File not found
analisi tecnica

Nola, litiga con la fidanzata e perde la testa: investe sette persone

Roma, ospedale Sant'Andrea: paziente denuncia violenze nella notteBimba scomparsa a Firenze, convocato vertice in PrefetturaIncidente youtuber: positivo ai cannabinoidi Matteo Di Pietro, alla guida del suv

post image

Tragedia nel Barese, scontro tra due auto: morto un 23enneQuesto è un nuovo numero di Areale,criptovalute la newsletter di Domani sul clima e l’ambiente. Questa settimana parliamo della polveriera ecologica in Ucraina orientale, dell’«accordo di Parigi» sulla plastica, della crisi globale incendi e del ghiaccio marino in Antartide.  Per iscriverti gratuitamente alla newsletter in arrivo ogni sabato mattina clicca qui e segui tutti i contenuti di Areale. Buongiorno lettrici e lettori di Domani, questo è un nuovo numero di Areale, che arriva in una settimana dolorosa e difficile, piena di cose che non avremmo pensato di leggere, vedere, scoprire. Cominciamo proprio da lì, dove tutti stiamo guardando. Le miniere di carbone del Donbass Il Donbass è la «miccia che ha scatenato l’incendio», come l’ha definita Dario Quintavalle su Domani, la regione orientale dell’Ucraina dove la Russia ha riconosciuto le repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk. L’etimologia del nome Donbass è: bacino del carbone del Donetsk. L’area è stata uno degli epicentri minerari del mondo, con centinaia di estrazioni attive e inattive, una catastrofe ecologica in slow motion, in grado di contaminare acqua e suolo, sulla quale la guerra ha riacceso i riflettori e che rischia di avvelenare ancora di più. Secondo un report della Banca mondiale, in Donbass ci sono 900 siti industriali, 40 fabbriche metallurgiche, 177 siti chimici ad alto rischio, 113 siti che usano materiali radioattivi, 248 miniere, 1.230 chilometri di tubature che trasportano gas, petrolio e ammoniaca, 10 miliardi di tonnellate di rifiuti industriali. Una polveriera che gli otto anni di conflitto, e questa invasione russa, rischiano di far detonare. Il sito di giornalismo investigativo Bellingcat aveva sviluppato già nel 2017 una serie di mappe e risorse digitali che danno la misura del pericolo in corso ancora oggi. In duecento anni di storia, nel Donbass sono state estratte 15 miliardi di tonnellate di fonti fossili di energia, principalmente carbone. Già prima della guerra il ministero ucraino dell’Ecologia e delle risorse naturali aveva contato un totale di 4.240 punti di pericolo ambientale, un catalogo che comprende perdite di metano, rischi di radiazioni, stabilità idrodinamica del suolo, dispersioni chimiche. La preoccupazione principale è per le vecchie miniere di carbone: quando un’estrazione viene chiusa non può essere semplicemente abbandonata, è necessario pompare continuamente fuori l’acqua per evitare che i bacini idrici vengano contaminati da metalli pesanti come piombo, mercurio, arsenico. La guerra limita o impedisce queste operazioni, ed è una cosa che avevamo visto accadere già prima dell’invasione in 35 siti diversi, perché ai separatisti filo-russi mancano volontà e risorse per farlo. Le miniere sono state lasciate al loro destino, si sono allagate e stanno inquinando l’acqua usata per bere e irrigare. L’Istituto nazionale di studi strategici dell’Ucraina ha definito la contaminazione chimica una «minaccia imminente» per almeno 300mila persone, un civile su quattro lungo la linea di combattimento non ha più accesso a una fonte affidabile di acqua potabile. L’incidenza di infezioni gastrointestinali nei bambini è decine di volte più alta che nel resto del paese. Nel 2018 l’allora ministro dell’Ecologia Ostap Semerak aveva addirittura parlato di una «seconda Chernobyl» nella miniera abbandonata di YunKom, che ha una storia particolare e molto pericolosa. Era stata aperta da una società belga negli anni Dieci del Novecento ed era una delle più produttive nella storia dell’Urss. Alla fine degli anni Settanta qui erano stati condotti test nucleari sotterranei, che avevano lo scopo di ridurre le esplosioni causate da perdite di metano, diventate più frequenti man mano che l’estrazione scendeva di profondità. Le cariche da 0,3 kiloton avevano creato una sorta di camera sotterranea piena di radiazioni a 900 metri di profondità, una capsula radioattiva che per quarant’anni è stata pompata e tenuta asciutta, anche dopo che la miniera è stata chiusa. Poi è arrivata la guerra, nel 2018 i separatisti hanno abbandonato YunKom a se stessa e anche qui è arrivata l’acqua, la contaminazione ha il potenziale di rendere radioattiva quella che viene usata da milioni di persone e che arriva fino al mare di Azov. YunKom si trova a quaranta chilometri dalla città di Donetsk. E poi ci sono le centrali nucleari a fare paura. L’Ucraina è un paese dell’atomo, scrive il Bulletin of the Atomic Scientist. Metà dell’energia elettrica usata dagli ucraini arriva da quindici reattori nucleari. Il paradosso del nucleare è che il suo uso pacifico ne fa anche uno strumento militare per le forze occupanti, è la tesi del libro Nuclear Power Plants as Weapons for the Enemy, scritto dall’ex membro dell’Ufficio di affari politico-militari del Dipartimento di stato americano Bennett Ramberg, ed è uno dei timori più spaventosi su questa invasione, che un’esplosione possa verificarsi, intenzionalmente o meno, in uno di questi reattori. Sono un’infrastruttura decisiva per il paese e il pericolo di un “incidente” in tempo di guerra è elevatissimo. Infine c’è ovviamente Chernobyl, dove si è combattuto e dove le radiazioni hanno superato il livello di guardia, ma non c’è stato nessun danno alle strutture nucleari. Per ora.  Non ne usciremo riciclando Lunedì 28 febbraio inizia a Nairobi, in Kenya, un negoziato importantissimo, di cui abbiamo parlato già qui ad Areale: quello per avere un trattato internazionale sulla plastica. Sarebbe il più importante patto internazionale multilaterale sull’ambiente dai tempi dell’accordo di Parigi del 2015, e si spera che, per ambizione, possa anche superarne i limiti che hanno rallentato l’azione sul clima in questi anni. A organizzare il tavolo è l’Unep, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. «Dovrà essere un momento da consegnare ai libri di storia», ha detto Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’agenzia Onu. Il problema è che la storia è ancora lontana, a Nairobi si getteranno, nel miglior scenario possibile, le basi per un negoziato che potrebbe durare anche due anni prima di sfociare in un trattato pienamente esecutivo. La cornice è quella della quinta sessione della United Nations Environmental Assembly, tecnicamente Unea-5.2. La politica va lenta e le crisi corrono veloci. Ci sono però delle basi per sperare: più di 50 paesi (anche alcuni che inizialmente erano riottosi a un accordo vincolante, come Usa e Cina) ora sostengono l’idea di un trattato sulla plastica. Addirittura grandi brand utilizzatori di plastica (come Coca Cola) si sono rassegnati ad avere qualche tipo di limitazione o vincolo imposto dalla comunità internazionale. Di recente hanno iniziato ad appoggiare la prospettiva anche i produttori di plastica, spesso costole dell’industria delle fonti fossili. Insomma, a questo punto è chiaro che un accordo di qualche tipo ci sarà, il punto è che tipo di accordo e in che tempi. Una frase molto chiara sulle intenzioni Onu l’ha detta Andersen, intervistata da AFP: «Non possiamo uscirne riciclando». È un punto fondamentale, se proviamo ad allargare lo sguardo dal nostro immediato contesto e vediamo cos’è diventata la plastica per l’umanità. La produzione ha superato in modo irreversibile la nostra capacità di gestirla. Ogni anno vengono prodotte 400 milioni di tonnellate di plastica. Nel 2040, senza un accordo, rischiano di essere 800 milioni. Nei dieci minuti che avrete impiegato a leggere Areale, altrettanti camion pieni di plastica non riciclata sono stati riversati nell’ambiente. Solo meno del 10 per cento di quella usata nel mondo viene riciclata, non c’è strutturalmente modo per aumentare questo dato: due miliardi di persone usano la plastica in paesi dove non ci sono infrastrutture per riciclarla. Il 90 per cento di quella usata nel mondo viene bruciata o buttata in discarica, da lì finisce nei fiumi e negli oceani. Quindi il punto è: quale accordo uscirà dal negoziato? La versione al ribasso, di produttori e consumatori di plastica, punta forte su design e riciclo. La versione al rialzo, invece, è basata su un’idea più radicale, prova a guardare a tutto il suo ciclo di vita. Plastica monouso al bando (come in Unione europea) e riduzione della produzione. Oltre all’accordo di Parigi, il modello è la storia di successo del Protocollo di Montreal contro l’uso delle sostanze che minacciavano lo strato di ozono nell’atmosfera. Qui potete leggere le due bozze di accordo in competizione. Quella più estensiva, firmata da Ruanda e Perù, copre tutto il ciclo di vita della plastica. Quella più conservatrice, firmata dal Giappone, si concentra su fine uso e oceani. La settimana prossima sapremo. Storie di ghiaccio e fuoco Le rilevazioni satellitari del ghiaccio marino (la parte di oceano coperta per più del 15 per cento di ghiaccio galleggiante) ai due poli sono iniziate nel 1979. Da allora abbiamo visto che Artico e Antartide si comportano in maniera differente, con il primo a destare più preoccupazione, vista la costante e drammatica riduzione del ghiaccio marino anno dopo anno. In Antartide la situazione è un po’ diversa, la copertura era addirittura aumentata, ma le cose sono cambiate velocemente negli ultimi anni. Un record negativo era stato stabilito nel 2014, in Antartide, poi di nuovo nel 2017, infine un nuovo punto basso, il peggiore quindi da quando esistono questi dati satellitari, è stato raggiunto nel 2021, secondo i dati del US national snow and ice data center. L’attribuzione di questo fenomeno alla crisi climatica e al riscaldamento globale è complessa, visto il numero delle variabili in gioco. Ogni anno il ciclo di fusione e formazione del ghiaccio marino in Antartide riguarda una superficie grande il doppio dell’Australia (e l’Australia è grande) e questo processo è influenzato da temperature, correnti, venti, ed è quindi difficile individuare cause singole. Sicuramente sono numeri mai visti, che probabilmente dipendono da una combinazione di fattori. Second Walt Meier, ricercatore del centro, intervistato dal Guardian, un’ipotesi solida è che venti molto forti sul Mare di Ross abbiano spinto il ghiaccio verso nord, dove è stato fuso da acque più calde o spezzato da onde più forti. Non possiamo dire che sia climate change, né possiamo escluderlo. «Ora gli scienziati devono solo aspettare e vedere», ha detto Meier. È uscito il primo rapporto dell’Unep sulla crisi globale degli incendi. Ci sono dei numeri preoccupanti, il rischio globale di roghi devastanti rischia di aumentare del 57 per cento entro fine secolo, e stiamo assistendo a un loro potenziamento anche in zone dove prima non erano così comuni: Russia, Tibet, India settentrionale. Ma l’interesse più forte, e quello che riguarda più da vicino l’Italia, è sul bisogno di prevenzione, di una risposta diversa, che non insegua il fuoco ma lo anticipi, adattando gli ecosistemi alle nuove condizioni. «Il riscaldamento del pianeta sta trasformando i paesaggi in polveriere. Più eventi estremi portano venti più forti, più caldi, più asciutti ad alimentare le fiamme. Troppo spesso la nostra risposta è tardiva, costosa. Troppi paesi soffrono di una mancanza cronica di investimenti e prevenzione. Il vero costo degli incendi – finanziario, sociale e ambientale – si estende per giorni, settimane, talvolta anni dopo che le fiamme si sono spente». In Italia è stata pubblicata da poche settimane la prima Strategia forestale nazionale, e uno degli obiettivi cardine parla proprio di questo: raddoppiare nel giro di cinque anni la superficie pianificata, anche per coordinare meglio l’adattamento degli ecosistemi forestali alla crisi incendi, perché quello che abbiamo visto l’estate scorsa in Sardegna, Calabria, Sicilia, Abruzzo, rischia di non essere l’eccezione di una brutta annata. Il rapporto Onu si legge qui. Su Spotify invece c’è una nuova puntata del podcast Ecotoni che faccio con Luigi Torreggiani e Giorgio Vacchiano. In questa puntata parliamo di cosa significa avere una strategia forestale, cosa cambia, perché è una notizia importante.  Per questa settimana è tutto, coraggio, sono giorni complicati e difficili, pieni di ansia, in cui il mondo si presenta in tutta la sua irredimibile complessità. Se avete voglia di parlare, scrivetemi: [email protected]. Per comunicare con Domani: [email protected]. A presto, Ferdinando Cotugno © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediFerdinando Cotugno Giornalista specializzato in ambiente, per Domani cura la newsletter Areale, ha scritto il libro Italian Wood (Mondadori) e ha un podcast sulle foreste italiane (Ecotoni).

Anziana trovata morta nel letto: arrestato marito 75enne per omicidioYoutuber, pronti a sfidare la morte per visibilità: le challenge più pericolose

Ufficiale di Marina morto a La Spezia, Michele Savarese stroncato da un infarto

Ritrovata a Napoli Brenda Cuomo, la 23enne scomparsa torna a casaL’ultima foto di Silvio Berlusconi a Milano 2 prima della morte

Previsioni meteo, allerta maltempo in 5 regioni del Sud ItaliaMorto un 58enne in un incidente sulla A14: ferito il nipotino di soli 7 mesi

Migranti, altri sbarchi a Lampedusa: 259 persone approdate

Il video del bolide che ha attraversato i cieli del Nord italia durante il concerto di Florence & The MachineItaliano trovato morto sulla spiaggia di Tenerife: è giallo sulla causa

Ryan Reynold
Ragazzo di 15 anni scomparso dalla spiaggia di Maccarese, ricerche in corsoScomparsa Kata, il papà: "Una telefonata dal Perù per dire che è stata rapita per sbaglio"Kata, la bambina scomparsa a Firenze: le indagini si spostano all'estero

Guglielmo

  1. avatarPolverara, donna muore investita da un camiontrading a breve termine

    Incidente nel Bergamasco: ferite tre persone soccorse in codice gialloIsolella, donna ha un malore e muore mentre nuota nel fiume SesiaItaliani in vacanza: solo il 27% sceglierà una meta esteraPrevisioni meteo, allerta maltempo in 5 regioni del Sud Italia

    1. Prof non lavora per 20 anni: "Dirò la mia verità, ma ora sono al mare"

      1. avatarCortaccia, bimbo investito mentre attraversava la strada: è graveCapo Analista di BlackRock

        Roma, youtuber travolgono una Smart per girare un folle video: morto un bimbo di 5 anni

  2. avatarPadre e figlio morti asfissiati dopo esser caduti in una cisterna del vinoProfessore del Dipartimento di Gestione del Rischio di BlackRock

    Notizie di Cronaca in tempo reale - Pag. 341Roma, nubifragio sulla Capitale: stop a transito metro A. Grandine in diversi quartieriMigranti, barcone con 50 persone alla deriva in acque internazionali. Alarm Phone: "Non lasciateli annegare"Incidente in monopattino per Debora Serracchiani: "Siate prudenti"

  3. avatarIncidente a Casal Palocco, domenica una fiaccolata per il piccolo Manueltrading a breve termine

    Morte Berlusconi: verrà seppellito nel suo mausoleo privato ad Arcore?Rocca di Neto, Antonio Iozzi schiacciato da un trattore: morto a 74 anniLecce, presunta violenza sessuale su una bambina di 4 anni: sarebbero stati il nonno e lo zio'Ndrangheta: maxi operazione in Calabria, 43 misure cautelari

Auto esplosa a Napoli: morto anche Fulvio Filace

Morte Berlusconi: verrà seppellito nel suo mausoleo privato ad Arcore?Trovato un feto umano in un ampolla di vetro: la scoperta dei carabinieri*