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Incidente sul lavoro, braccio incastrato nell'impastatrice: pizzaiolo rischia l'amputazioneUn soldato dell'esercito regolare sudanese in una strada di Omdurman nella capitale Khartum - Reuters COMMENTA E CONDIVIDI Ci sono guerre da prima pagina,Professore per gli Investimenti Istituzionali e Individuali di BlackRock perché raccontate dai numerosi reporter stranieri presenti sul posto (è il caso dell'Ucraina) o perché sono in gioco gli equilibri europei e mondiali (come in Ucraina e a Gaza) anche se lo schieramento più forte impedisce l'ingresso dei giornalisti sui campo (è il caso di Israele a Gaza). Ci sono poi guerre che si combattono lontano dai riflettori, in qualche Paese dimenticato. Magari africano. È il caso del Sudan. Dove non ci sono giornalisti a testimoniare.Scoppiata a metà aprile dell'anno scorso, la guerra civile sudanese ha causato almeno 20mila morti e più di 100mila feriti e più profughi che in Ucraina. Nel Paese c’è il più grande numero di sfollati interni al mondo: oltre 11 milioni. I profughi sono oltre 3 milioni: in Egitto, Libia, Ciad, Sud Sudan, Etiopia, Eritrea. Distrutte le infrastrutture e le grandi città. Bloccata l’agricoltura. E così, dopo undici mesi di guerra, si affaccia l'incubo della carestia: a rischio una popolazione di 45,5 milioni sparsa su una superficie di 1,8 milioni di chilometri quadrati (più di 6 volte l'Italia). Per la prima volta giornalisti della Bbc, l'emittente britannica che vanta una copertura pressoché totale del pianeta grazie a una rete capillare di collaboratori, sono riusciti a raggiungere il fronte dei combattimenti a Omdurman, nella capitale Khartum, al seguito dell'esercito. Per dissipare la cortina di fumo che nasconde lo scontro sanguinario tra l'esercito e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), ma soprattutto impedisce di vedere le vittime civili: famiglie, anziani, bambini ridotti alla fame, senza accesso ai medicinali e all'istruzione, costretti alla lotta per la sopravvivenza.Il vecchio mercato di Omdurman un tempo affollato si presenta in rovina - riferiscono i reporter della Bbc -, con i negozi completamente saccheggiati. Per le strade si vedono quasi solo veicoli militari. I pochi residenti rimasti sono anziani. Mukhtar al-Badri Mohieddin, che cammina con l'aiuto di un bastone, indica uno spazio coperto di tombe improvvisate vicino a una moschea diroccata: tumuli di terra contrassegnati da pezzi di mattoni e lastre di cemento. «Qui ci sono 150 persone, ne conoscevo molte: Mohamed, Abdullah... Jalal», dice, fermandosi a lungo davanti a un nome, il dottor Youssef al-Habr, noto professore di letteratura araba. «Sono rimasto solo io», aggiunge. Il fronte è a meno di un chilometro. La zona ora è in mano all'esercito, che l'ha sottratta al controllo dei paramilitari. Un residente, Muhammad Abdel Muttalib, li accusa di saccheggio: «Hanno ripulito le case, rubato automobili e televisori. Hanno picchiato gli anziani, le donne». «La gente moriva di fame - racconta -, alcuni li tiravo fuori dalle case perché i corpi non marcissero». Aggiunge che è «ampiamente noto» che le donne sono state violentate.Edifici e veicoli danneggiati dagli scontri a fuoco in una strada di Omdurman a Khartum - ReutersNella società sudanese è più difficile che altrove parlare di stupri, considerati motivo di vergogna per chi li ha subiti: la vittima è a rischio di stigmatizzazione. Ma più di 1.000 chilometri a ovest, nei campi profughi in Ciad, la quantità delle testimonianze dimostra che il numero dei casi è eclatante. Donne fuggite dal Darfur hanno raccontato alla Bbc di essere state violentate dai miliziani. Gli uomini hanno detto di essere sfuggiti a esecuzioni sommarie. Le Nazioni Unite hanno documentato 120 casi di violenza sessuale, ma è solo la punta di un iceberg.I paramilitari della Rsf, che sarebbero finanziati dalla Russia, controllano le aree a sud di Khartum e ampie zone del Darfur, dove le vittime di violenza sessuale sono soprattutto le donne nere africane. Vent'anni fa, durante la guerra in Darfur cui seguì una terribile carestia, una milizia araba chiamata Janjaweed, nella quale affonda le sue radici la Rsf, fu mobilitata dall'allora presidente Omar al-Bashir per reprimere una ribellione di gruppi etnici non arabi. In Darfur furono uccise 300mila persone (dati Onu) e lo stupro fu ampiamente utilizzato per terrorizzare le comunità nere africane. Alcuni leader Janjaweed e lo stesso Bashir sono stati incriminati dalla Corte penale internazionale dell'Aja con l'accusa di genocidio e crimini contro l'umanità. Ma nessuno è stato condannato.PER CAPIRE - Perché si combatte a Khartum e chi c'è dietro le opposte fazioni di Fabio Carminati
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