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Mattarella, allarme clima: "Sull'orlo di una crisi globale"La procura di Reggio Emilia ha chiesto il processo per gli agenti. Sono coinvolti dieci poliziotti,ETF otto indagati per tortura e due per falsoBendato, preso a pugni, calpestato con le scarpe d’ordinanza e trattenuto per alcuni minuti dagli agenti. La scena è quella ripresa delle videocamere di sorveglianza nel carcere di Reggio Emilia, il video agli atti dell’indagine, che Domani può pubblicare, racconta quei momenti di violenza. Il tribunale ha inviato l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare a dieci poliziotti penitenziari per le violenze subito da un detenuto di origine tunisina, il 3 aprile 2023.Qualcosa di «brutale, feroce e assolutamente sproporzionato rispetto al comportamento del detenuto», aveva scritto il giudice Luca Ramponi che a luglio aveva emesso un'ordinanza di interdizione dal servizio per dieci indagati, parzialmente rimodulata.Tra le contestazioni non c’è solo la tortura, il reato che il governo Meloni vorrebbe depotenziare, ma anche il falso. Come già successo in passato, ogni abuso di potere prevede sempre la falsificazione degli atti per coprire il pestaggio.Le immaginiL’aggressione è avvenuta dopo un confronto molto animato del detenuto con la direttrice, destinataria di diversi insulti da parte delle vittima che contestava alcuni rapporti disciplinari, ma anche l’isolamento dove era stato confinato. Le telecamere hanno ripreso quello è accaduto dopo. Il detenuto è stato portato nel corridoio dove sono avvenute le violenze, poi è stato denudato e riportato in cella.A questo punto, è l’ultima fase del video, il recluso ha iniziato una protesta perché voleva essere visitato e condotto in infermeria, ma viene ignorato e così rompe il lavandino, si ferisce e comincia a sanguinare fino a quando viene visitato.Quattro giorni dopo, il sette aprile, il detenuto ha presentato la denuncia che ha riassunto i fatti. Le fasi più cruente vengono ricostruite nell’atto d’accusa della procura. «In concorso materiale e morale tra loro e comunque non impedendo l'evento, in qualità di agenti penitenziari, mediante più condotte cagionavano a K.L., ristretto presso la casa circondariale di Reggio Emilia, acute sofferenze ed un trauma psichico, avendo costui anche temuto di essere ucciso, attuando altresì un trattamento degradante per la dignità della persona», si legge.I pubblici ministeri, nella richiesta di rinvio a giudizio, aggiungono: «In particolare, violenze consistite: nell'incappucciarlo con una federa annodata e stretta al collo che gli impediva di vedere e che gli rendeva difficoltosa la respirazione (Giuseppe Mastinu) nel colpirlo con violenti pugni al volto mentre lo spingevano, con le braccia bloccate, verso il reparto isolamento (Angelo Latino e Giovanni Navazio), nel farlo cadere a terra, dopo pochi metri, a causa di uno sgambetto nell'attingerlo, una volta riverso a terra, sempre incappucciato e con il nodo della federa ben stretta sul volto, con schiaffi, con pugni al volto ed alla testa e con calci (Latino, Navazio e Luca Privitera)». I pm continuano nella descrizione delle violenze evidenziando le contestazioni ai singoli imputati: «nell'afferrargli il braccio destro, torcendoglielo dietro la schiena e nel salirgli, con le scarpe d'ordinanza, sulle caviglie e sulle gambe (Latino, Esposito Marroccella, Lioce, Di Pasqua, Navazio anche su indicazione di Privitera)».L’indagineL’indagine è partita da un’attenta verifica del racconto del detenuto, K.L. aveva più volte manifestato acrimonia nei confronti del personale che aveva anche offeso, ma nulla può giustificare quanto accaduto. Una verifica che ha trovato un valido supporto nelle registrazioni dei filmati di video sorveglianza. Le indagini sono state condotte dal Nic, il nucleo d’investigazione regionale della polizia penitenziaria, e il giudice scriveva nella misura, in parte poi rivista nella parte cautelare, che «appare difficile ipotizzare mutamenti della situazione processuale o in ogni modo acquisizione di emergenze in grado di offrire interpretazioni alternative ai fatti». Il riconoscimento degli agenti è evidente dalla nitidezza delle immagini e dalla credibilità dei colleghi che li hanno riconosciuti.L'udienza preliminare è stata fissata per il 14 marzo davanti alla giudice, Silvia Guareschi. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Federico De Belvis, Alessandro Conti, Nicola Tria, Luigi Marinelli, Sinuhe Cucuraci e Carlo De Stavola.La difesa della vittima«Sono immagini agghiaccianti ed inaccettabili, una violenza gratuita contro un uomo solo, privato della libertà, ammanettato e a terra. Ci tengo a sottolineare il lavoro della procura di Reggio Emilia, che con la dovuta tempestività e determinazione ha svolto le indagini ed estrapolato quanto ripreso dalle telecamere interne, che altrimenti avremmo perso», dice Luca Sebastiani, avvocato del detenuto.In questo momento l’indagine è in una fase preliminare e le eventuali responsabilità penali devono essere accertate nel dibattimento che dovrebbe aprirsi in caso di rinvio a giudizio.Il falsoIl vice ispettore Giampietro Urso, che non risponde di tortura, è indagato perché avrebbe attestato il falso in una relazione di servizio scrivendo che il detenuto: «Era ormai fuori controllo e, nel tentativo di divincolarsi, è caduto sul pavimento e, per evitare che si ferisse o che ferisse qualcuno, è stato trattenuto per 5 minuti in quella posizione (...) è stato sospinto nella camera 1 ..durante le operazioni di controllo degli indumenti sono state rinvenute diverse lamette».Una versione smentita dai fatti e dalle immagini, «in realtà il detenuto, non certo fuori controllo ed incappucciato con una federa annodata intorno al collo che gli impediva di vedere e gli rendeva difficoltosa la respirazione, era caduto a terra a causa di uno sgambetto, era stato colpito con violenti pugni e calci, nessuna lametta era stata rinvenuta, dopo essere stato denudato dei pantaloni e degli slip era stato portato di peso nella cella ed era stato afferrato anche per il nodo della federe stretta al collo», scrivono i pm. Dello stesso reato risponde anche l’assistente capo, Andrea Affinito, perché avrebbe attestato il falso in una relazione per garantire l’impunità ai colleghi.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediNello TrocchiaÈ inviato di Domani. Ha firmato inchieste e copertine per “il Fatto Quotidiano” e “l’Espresso”. Ha lavorato in tv realizzando inchieste e reportage per Rai 2 (Nemo) e La7 (Piazzapulita). Ha scritto qualche libro, tra gli altri, Federalismo Criminale (2009); La Peste (con Tommaso Sodano, 2010); Casamonica (2019) dal quale ha tratto un documentario per Nove e Il coraggio delle cicatrici (con Maria Luisa Iavarone). Ha ricevuto il premio Paolo Borsellino, il premio Articolo21 per la libertà di informazione, il premio Giancarlo Siani. È un giornalista perché, da ragazzo, vide un documentario su Giancarlo Siani, cronista campano ucciso dalla camorra, e decise di fare questo mestiere. Ha due amori, la famiglia e il Napoli.

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