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Uno come Yamal nell'Italia non potrebbe giocare - Il PostCresciuto a San Diego,Guglielmo stella in due sport al liceo, fu l'Mvp del McDonald's All American davanti a Kevin Durant, ha giocato 7 stagioni nella Lega e poi è tornato al primo amore Riccardo Pratesi 30 luglio - 13:54 - MILANO Dalla pallacanestro al beach volley, dalla Nba all’Olimpiade di Parigi. La storia di Chase Budinger, 36enne biondo californiano, è di quelle da film. Sta lavorando sul lieto fine, per vincere una medaglia che agli statunitensi sulla sabbia ai Giochi manca da Pechino 2008. Al debutto a cinque cerchi Budinger, in coppia con Miles Evans, ha battuto la coppia francese Krou/Gauthier-Rat, tornerà in gara stasera dalle 20 ora italiana contro gli olandesi Boermans e De Groot. Ma come si passa da schiacciare all’All Star Game Nba a schiacciare sottorete in Francia? Così… IL BIVIO— Cresciuto, tanto - 201 centimetri - nell’area di San Diego, con sole, spiagge e uno scenario luminoso davanti reale e metaforico, grazie alle sensazionali doti atletiche, Budinger ha avuto l’imbarazzo della scelta, da ragazzo. Eccelleva sia nella pallavolo che nella pallacanestro. Ed eccelleva non è un’esagerazione. Per capirci: giocatore dell’anno a livello liceale nel 2005 nel volley a La Costa Canyon High School dove ha conquistato per tre volte il titolo statale. Ma anche, udite udite, nel 2006 premiato come miglior giocatore del McDonalds All American Game, la partita delle stelle liceali della pallacanestro ex aequo con Kevin Durant, pure lui ora protagonista a Parigi per Team Usa, da fenomeno dei canestri, diventato nel frattempo uno dei primi 50 giocatori ogni epoca. Budinger ricevette offerte di borse di studio dalle università più prestigiose di Los Angeles, UCLA e USC. Bruins e Trojans gli garantivano l’opportunità di praticare da studente-atleta, con la costosissima retta accademica pagata, sia la pallavolo che la pallacanestro. Arizona University, invece, l’ateneo di Tucson, nel deserto, lo voleva soltanto per giocare a basket. .bck-image_free_height { position: relative; margin-bottom: 1.6875rem; } .bck-image_free_height .image_size img { height: auto !important; width: 100% !important; } .bck-image_free_height figure{ width:100%; display: table; } .bck-image_free_height img.is_full_image { display: table-row; } TUTTO SUl basket— Budinger scelse Tucson, Arizona, il basket. Giocò tre stagioni lì, matricola dell’anno della Pac 12 Conference nel 2007, due volte nominato All Pac 12, rispettivamente inserito nel terzo e poi nel primo miglior quintetto di Conference. 100 partite, cifra tonda, giocate da Wildcat, segnando 17 punti di media per partita Tanti. 1697 complessivamente. Venne scelto al secondo giro del Draft Nba 2009, con la chiamata numero 44 – sperava di meglio, da ex prospetto top 10 a livello di licei, forte di una buona carriera Ncaa - dai Detroit Pistons che ne scambiarono subito i diritti con gli Houston Rockets. Il ragazzone biondo finì dunque a giocare in Texas, per tre stagioni, poi altre due e mezza al freddo a Minneapolis per i Wolves, quindi scampoli di Nba con Indiana e Phoenix. Ma la sostanza è che, tra alti e bassi, promesse e disillusioni, non aveva sfondato. Mai in doppia cifra realizzativa di media per punti segnati in stagione, 9.8 il suo massimo, alla seconda stagione con Houston. Certo aveva avuto i suoi bei momenti, i 35 punti realizzati per i Rockets proprio contro Minny nel 2011, certo l’All Star Game di Orlando del 2012, quando si piazzò secondo nel Dunk Contest dietro a un altro Evans, non il suo attuale compagno di squadra olimpico, ma Jeremy, con quella iconica schiacciata saltando sopra il rapper Diddy. Eseguita col cappellino in testa: molto californiano, molto cool. Ma la spietata realtà era che a 27 anni la carriera Nba di Budinger era già finita. Un’incompiuta. Ancora un anno, in Spagna, al Baskonia, la stagione 2016-17, poi Chase ha posato definitivamente la palla a spicchi ed è tornato al vecchio amore. .bck-image_free_height { position: relative; margin-bottom: 1.6875rem; } .bck-image_free_height .image_size img { height: auto !important; width: 100% !important; } .bck-image_free_height figure{ width:100%; display: table; } .bck-image_free_height img.is_full_image { display: table-row; } VERSO LA SPIAGGIA— Budinger è tornato in spiaggia. Non chissà quale sacrificio - direte -. Ma si è virtualmente rimboccato le maniche, lui che gioca smanicato, i muscoli in bella mostra, si è rimesso in discussione quando avrebbe potuto accontentarsi, con un conto in banca con parecchi zeri e storie di grande sport da raccontare nei bar di San Diego per tutta la vita. Invece si è messo gli occhiali da sole e si è rimesso in fondo alla fila, lui che ai tempi del liceo era arrivato quasi davanti a tutti, come prospettive. Si è messo in testa il sogno olimpico. Perché da ragazzino sognava i Giochi, li guardava in tv pensando che un giorno…Non ci è arrivato col basket, con Team Usa, come avrebbe tanto desiderato, ma la vita a volte sa regalare una seconda chance. Persino più suggestiva della prima. Nel suo caso partecipando in coppia, non in cinque. Ancora più protagonista. Budinger ha ricalibrato il fisicaccio mirandolo alle esigenze del beach volley, dimagrendo - meno potente, più agile -, è tornato ai tempi in cui schiacciava a Moonlight State Beach, che solo il nome fa voglia di andare a dare un’occhiata, a Encinitas, casa sua, in California. Ha scoperto di essere ancora bravo, anzi bravissimo, a ricevere, alzare, saltare e schiacciare dietro una rete. A inizio giugno è arrivata la qualificazione olimpica. Il coronamento di un percorso impensabile, la seconda opportunità colta nel Paese delle seconde opportunità. Ora a Parigi salta in maglia nera con su scritto Team Usa, non più con quella rossa dei Rockets. Non insegue un 10 di voto dei giudici dell’All Star Game Nba, semmai un oro olimpico. Nel cambio ci guadagna, lo sa bene. A Parigi troverà forse anche il tempo di andare a vedere Kevin Durant, di ammirare Team Usa in azione sul parquet. Per applaudire, fare il tifo. Senza rimpianti. Altri Sport: tutte le notizie © RIPRODUZIONE RISERVATA
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