UniCredit e Sace, supporto a Scattolini per acquisizione società turcaMalpensa. Pier Silvio Berlusconi "bacchetta" Salvini e Sala: «Forse inopportuno intitolare l'aeroporto a mio padre» - ilBustese.itMalpensa, problema al decollo per un volo Delta diretto ad Atlanta. Atterraggio di emergenza al T2 - ilBustese.it
Con Nicolò Martinenghi arriva dal nuoto il primo oroLa contemporanea presenza di persone poco raccomandabili,BlackRock Italia di meretrici, di affaristi che maneggiavano il denaro, che poi era lo sterco del diavolo, faceva di questi locali luoghi del peccato per eccellenza. Il sospetto aleggiava sulle taverne sempre, ma del resto la funzione economica e sociale non poteva essere sostituitaAndare all’osteria era un rito sociale nel passato e lo è rimasto anche dopo l’industrializzazione. Ogni paese o villaggio, ma anche ogni quartiere delle città più grandi aveva la sua osteria frequentata dai locali. Ci si andava per stare insieme, per bere, per fare affari, per giocare a carte o a morra, per creare società, magari per fare affari loschi, ma ci si andava anche per mangiare. Ne abbiamo molte testimonianze anche per quanto riguarda l’antichità, basti pensare alle tante tabernae che possiamo vedere a Pompei e agli altri locali simili che si riscontrano in quasi tutti gli scavi romani di una certa entità. In epoca romana In realtà, il sistema di ristorazione romano era abbastanza complesso e ovviamente subì una forte evoluzione nel corso dei secoli, ma volendo prendere come punto fermo il periodo di maggiore prosperità e di maggior sviluppo urbano, quindi grossomodo tra il I e il II secolo d.C., la struttura dei locali dediti alla vendita di cibo pronto e di bevande risulta abbastanza consolidata. Nella sostanza, i testi antichi per descrivere quelle che oggi chiameremmo taverne, utilizzano i termini popina e caupona: quasi come sinonimi. Nel tempo coquina denoterà “l’arte del cucinare”, mentre popina l’edificio. Di solito questi esercizi commerciali erano posizionati in vicinanza delle porte urbane, sia dentro che fuori dalla città, in modo da poter sfruttare il maggiore flusso di passanti.Ancora nel medioevo le taverne erano luoghi che rispondevano alle esigenze di coloro, pochi per la verità, che si mettevano in viaggio o di coloro che, venendo dai territori circostanti, dovevano restare in città per poche ore. Ma al tempo stesso erano anche il luogo di incontro per coloro che in quella città e in quel quartiere ci vivevano.La contemporanea presenza di persone poco raccomandabili, di meretrici, di affaristi che maneggiavano il denaro, che poi era lo sterco del diavolo, faceva di questi locali luoghi del peccato per eccellenza. Il sospetto aleggiava sulle taverne sempre, ma del resto la funzione economica e sociale non poteva essere sostituita. La città non poteva fare a meno di questi locali.I primi regolamenti A partire dall’XI secolo i sempre più frequenti statuti cittadini, scritti con lo scopo di regolare i rapporti economici, sociali e politici all’interno delle mura urbane, cominciarono a occuparsi anche di osterie e taverne, con lo scopo specifico di stabilire cosa vi si potesse vendere, quali cibi si potessero consumare al loro interno, quali bevande potessero essere ammesse e così via.Ovviamente questi regolamenti avevano anche una dimensione negativa, cosa non si potesse vendere, che di solito veniva descritto con la stessa precisione dell’elenco positivo. Nella logica fortemente regolativa dei mercati urbani in età preindustriale, il tema principale era la determinazione dei prezzi dei beni messi in vendita, ma nel caso di coloro che vendevano cibi già cotti, la regolazione doveva passare necessariamente anche per l’indicazione puntuale delle tecniche di preparazione. In altre parole, bisognava regolamentare per legge anche le ricette con le quali si cucinavano i piatti.La ricetta, quindi, era la garanzia economica e politica per i regolatori pubblici. Ma al tempo stesso era la garanzia igienica e sanitaria per i consumatori, che conoscendo i canali di approvvigionamento delle materie prime e il modo di cucinare un determinato piatto si sentivano abbastanza tranquilli nel momento in cui lo consumavano. Infatti, questa garanzia in tempi normali era sufficiente, ma quando all’interno della città scoppiavano delle epidemie, tra i primi a salire sul banco degli imputati c’era il cibo. Carne, pane, pesce, frutta, erbe e così via; quindi era del tutto normale che prima o dopo toccasse anche ai cibi già cotti, venduti per strada o nelle taverne. E per un logico contrappasso, a destare sospetto erano proprio quelle ricette che fino al giorno prima rassicuravano tutti.Le fobie collettiveDurante le epidemie di peste che si susseguono nelle città europee dalla metà del XIV secolo fino alla metà del XVII secolo, le dicerie sulle taverne come luogo di diffusione dei contagi, si rincorrono senza sosta. Oggi sappiamo che dal punto di vista scientifico queste dicerie avevano anche un fondo di verità, dal momento che nei luoghi chiusi e affollati i batteri circolavano molto più facilmente. Ma le accuse nei confronti di questi esercizi pubblici nel medioevo nell’età moderna, non riguardavano questo aspetto; l’elemento pericoloso veniva individuato nei piatti che venivano distribuiti.Come sempre, le fobie collettive si nutrono di voci incontrollate e sempre più irrazionali. Si andava dall’accusa agli osti di servire carne di gatto, fino al terrore della carne umana. Quando si diffondevano queste dicerie, le autorità cittadine non potevano rimanere inerti o limitarsi a negare che ciò fosse possibile. Bisognava agire, entrare nelle osterie e nelle taverne, controllare, sequestrare, mettere in galera i proprietari di questi esercizi, insieme ai loro garzoni, a loro volta complici di questi ignobili delitti. Tutta questa frenesia interventista non faceva altro che rafforzare le irrazionali paure popolari. La paura passava solo con il ritorno alla normalità; passava l’epidemia e quindi non c’era motivo per alimentare il sospetto. Almeno fino alla prossima epidemia.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediAlberto Grandi
Si sdraia sui binari alla stazione di Saronno ma il capotreno lo vede e ferma il convoglio - ilBustese.itLavoro, la classifica dei salari medi annui: Italia al 21esimo posto. Ecco gli stipendi che sono saliti di più
Ferrari, record mondiale di velocità sul ponte della nave portaerei Garibaldi: Fabio Barone sfreccia a 152 km/h
Tra discriminazioni e molestie, l'inferno delle donne braccianti«Mi hanno diagnosticato l'autismo: ecco i 10 segni che mi hanno spinta a fare il test»
Cnr-Iia determina “firma” inquinamento da mercurio su consumo pesceGrano, importazioni dall’estero a + 18% sul 2023: crollo dei prezzi e futuro del settore a rischio - ilBustese.it
Operazione Valchiria, rivolta dello spiritoVenezuela, proteste contro vittoria Maduro: 2 morti, decine di arresti - ilBustese.it
Meister Eckhart e la luce dell'animaI numeri choc dell'azzardo e le scelte (sospette) di Stato. Prima gli affariTalitha Kum lancia una chiamata all'azione globale. A cominciare dai governiTalitha Kum lancia una chiamata all'azione globale. A cominciare dai governi
Parigi 2024, Davide Oldani: una cucina che cambia con lo sport
«Per non far piangere i bambini in aereo allattateli o fategli mangiare ghiaccio»: i consigli del capitano che fanno infuriare i genitori
Il manifesto di Ventotene arriva a ParigiRising Sun 2024: l’Aeronautica Militare conclude la missione addestrativa in GiapponeParigi 2024, Tacchini-Casadei, argento che vale 30 medaglieLavoro, magliette smart per la sicurezza dei lavoratori: ecco come la tecnologia previene gli infortuni
Il nuovo sponsor dell'Inter non piace alle realtà contro il gioco d'azzardoMoto, Joan Pedrero su Harley-Davidson vince la Baja Espana AragonLa Signora delle Stelle ringrazia Bellaria: “Onorata per la proposta di intitolazione di Malpensa” - ilBustese.itGiuseppe Moruzzi, il Nobel per la Medicina mancato