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«Cimici dei letti nelle valigie e nei vestiti, sono sempre con noi. E sopravvivono senza cibo per un anno»: l'allarme dell'entomologoQuest'anno ha vinto la Sanremo con Philipsen,Capo Stratega di BlackRock Guglielmo Campanella Fiandre e Roubaix con VdP. Quindici anni fa era una squadra Continental e solo l'anno scorso è passata nel World Tour: ma sarebbe un errore indicare nello strapotere dell'olandese l'unico motivo della grandezza del team. Che sta facendo crescere anche Vergallito, l'italiano scoperto sui rulli Alessandra Giardini 7 aprile 2024 (modifica il 8 aprile 2024 | 17:49) - MILANO Vedendolo partire sul Koppenberg, mentre gli altri si impantanavano, si potrebbe pensare che Mathieu van der Poel abbia vinto il Giro delle Fiandre domenica scorsa perché è un fenomeno. Vedendolo aprire il gas una settimana dopo sul pavè della Roubaix, a 59,7 chilometri dal traguardo, si potrebbe chiudere il discorso: è un extraterrestre, ecco perché domina. La sua forza bruta, il modo in cui il campione del mondo strapazza le corse prima ancora che gli avversari, ci inducono a pensare che si tratti di uno di quei casi in cui il talento ha premiato in dosi massicce un bambino nella culla, e agli altri della fila è stato dato infinitamente meno. Che Mathieu sia stato toccato dalla bacchetta magica di una qualche fata è indiscutibile, ma se andiamo a riguardare meglio il Fiandre e la Roubaix c’è dell’altro che salta agli occhi. Non è soltanto Mathieu che è di un altro pianeta, ma i fratelli Roodhoft gli hanno costruito attorno una squadra forte. Che ormai sa come supportarlo in un’impresa come vincere una classica Monumento. Che sa addirittura portare alla vittoria di una Monumento un altro uomo, come Jasper Philipsen a Sanremo. E che oggi può dire di aver vinto tutte e tre le Monumento che sono state corse in questo 2024. Impressionante. Soprattutto per una squadra che quindici anni fa era una Continental dedita esclusivamente al ciclocross, e che soltanto l’anno scorso è passata da Professional a World Tour. la parte di un tutto—  "L’Alpecin? Bella forza, ha van der Poel". Una frase che si sente spesso, ma non corrisponde al vero. Guardate l’ultima settimana. Quando c’è un corridore dominante, il gruppo si compatta per metterlo in buca. Al Fiandre è successo: van der Poel è stato marcato a vista, pressato in maniera molto efficace prima dalla Visma-Lease a Bike poi dalla Lidl-Trek di Mads Pedersen. Soltanto la freddezza di Mathieu - che tatticamente è cresciuto in maniera impressionante - e dei suoi gregari ha permesso al campione del mondo di uscire da quel controllo asfissiante e di riuscire a liberarsene definitivamente quando ha visto il resto del gruppo in difficoltà. Sul Koppenberg. Un lavoro di squadra che ha richiesto un notevole dispendio di energie, vi ricorderete com’era sfinito Mathieu al traguardo del Fiandre. La Roubaix se l’è goduta decisamente di più, ma il lavoro della squadra è stato altrettanto superbo. Oggi l’Alpecin è una realtà ancora anomala ma dominante nel panorama del ciclismo professionistico. Anomala perché è stata la prima ad accorgersi che il ciclismo andava in una direzione diversa: quella della multidisciplina e dei corridori atleti. il segnale (sottostimato dai piu')—  L’ultimo Mondiale di Glasgow avrebbe dovuto farci capire qualcosa. Alpecin-Deceuninck e Fenix-Deceuninck, rispettivamente la squadra maschile e femminile del gruppo, avevano portato a casa nove medaglie e tre maglie iridate: quella di Mathieu van der Poel nella prova in linea élite, quella di Sam Gaze nell’XCC e quella di Axel Laurance nella prova in linea Under 23. E in più due argenti con Puck Pieterse nell’XCO femminile e ancora con Sam Gaze nel cross country. Quattro medaglie di bronzo tra pista, crono e Mtb con Fabio Van Den Bossche (corsa a punti), Christina Schweinberger (crono élite), Julie De Wilde (crono U23) e ancora Puck Pieterse (cross country). Proprio a Glasgow, quando qualcuno osò domandare se era proprio necessario far correre van der Poel in mountain bike, dov’era caduto quasi subito, uno dei due fratelli Roodhooft, Philip, direttore generale del team, si era messo a ridere: "Perché gli permettiamo comunque di andare in mountain bike? Perché lui adora farlo. E penso che dovremmo esserne felici. Mathieu non sceglie mai la via più semplice". In quelle parole c’era la chiave del sì convinto che Mvdp e l’Alpecin si sono detti quando Mathieu era ancora un ragazzino e che recentemente hanno portato alla firma vita natural durante «nella buona e nella cattiva sorte». Mathieu è rimasto fedele al suo team perché lì gli hanno lasciato sempre (e non soltanto adesso che è van der Poel, adesso è facile) la possibilità di scegliere e di fare, di correre o di non correre, di andare ad allenarsi in Spagna, di fare la settimana bianca mentre gli altri sono a sudare negli Emirati, di giocare a golf. Di sognare l’oro in Mtb, di cadere se così sarà. Lo hanno fatto con lui, e con tutti gli altri. "Per molto tempo - ha ammesso Roodhoft - siamo stati visti come la squadra in cui tutto ruotava intorno a Mathieu van der Poel. Ora vinciamo medaglie con sette corridori diversi e in tutti i rami del ciclismo, sia con gli élite, sia con i giovani negli uomini e nelle donne. Possiamo dire che qualcosa c’è, ora è importante mantenerlo".   albert fu il primo—  Loro sono stati i primi. Trek, Bora, persino Ineos sono arrivati dopo nella multidisciplina. La prima superstar del team è stato Niels Albert, quando ancora il piccolo van der Poel correva con la sua prima Alan. Ci sono tanti corridori che nell’Alpecin hanno cambiato passo: vi ricordate Tim Merlier prima delle due stagioni con i Roodhoft? Gianni Vermeersch, che al Fiandre e alla Roubaix ha marcato gli avversari di Mathieu come solo Gentile con Maradona, ha vinto un mondiale gravel, è cresciuto molto nel ciclocross, e su strada sembra un altro. Non è difficile credere che prima o poi avrà un’occasione in proprio. Al tempo c’erano altri juniores che andavano forte quasi come van der Poel, ma lui ha potuto crescere in una squadra che non gli ha imposto niente: quando voleva fare ciclocross faceva ciclocross, quando voleva andare su strada andava su strada, idem in Mtb. Dopo di lui non c’è il diluvio, ma anzi giovani come Cameron Mason e Tibor Del Grossi che sono il futuro. L’Alpecin recluta in tutto il mondo: anche in Australia, in Asia, in Africa. E in tutte le specialità del ciclismo: ciclocross, gravel, Mtb, pista. Molti atleti oggi arrivano al ciclismo da altri sport: dal calcio, dallo sci, dal pattinaggio. Se trent’anni fa esistevano i ciclisti, ora ci sono gli atleti: ragazzi che se li metti a correre a piedi vanno forte. Mentre i nostri allenatori raccomandavano ai corridori di tenere le gambe in alto, all’estero c’era chi gli diceva di farsi una corsa a piedi prima delle tappe. Nelle discipline fuoristrada si è sempre fatto: marce, mezze maratone, un approccio diverso. L’Alpecin, è noto, recluta anche dalle gare sui rulli, scelta che ha provocato qualche naso storto nei puristi. Jay Vine e Luca Vergallito, l'italiano che ha vinto la Zwift Academy del 2022 e continua nel suo processo di crescita (primo italiano al Tour Down Under e ai Paesi Baschi), arrivano proprio dalla Zwift Academy. Un’idea vincente, un’opportunità per molti che non toglie niente a nessuno, e una strada che presto altri dovranno seguire. Magari chi guarda con sospetto alle strade mai battute prima ha soltanto paura: di non riuscire a stare al passo. Tipico da chi si culla da anni nella frase peggiore possibile, "si è sempre fatto così". Si è sempre fatto così finché non è arrivato qualcun altro e l’ha fatto in un altro modo. Meglio. Classiche: tutte le notizie Ciclismo: tutte le notizie © RIPRODUZIONE RISERVATA

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