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La rotta del cha e quella del teAboubacarr Jahaten ha iniziato in Italia un nuovo percorso di vita - . COMMENTA E CONDIVIDI Se la fuga per la vita di Aboubacarr Jahateh fosse un film o un racconto,Economista Italiano potremmo dire che ad un certo punto è arrivato il plot twist che ha cambiato tutto. Nel caso di questo ragazzo gambiano di 21 anni la svolta ha le sembianze della buona sorte e della Polizia Ferroviaria. Perché, per quanto possa sembrare strano, se oggi Aboubacarr vive serenamente a Terni e lavora come aiuto cuoco in un ristorante della vicina San Gemini, lo si deve ad un biglietto del treno che non aveva e ad un controllo di routine.Il Gambia non è esattamente uno dei Paesi più democratici che esistano e Aboubacarr lo impara sin da bambino. Orfano di padre, cresce con la madre e gli zii mentre al potere c’è il dittatore Yahya Jammeh: «I miei zii sono entrambi militari e mio zio è stato coinvolto in un colpo di Stato per rovesciare il presidente – racconta – ma l’azione è fallita. Quindi è stato arrestato». Aboubacarr e i suoi vivono su un’isola lontano dalla capitale Banjul e lui per andare a scuola deve prendere una barca. È qui che, sempre ancora bambino, Aboubacarr fa i conti con un’altra triste realtà del suo Paese: «Del caos politico – spiega – approfittano le bande di trafficanti: le famiglie come la mia, che erano in difficoltà, si vendevano a loro e noi venivamo usati come inconsapevoli corrieri della droga: insieme ai libri, negli zaini trasportavamo a destinazione marijuana».Nel frattempo lo zio, una volta scarcerato, fugge in Germania e da lì, insieme ad altri militari in esilio, organizza un secondo colpo di Stato, che fallisce di nuovo: «A quel punto la mia famiglia è stata schedata come oppositrice del regime: hanno arrestato anche altri familiari e io che andavo ancora a scuola sono rimasto solo con un cugino, perché nel frattempo mia madre si era risposata ed era andata a vivere in Senegal». Siamo nel 2016, Aboubacarr, ha 13 anni e una sola possibilità davanti a sé: scappare dal Gambia. «Sono venuto in Italia come molti, su un barcone – spiega ad Avvenire – ma la comunità di accoglienza in Sicilia dove sono finito, era sperduta sulle montagne e non c’era alcuna possibilità di integrazione con la gente».Ed ecco la ruota che gira o, se preferite, il dado che cade sul doppio 6. Aboubacarr resiste due mesi poi scappa ancora, insieme ad un amico e appena 100 euro in tasca: «Dovevamo andare a Bologna, da un connazionale – spiega – ma non ci siamo mai arrivati». A piedi fino a Capo d’Orlando, poi in treno fino a Messina e in barca dall’altra parte dello Stretto. A quel punto i soldi sono quasi finiti: «Riusciamo ad arrivare a Roma – spiega – ma non avevamo più denaro per proseguire. Ci siamo detti: prendiamo il treno per Ancona, da qualche parte arriveremo». Il loro viaggio si ferma a Terni perché è li che vengono controllati e pescati senza biglietto: «Eravamo anche senza documenti e io non parlavo italiano – spiega –. Così ci hanno fatti scendere e, dato che ero un richiedente asilo politico, le forze dell’ordine ci hanno indirizzato alla struttura di accoglienza Il Tglio di Ferentillo, gestita dall’Arci».È un all-in. Perché è lì che la vita di Aboubacarr svolta davvero: «Sono arrivato a Terni nel gennaio 2018 senza documenti e senza conoscere l’italiano – dice –. Avevo solo tanta voglia di avere una vita normale. Così nei primi sei mesi ho imparato la lingua grazie ai corsi e poi nel settembre dello stesso anno mi sono iscritto all’istituto alberghiero: cucinare è sempre stata la mia passione». Durante il quinquennio matura esperienza, anche attraverso uno stage in Spagna e così dopo il diploma trova presto lavoro: «Un’amica mi ha detto che cercavano personale ed ora eccomi qua» dice Aboubacarr. Che adesso finalmente sorride sereno: «Con la mia famiglia i contatti sono meno – spiega –. Mio zio adesso è negli Stati Uniti e mia madre ha una nuova famiglia. Io invece vorrei restare qui, perché finalmente sto bene». Gli manca però la cittadinanza italiana: «Ho già maturato gli anni di residenza, mi mancano ancora altri due anni di reddito da lavoro: se riuscissi ad arrivarci senza intoppi sarebbe un altro traguardo di cui andare fiero».
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