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Donna costretta a viaggiare per 2mila km per abortire un feto con una gravissima malformazione Don Jean de Dieu tra i profughi nella Repubblica democratica del Congo COMMENTA E CONDIVIDI In queste settimane don Jean de Dieu Kahongya Nduhi Ya Vusa,analisi tecnica viceparroco a Chiusi Scalo è tornato nel suo paese in Congo. Arriva da lui un accorato appello per fare conoscere la situazione tragica dei cristiani che vengono sistematicamente vessati ed anche uccisi dalle milizie islamiche, soprattutto nella zona dei Grandi laghi.«Sono ritornato da Masereka e dintorni – scrive don Jean al vicario della diocesi, don Antonio Canestri –, è stata un’esperienza molto pesante e impegnativa, con numerosi incontri e servizi insieme alla Caritas a favore delle migliaia di rifugiati». «La zona – prosegue – non è abbastanza coperta dalla rete di comunicazione. Inoltre è sotto controllo delle milizie nazionaliste Wazelendo. Con tanti rifugiati venuti dai villaggi e dalle città, stiamo vivendo una situazione di guerra e di grande insicurezza. Tutto questo rende difficile la possibilità di comunicare in maniera tempestiva».«Dalle testimonianze dei rifugiati venuti dalla zona dell’Ovest (Biambwe-Njiapanda-Cantine) – sottolinea il sacerdote - abbiamo capito che ogni giorno si vive una tragedia: i terroristi islamici indossano la divisa dell’esercito del governo e così ingannano facilmente la popolazione. Dopo passano per le armi tutti quelli che si sono fidati, in primis i cristiani».«A Butembo – racconta don Jean – ci sono state tante manifestazioni per denunciare l’atteggiamento complice di certi politici, autorità militari e componenti della missione Onu, e il silenzio e i discorsi menzogneri del governo. Anche la mia famiglia è in lutto. Due miei cugini - Albéric 53 anni e Serge 45 anni - sono stati uccisi negli ultimi attacchi dei terroristi islamici contro la popolazione a Manguridjipa». «L’emergenza profughi non si arresta - aggiunge -. Continuano ad arrivare perché i terroristi islamici sono ancora all'opera nella zona ovest e i ribelli del Movimento del 23 Marzo, sostenuti dall'esercito ruandese, sono a 150 chilometri da Butembo nella parte sud. Questo crea un clima di grande paura e angoscia, incontenibili soprattutto nelle comunità cristiane. Inoltre ci sono scontri quotidiani tra i diversi gruppi armati presenti nei dintorni di Butembo, attacchi dai soldati e dalle brigate nazionaliste (Wazelendo). Le vittime di tutti questi scontri sono tante, soprattutto tra la popolazione quasi abbandonata a sé stessa». «C’è la necessità - scrive ancora oggi don Jean – di fare conoscere al mondo la tragedia che stiamo vivendo in quest’area dell’Africa. Un conflitto pressoché ignorato». «L’unico che ci ha dato voce e speranza – sottolinea don Jean - è stata papa Francesco che più volte ha ricordato il nostro dramma invocando la pace».
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