siamo molto fiduciosiManutenzione dei cavalcavia sull'Autostrada dei Laghi, in arrivo un'altra settimana di cantieri e chiusure anche di giorno - ilBustese.itAlla Porta di Milano, la mostra di Omar Hassan “Exit Lights” - ilBustese.it

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Sull'Autostrada dei Laghi un'altra settimana di cantieri notturni tra asfaltature e manutenzioni - ilBustese.itSe dovesse succedere ai nostri giorni quel cha avvenne sul Sole 14.300 anni fa sarebbe una vera catastrofe tecnologica. E nulla vieta che possa ripetersi. Quella storia è scritta negli anelli degli alberi In tempi storici la tempesta solare più spaventosa fu quella che si verificò il primo settembre 1859 ed è nota come “Evento di Carrington”. L’esplosione solare causò un blocco totale delle comunicazioni telegrafiche di gran parte del pianeta,ETF provocando anche violenti incendi. Allora non c’era ancora un mondo tecnologico come quello dei nostri giorni. Se un simile evento capitasse ai nostri giorni il pianeta potrebbe subire una catastrofe tecnologica con gravissime conseguenze. Eppure, quell’esplosione fu ben poca cosa rispetto a quella che un gruppo internazionale di ricercatori ha scoperto analizzando antichi anelli di alberi trovati nelle Alpi francesi. Quell’evento si verificò 14.300 anni or sono e ad oggi è la più grande esplosione solare mai identificata. Se accadesse in questo momento potrebbe mettere fuori uso la gran parte dei satelliti in orbita terrestre, causerebbe massicci blackout della rete elettrica e potrebbe bloccare tutte le attività legate alla rete Internet. La ricerca, pubblicata su Philosophical Transactions of the Royal Society A: Mathematical Physical and Engineering Sciences, sottolinea l’importanza di comprendere tali tempeste al fine di proteggere le nostre comunicazioni globali e le infrastrutture energetiche per il futuro. I dati Gli studi hanno misurato i livelli di radiocarbonio in alberi secolari conservati all’interno delle sponde erose del fiume Drouzet, vicino a Gap, nelle Alpi francesi meridionali. I singoli anelli dei tronchi degli alberi, che sono in uno stato prossimo alla fossilizzazione, sono stati analizzati con estrema precisione e ciò ha permesso di identificare un picco senza precedenti nei livelli di radiocarbonio avvenuto esattamente 14.300 anni fa. Confrontando questo picco di radiocarbonio con le misurazioni del berillio, un elemento chimico trovato nelle carote di ghiaccio della Groenlandia in quantità anomale, ha portato il gruppo di ricerca a sostenere che il picco sia stato causato da una massiccia tempesta solare che avrebbe espulso enormi volumi di particelle energetiche che sono arrivate nell’atmosfera terrestre. Edouard Bard, professore di evoluzione climatica ed oceanica al Collège de France e al Cerege, e autore principale dello studio, ha spiegato: «Il radiocarbonio e il berillio vengono costantemente prodotti nell’atmosfera superiore attraverso una catena di reazioni prodotte dai raggi cosmici. Recentemente, gli scienziati hanno scoperto che eventi solari estremi, inclusi i brillamenti solari e le espulsioni di massa coronale, possono dare origine ad enormi picchi nella produzione di radiocarbonio e di berillio nel corso di un solo anno». Ed è quello che è stato registrano 14.300 anni fa. Negli ultimi 15mila anni sono state scoperte nove tempeste solari di grande intensità, note come “eventi Miyake”. Oltre a quella di Carrington sono note quella del 993 d.C. e nel 774 d.C. Ma quella avvenuta 14.300 anni fa è la peggiore tra tutte, avendo avuto un’intensità almeno doppia rispetto alle altre. Al momento non si è ancora in grado di capire perché talora avvengono tempeste di tale portata e dunque è quasi impossibile che si riesca a prevederle con un certo anticipo. Spaceship 2, a quando? In tanti appassionati l’aspettano come l’evento del decennio, molti altri si sono completamente dimenticati di cosa sia, Elon Musk dice che «se non esploderà vi saranno buone probabilità che il nuovo tentativo di lancio vada a buon fine». Stiamo parlando di Starship, l’enorme astronave che SpaceX sta preparando per portare l’uomo sulla Luna e poco più in là su Marte. Tutti ricorderanno il lancio avvenuto ad aprile quando la prima astronave di tal genere esplose dopo quattro minuti dal lancio. Ebbene SpoaceX ha già sulla rampa di lancio la Satrship numero 2. Dopo mesi di silenzio Musk è ritornato a parlare del progetto. Starship e il suo booster Super Heavy, ossia il razzo che porta l’astronave in orbita terrestre, sono il sistema missilistico più potente mai costruito, avendo quasi il doppio della spinta al decollo del razzo della Nasa Space Launch System (Sls) progettato per il programma Artemis. Ora una grande scadenza contrattuale è alle porte: Starship è stata incaricata dalla Nasa di far atterrare l’equipaggio di Artemis 3 sulla Luna nel 2025 o 2026 nel primo tentativo umano dall’Apollo 17 nel 1972. I ritardi nella preparazione della Starship negli ultimi mesi hanno portato i funzionari della Nasa a seguire con apprensione i progressi di SpaceX. Jim Free, amministratore associato della direzione delle missioni per lo sviluppo dei sistemi di esplorazione della Nasa, ha affermato all’inizio di agosto che SpaceX ha ancora tempo per soddisfare le linee guida Artemis 3 della NASA, ma si sta già prospettando l’idea alternativa di realizzare un’ulteriore missione alla Luna, Artemis 3, senza atterraggio a ritardare il ritorno lunare con Artemis 4. Non sappiamo quando la Starship volerà di nuovo. Musk, all’inizio di maggio, aveva detto che il sistema sarebbe stato pronto per un nuovo volo in «sei-otto settimane». Ne sono passate molte di più. Quest’estate, SpaceX ha provato i motori del booster per prepararsi al volo successivo, ma alla fine di settembre la Federal Aviation Administration (Faa) degli Stati Uniti ha avvertito che i processi normativi necessari per affrontare i problemi relativi al primo volo non sono ancora stati completati e non ha ancora concesso la licenza per il secondo lancio. Una volta risolti questi elementi chiave più che altro burocratici, è possibile che SpaceX lanci rapidamente la seconda astronave. E intanto altre Starship si stanno costruendo negli hangar della società di Musk. Il volo 2, come Musk chiama l’imminente lancio della Starship, includerà le modifiche chiave recentemente implementate da SpaceX su Starship. Ad esempio: Starship accenderà i motori del secondo stadio prima che i due stadi del veicolo si siano completamente separati. Un procedimento che avviene già su alcuni razzi russi. Questo serve per dare maggiore uniformità alla spinta iniziale verso lo spazio. «Direi che è la parte più rischiosa del volo», ha detto Musk. «Se i motori si accendono e la nave non esplode durante la prima fase di volo, allora penso che abbiamo buone possibilità di raggiungere l’orbita». Supponendo che ciò avvenga secondo i piani, la Starship compirà, comunque, meno di un’orbita completa intorno alla Terra e ammarerà nel Pacifico al largo delle coste delle Hawaii. Questo volo ha come obiettivo chiave anche quello di provare lo scudo termico che protegge Staship durante il rientro nell’atmosfera, finora non testato. L’attuale versione di Starship, ha detto Musk, produce circa il doppio della spinta del potente razzo Saturn V della NASA che portò gli astronauti del programma Apollo sulla Luna negli anni Sessanta e Settanta. «Con gli aggiornamenti che abbiamo in cantiere, avrà una spinta circa tre volte superiore», ha detto. In termini reali, Starship ora produce 16 milioni di libbre di spinta al decollo e SpaceX punta a 20 milioni di libbre nel breve termine, dopo futuri aggiornamenti del motore. Le «dimensioni assurde» dell’astronave alta 120 metri supportano la destinazione finale di un equpaggio a bordo di Starship: il pianeta Rosso. L’obiettivo è «costruire qualcosa che sia in grado di creare una base permanente sulla Luna e una città su Marte. Ecco perché è così grande. Altrimenti l’avremmo costruita molto più piccola», ha detto Musk, il quale punta ad un atterraggio su Marte senza equipaggio entro i prossimi quattro anni. Da anidride carbonica a etanolo Trasformare l’anidride carbonica da scarto a prodotto commerciale ad alto valore aggiunto e basso impatto ambientale tramite processi elettrocatalitici è il risultato ottenuto da un gruppo di scienziati internazionali e da poco pubblicato su Cell – Joule. Lo studio è stato coordinato da Ivan Grigioni, ricercatore di Chimica Fisica presso il dipartimento di Chimica dell’università degli Studi di Milano, assieme a Sungjin Park e a Tartela Alkayyali dell’università di Toronto (Canada) e condotto in collaborazione con la Northwestern University di Chicago e il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) con l’Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” (Cnr-Scitec) di Milano. L’anidride carbonica è uno dei principali gas emessi dalle attività umane ed è tra i principali responsabili del riscaldamento climatico: partendo da questa considerazione, la ricerca sviluppa metodi per utilizzare l’anidride carbonica trasformandola da scarto a prodotti commerciali ad alto valore aggiunto, con un basso impatto ambientale. Il riciclo e la valorizzazione dell’anidride carbonica infatti, avviene convertendo prima la CO2 a monossido di carbonio (CO) e poi mettendo in contatto il CO, acqua, elettricità rinnovabile e un materiale catalitico che facilita la reazione di questi ingredienti dando forma all’etanolo, il quale è utilizzato su larga scala come solvente o nella produzione di etilene, una molecola alla base di numerose sostanze chimiche che ad oggi viene prodotto per lo più da combustibili fossili. «Questo approccio contribuisce a diminuire la nostra dipendenza dai combustibili fossili e ha la potenzialità di essere trasferita nella realtà industriale», spiega Ivan Grigioni, dell’università degli Studi di Milano. Al momento tuttavia, mancano ancora alcuni passi perché il processo diventi economicamente valido, ma non dovrebbe mancare molto. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediLuigi Bignamidivulgatore Giornalista scientifico italiano, laureato in scienze della terra a Milano

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