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La Dda ha ritirato il decreto di perquisizione nei confronti dei giornalisti di ReportLorenzo Sacchetto e la moglie Raffaella COMMENTA E CONDIVIDI «È stata dura,Campanella abbiamo sentito un nodo alla gola, ma ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti che ci saremmo stati sempre l'uno per l'altra. E sarà così finché saremo su questa terra». Hanno reagito così Lorenzo Sacchetto e la moglie Raffaella, quando a Lorenzo - all'epoca 44 anni, oggi 57 - è stata diagnosticata la malattia di Parkinson. «Quando ci siamo sposati, abbiamo costruito casa passo dopo passo, abbiamo avuto tre figli, eravamo pieni di progetti come qualsiasi famiglia. Non avevamo certo ipotizzato di incontrare la malattia. Ma, quando è arrivata, abbiamo cercato di viverla in modo sereno, cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno», racconta Raffaella. «Da quel momento - scherza Lorenzo - sono diventato “imprenditore del Parkinson”. Trovare ogni giorno la forza e il coraggio di andare avanti è anche un modo per dire grazie a Raffaella. Esisto solo perché c'è lei». «Essere caregiver non è facile - riprende la moglie -. Però, quando si vuole bene a una persona, si fa tutto quello che si può per farla stare bene. Sguardo, forze, energia, pensiero, cuore sono tutti proiettati sul far star bene chi si trova in condizione di fragilità. In questo caso, Lorenzo. Le fatiche ci sono, ma siamo in comunione di pensiero e uniti nella fede. Con la condivisione, tutto diventa più facile». Tre anni fa non pensavano che la condivisione a due sarebbe diventata una forza trainante per una condivisione sempre più ampia. «Il neurologo consigliò a Lorenzo di fare sport. Dopo un intervento importante al cervello con impianto di DBS (impianto di neuro stimolazione, ndr), bisognava rimettersi un po' in moto. Sembra quasi paradossale, ma per contrastare la malattia che inibisce il movimento, è necessario proprio... il movimento». «Facevamo camminate e nordic walking. Ma, a un certo punto, a causa di un'infiammazione al nervo sciatico – prosegue Raffaella - per Lorenzo camminare divenne difficile. Allora optammo per la bicicletta. E dopo un buon allenamento, decidemmo di andare a Roma. Fu il neurologo a consigliarci di raccontare la nostra storia in rete affinché potesse essere di sprone ad altri parkinsoniani, che stentano a trovare il coraggio di reagire». Anche perché, come racconta Lorenzo, c'è anche un'altra componente. «Avevo un lavoro a contatto con la gente, ma ho scelto di lasciare, perché provavo vergogna della mia malattia. Oggi noi insistiamo anche su questo: non ci si deve vergognare, si affronta, come fece san Giovanni Paolo II, che per noi parkinsoniani è motivo di ispirazione».La sfida della rete è stata la molla che ha fatto nascere “Pedalando, movimento di resistenza al Parkinson” che, da iniziativa privata, l'anno successivo, con meta San Giovanni Rotondo (Foggia), si aprì a chiunque fosse interessato a partecipare. Quest'anno, marito e moglie, con altre diciotto persone, dai dodici agli ottant'anni, parkinsoniani e non, stanno pedalando verso Genova. Partiti il 20 luglio da Sant'Urbano (Padova), arriveranno proprio domani, martedì 30 luglio, nella città di mare, dopo aver percorso cinquecento chilometri e sostato in cinque capoluoghi. «Abbiamo scelto di pedalare per non più di una settantina di chilometri al giorno per stare al passo con le esigenze e le possibilità fisiche di tutti. Il parkinsoniano fa tre volte più fatica nel muoversi rispetto a una persona sana. Fondamentale, poi, è la relazione sociale. Per questo noi mangiamo assieme, alloggiamo tutti negli stessi alberghi, chiacchieriamo molto». Al gruppo originario, si aggregano per qualche tappa amatori, gruppi di ciclisti, associazioni. «E poi ci sono i tantissimi che ci accolgono nelle città dove arriviamo - dice Raffaella -. A Bologna ci aspettavano in cento. È stato commovente». «Quando persone non ammalate decidono di condividere con noi parkinsoniani momenti di ferie che invece potrebbero trascorrere al mare, significa che il progetto è condiviso. Il Parkinson è una malattia in aumento, e colpisce sempre di più i soggetti giovani, anche venticinquenni. Per questo è importante la sensibilizzazione. Più se ne parla, meglio è», aggiunge Lorenzo.Nel gruppo anche qualche nome noto, come Fabiano Fontanelli, gregario di Pantani nel 1998, anche lui parkinsoniano con quattordici anni di malattia. Ampelio Pillan, medaglia europea di Nordic Walking, e premio Mondonico per la solidarietà: ottantasei anni, gli ultimi venticinque dedicati all'attività motoria dei parkinsoniani. Giuliano Brasiliani, 76enne, parkinsoniano, ex ciclista. «Con noi - riprende Raffaella - ci sono anche due famiglie. In una ci sono due ragazzini di 10 e 13 anni. Pedalano, mettendo da parte le loro performance per adeguarsi a un andamento più lento del loro. Vengono così a contatto con la fragilità. La forza di questo progetto è raccontare una storia nel momento in cui viene vissuta. Non è un racconto di eroi, è una storia semplice, con dei risultati, ma anche con grandi fatiche. Credo che questa esperienza sia per loro di grande arricchimento, un valore aggiunto in una società che ci impone di essere perfetti».Il progetto è supportato dal Coordinamento Veneto Rete Patologie Neurodegenerative e dalla Direzione Prevenzione della Regione Veneto. All'organizzazione hanno contribuito anche l'Associazione Salus Euganea di Este (Padova) e il Gruppo Movarla di Quinto Vicentino. «Pedalando, si accorciano le distanze - conclude Raffaella -. Se lo fai con un obiettivo, arrivi al cuore della gente e si aprono nuovi orizzonti. Ma, se vuoi arrivare al cuore della gente, tutto deve partire dal tuo cuore. Questo è il messaggio che portiamo ovunque andiamo. Ma quello che facciamo è anche per far vedere ai nostri figli che, in qualsiasi situazione ci si trova nella vita, si può vivere bene, dignitosamente. Certo. Bisogna rimboccarsi le maniche. Serve fatica per arrivare sul cocuzzolo della montagna ma quando sei su, immagina cosa vedi».
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