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Studio Aperto: l'intervista a Silvio Berlusconi, come il Cavaliere vuole conquistare la LombardiaIl San Giovanni Bosco di Napoli è diventato il feudo dei camorristi: non solo la struttura veniva utilizzata per gli incontri criminali ma anche le forniture venivano prese e rivendute. Gli accessi al pronto soccorso falsificati per simulare incidenti stradali; mentre bastava pagare per scalare le liste di attesa anche per trapianti e operazioni chirurgiche. Undici misure cautelari,ETF di cui otto in carcereEstate 2018, una ragazza vicina ai clan del Parco Verde di Caivano viene ricoverata in terapia intensiva all’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli. Ai Contini, che nell’ospedale pubblico si comportano come “padroni”, viene chiesto un «occhio di riguardo». Detto, fatto: il personale sanitario riserva ai familiari della giovane un trattamento di assoluto favore.«Dopo che si è svegliata la ragazza entravamo in sala intensiva anche in quattro o cinque, mentre in sala intensiva si entra uno alla volta. Quando ci siamo presentati in sala intensiva gli infermieri già lo sapevano e ci facevano entrare. Bastava dire che appartenevamo alla ragazza del Parco Verde e gli stessi si mettevano a disposizione. Ci davano i camici ed entravamo nella sala», si legge nell’ordinanza del Gip di Napoli Federica Colucci che ha portato a 11 arresti e a diversi sequestri nei confronti di esponenti dell'organizzazione malavitosa – il clan Contini, per l’appunto – operante nel capoluogo partenopeo.Una “testimonianza” fornita da un collaboratore di giustizia sul ricovero in terapia intensiva della ragazza, che fa piena luce sullo strapotere dei Contini, componenti di rango dell’Alleanza di Secondigliano, all’interno del San Giovanni Bosco e, ancora, sulle attività del gruppo criminale capeggiato da Carmine Botta e Gennaro De Luca.«Sopra l’ospedale comandavano loro», si legge ancora nell’ordinanza. I parcheggi, la mensa, addirittura lo spaccio dentro alla struttura sanitaria pubblica. Tutto era, anzi continuava, a essere gestito da loro. FattiCamorra, a Napoli gli ospedali sono in mano ai clanNello TrocchiaAmici di famigliaAll’alba di oggi, 12 giugno, i carabinieri del nucleo investigativo di Napoli, in base all’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia coordinata dai pm Rosa Volpe, Daniela Varone e Alessandra Converso, hanno eseguito le 11 misure cautelari, otto in carcere e tre ai domiciliari. Agli esponenti dell’organizzazione criminale, attiva nelle zone di San Giovanniello, Borgo San Antonio Abate, Ferrovia, Vasto-Arenaccia, Stadera-Poggioreale e Rione Amicizia, si contesta a vario titolo l’associazione mafiosa e il trasferimento fraudolento di valori.Il clan Contini «non ha mai smesso di operare, pur nella mutevolezza delle componenti e degli assetti, ed è in grado, ad oggi, di gestire a Napoli diversi comparti economici con forme che rasentano il monopolio: dalla distribuzione di carburanti al mercato dei preziosi, dalle attività ricettive e di intrattenimento a quelle di bar e ristorazione, dal mercato dell'abbigliamento a quello degli elettrodomestici, nonché il mercato immobiliare, l’erogazione di credito al consumo, il mondo delle scommesse on-line e del gioco d'azzardo in generale», è scritto nelle carte giudiziarie a segno del “controllo” capillare del clan sulle attività imprenditoriali e non solo.Dai detersivi ai fogli A4All’interno di «strutture pubbliche assolutamente nevralgiche, come alcuni degli ospedali più importanti di Napoli», il clan Contini era insomma di casa. Strutture e ospedali erano infatti «utilizzati non solo per organizzare summit criminali o per ricevere le vittime di rapporti usurai o estorsivi, ma anche come ulteriore strumento di gestione del proprio potere mafioso». Al San Giovanni Bosco il clan aveva libero accesso ai magazzini. Detersivi, pannolini, carta igienica e persino fogli A4 costituivano il loro “bottino”, «sia per uso personale sia per la rivendita a terzi».«In alcuni casi prelevavamo la merce senza alcun fittizio ordine a richiesta di reparto. In altri casi, se si trattava di merce protocollata, compilavamo un ordine fittizio con l'ausilio dei medici a delle capo sala del reparto che ci firmavano le richieste. Poi noi avendo necessità di accessi al Pronto Soccorso per organizzare le truffe alle assicurazioni ci appropriavamo di alcuni fogli relativi ai blocchetti con i quali venivano controllati gli accessi al Pronto Soccorso e, nel caso in cui avessimo avuto necessità di far apparire un accesso al Pronto Soccorso per simulare un sinistro, utilizzavamo i fogli suddetti con relativo numero di protocollo, di cui avevamo disponibilità». FattiL’arresto di Licciardi indebolisce l’alleanza di SecondiglianoNello TrocchiaListe d’attesa e feste in ambulanzaE se qualcuno grazie al clan «ha anche scalato la lista di attesa per ottenere il trapianto de! fegato, con la compiacenza di soggetti dell’Asl», nell’ordinanza si legge pure di una festa organizzata su un’ambulanza. «L’ambulanza percorreva il Corso Umberto di Napoli a "sirene spiegate" e si fermava in corrispondenza del negozio di abbigliamento (…): dallo stesso mezzo scendevano alcuni «ospiti musicali», invitati per l’inaugurazione del citato esercizio commerciale. La vicenda suscitava notevole clamore mediatico ed era oggetto di innumerevoli video pubblicati nei vari social (Tik-Tok, Instagram e altri)». Ciò che allarma di più resta, però, la “scalata” dietro corresponsione di denaro delle liste d’attesa per essere curati.«Alcuni interventi, tipo il bypass gastrico sono in lista di d’attesa e si possono fare gratuitamente. Ma possono essere fatti anche privatamente. Noi interveniamo facendo scalare la lista simulando una situazione di urgenza che obbliga al ricovero. Quindi viene saltata la lista di attesa e il denaro viene corrisposto al clan. Questo vale per gli interventi chirurgici. Si tratta di interventi che vengono favoriti senza la necessità di alcuna prescrizione. L’unica prescrizione raccomandata sono i soldi». E anche quando si muore «in ospedale ci sono ditte di riferimento al clan». In questo caso - si legge nell’ordinanza - «interviene Genny Maradona» e cioè Gennaro Manetta, detto "Maradona", ritenuto esponente del clan Contini con il compito di gestire la cassa del clan e di provvedere alla distribuzione degli stipendi agli affiliati. ItaliaCosì la criminalità regnava negli ospedali di NapoliNello TrocchiaLa maxi-inchiesta del 2019Oggi si è pertanto appurata come la gestione dell’ospedale continuasse a essere “in mano” al clan, anche dopo la maxi-inchiesta che cinque anni fa portò a 126 arresti. Come allora l'ospedale San Giovanni Bosco sarebbe quindi feudo e polo logistico dell’“Alleanza di Secondigliano”, composta anche dai Mallardo di Giugliano e dai Licciardi della Masseria Cardone.«Più in generale – si legge nell’ordinanza – può dirsi che l’Alleanza di Secondigliano è riuscita a portare avanti il progetto espansivo iniziato negli anni ’90 quando, a seguito e per effetto dei danni complessivamente subiti da parte dei contendenti impegnati nella sanguinosissima faida camorristica degli anni ’80 e '90 alcuni dei principali artefici di quella guerra (primo fra tutti Eduardo Contini) mostrarono la loro intelligenza e lungimiranza criminale, degna di veri statisti dell’Antistato, nel progettare e proporre una tregua che consentisse di riprendere fiato, recuperare forze e dedicarsi all’espansione criminale ed economica sulla base di una negoziata ripartizione territoriale della città e della provincia di Napoli». Ebbene, statisti dell’antistato.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediEnrica RieraNata a Cosenza nel 1991, giornalista. Una laurea in giurisprudenza e un diploma all’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio d’Amico. Un passato da redattore nei giornali locali. Collabora con il servizio cultura de L’Osservatore Romano.

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