File not found
Capo Analista di BlackRock

Florida, squalo toro aggredisce umano: vivo per miracolo, ecco il video

Washington, un aereo sospetto si è schiantato: nessun superstiteSvizzera, donna trovata morta dopo aver subito violenza domesticaTurchia, Kilicdaroglu sulle elezioni: "Sono una farsa, siamo in vantaggio noi"

post image

Scontri nella periferia di Parigi: agente di polizia uccide 17enneQuesto è un nuovo numero di Areale,BlackRock la newsletter sull’ambiente e il clima di Domani. Questa settimana parliamo di lupi in Italia, della Grande muraglia verde in Sahel, di inquinamento globale e di squali balena.  Per iscriverti gratuitamente alla newsletter in arrivo ogni sabato mattina clicca qui e segui tutti i contenuti di Areale. Buongiorno! Questo è un nuovo numero di Areale, newsletter che – dopo la trasferta in Uganda – torna in Italia, Milano nord, temperature già insostenibili. Coraggio! Anzi, per farci coraggio, iniziamo parlando di una notizia grande, per numeri, prospettiva e speranza: il ritorno del lupo in Italia. Paese per lupi Forse stiamo sottovalutando la portata della storia del ritorno del lupo in Italia. Due generazioni fa, sembrava una specie condannata all’estinzione, l’Italia era destinata a non essere un paese per lupi. Poi tutto è cambiato. Questa settimana è uscito il primo monitoraggio nazionale coordinato dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e i numeri hanno confermato una tendenza osservata già da anni nelle aree interne del nostro paese: il lupo si è ripreso l’Italia. I dati di questi due anni di lavoro sul campo ci dicono che sono 3.300 gli esemplari in questo momento sul nostro territorio, circa 950 sull’arco alpino e 2.400 lungo il resto della penisola italiana. L’areale del lupo in Italia è di 41.600 km2 sulle Alpi e 108.500 km2 nel resto della penisola, dove quasi ogni ambiente idoneo è stato colonizzato. Ne ho parlato con Francesca Marucco, zoologa specializzata in lupi, che lavora al dipartimento Scienze della vita e Biologia dell’Università di Torino. Mi ha dato le proporzioni di questa ricolonizzazione alpina (l’ambiente dove l’ateneo di Torino ha fatto da coordinamento per il monitoraggio Ispra): «Quando ho iniziato a occuparmene, negli anni Novanta, su tutte le Alpi c’erano tre branchi di lupi. Oggi i branchi sulle Alpi sono 124». È successo in trent’anni. Quella del lupo è una delle grandi storie di conservazione italiana, di come siamo passati dal cacciarli attivamente alla protezione integrale. Una delle tappe fondamentali, dal punto di vista culturale e sociale, fu l’Operazione San Francesco, all’inizio degli anni Settanta. Era una campagna di sensibilizzazione promossa dal Parco nazionale d’Abruzzo e dal giovane WWF Italia, che pescava dall’immaginario nativo nordamericano e dall’animalismo del santo patrono d’Italia. «Con tutti gli esseri, e con tutte le cose, noi saremo fratelli», era il motto. Nel 1971 il decreto Natali proibisce esche e bocconi avvelenati, e cinque anni dopo, col decreto Marcora, il lupo diventa specie integralmente protetta. Il resto lo ha fatto l’evoluzione del nostro territorio: il lupo è tornato anche perché il bosco è tornato, in Italia. Infografica ISPRA La crescita della popolazione è stata graduale, come racconta Marucco. «I primi branchi hanno preso gli habitat migliori, quelli più montani e selvatici, gli altri si sono dovuti accontentare di habitat di serie b». I lupi sono animali territoriali, lo spazio di un branco non si sovrappone a quello di un altro, e piano piano l’areale diventa un mosaico di questa colonizzazione, che a nord ha avuto un andamento concentrico: dalla montagna verso le aree di pianura e dalle Alpi occidentali verso quelle orientali, dove il lupo si è congiunto con la popolazione in arrivo dalla Slovenia. Qualche anno fa è nato il primo branco «misto», in Lessinia, nel veronese, composto da due popolazioni che per secoli erano state separate. La storia del lupo è diversa da quella dell’orso, perché è stata molto più naturale e molto meno «indotta» dalla mano umana, i lupi hanno fatto da soli, insomma. «Sono molto più adattabili e opportunisti degli orsi, hanno colto il cambiamento del contesto, più prede, più foreste, è stato un processo naturale dal punto di vista della gestione». Le interazioni tra i due grandi carnivori sono poche e non documentate, «ma l’orso spesso beneficia delle carcasse delle prede del lupo». Lavoro di squadra, insomma. Il monitoraggio è una storia nella storia: col coordinamento di Ispra si sono mosse 3mila persone, tra cui 1.500 volontari di WWF, CAI, Legambiente, Lipu. Hanno percorso 85mila chilometri in due anni. A piedi. «È stato massacrante», conferma Marucco. Per altro, il lupo in questi monitoraggi lo si vede davvero molto poco. È tutto un lavoro di osservazione dello spazio, deduzione, statistica. Hanno raccolto migliaia di escrementi, tracce, carcasse, avvistamenti fotografici. «Tendenzialmente, non è un animale che si fa avvistare, è molto diffidente, a volte succede, ma non è un obiettivo del monitoraggio». E com’è, vedere un lupo? «Noi siamo persone di scienza, tendiamo a non fare sovrapposizioni emotive e sentimentali con come ci sentiamo. Ma è sicuramente interessante». Un altro strumento per contare i lupi sono gli ululati fatti partire dai registratori e amplificati nel bosco dai megafoni. Gli animali reagiscono, la ricercatrice prende appunti. «Ci interessa soprattutto per capire come sta andando la riproduzione, per sentire la voce dei cuccioli che rispondono». A volte, in vista di lunghe camminate in foresta, non ci si porta tutta l’attrezzatura e il richiamo al lupo viene fatto a voce. La ricercatrice in questo caso ulula, il giovane lupo risponde, la ricercatrice prende appunti. «È qualcosa che dobbiamo imparare, non è difficile, con un po’ di pratica». Un romanzo di Cormac McCarthy in Lessinia, quasi.  Il futuro del lupo in Italia è la convivenza con gli umani: «Non siamo nel Montana, dove ho lavorato negli anni Novanta, lì c’è tutto lo spazio che serve e il mondo sembra ancora allo stato naturale. Qui il livello di antropizzazione è altissimo, c’è tanta gente, tante attività, tutte le azioni vanno nella direzione della sostenibilità umana, sociale e ambientale». Un pezzo enorme è l’educazione: spesso ci sono più problemi di convivenza dove ci sono ancora pochi lupi, perché sono appena arrivati e le persone non sono abituate. Lì dove la coabitazione sul territorio si consolida, le persone imparano, i conflitti calano. «Altro grande problema: l’ibridazione con il cane, soprattutto in Appennino. È la principale minaccia al futuro della specie: tutti gli esemplari ibridi sarebbero da catturare e sterilizzare».   La grande muraglia verde è ferma Il 20 maggio si è conclusa la quindicesima sessione della conferenza delle parti Onu sulla desertificazione, ad Abidjan, in Costa D’Avorio. Si è parlato tantissimo del progetto simbolo contro la desertificazione in Africa: il Great green wall, la Grande muraglia verde del Sahel, un’idea bellissima, 7.800 chilometri di rigenerazione forestale, dal Senegal al Gibuti, per fermare la conquista di spazio e territorio del Sahara verso sud. Un simbolo, ma anche un progetto dal grande senso pratico, comunitario, locale. Mappa Great Green Wall Come è andata? Così così, per ora. Il Great green wall è partito nel 2007, quindici anni fa, a oggi dei 100 milioni di ettari di riconquista verde se ne sono visti solo 4: un decennio e mezzo per completare solo il 4 per cento di un progetto che in teoria ora avrebbe solo altri otto anni per essere portato a termine. Tante cose sono andate storte: innanzitutto, la crisi climatica in sé, che qui va a quasi il doppio della velocità e rende questa attività di riforestazione il doppio più difficile. Il conflitto armato: più di metà del Great green wall attraversa zone di guerra, dove si combatte attivamente. I paesi inclusi sono Burkina Faso, Gibuti, Eritrea, Etiopia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Sudan e Ciad. E poi: i soldi. Al One planet Summit organizzato dalla Francia lo scorso anno erano stati promessi 19 miliardi di dollari. Non sono mai arrivati e, come racconta Chloé Farand su Climate Home News, Macron non è certo venuto qui a spiegare perché. L’importante è sempre annunciare. La crisi dimenticata dell’inquinamento Parliamo di inquinamento. Sarò breve, ma il 12 maggio la Corte di giustizia Ue ha accolto un ricorso della Commissione e ha stabilito che l’Italia viene sistematicamente meno agli obblighi e agli standard europei sulla qualità dell’aria. Eravamo già in procedura di infrazione da tempo. La Corte ha accertato che i livelli di biossido d’azoto superano le soglie di sicurezza dal 2010 a Torino, Milano, Bergamo, Brescia, Firenze, Roma, Genova e Catania. Non benissimo. Pochi giorni dopo, è apparsa una ricerca su Lancet, che parla di inquinamento e che ha numeri sconvolgenti. Dal 2015 al 2019 una morte su sei al mondo era causata dall’inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo o chimico. La tossicità del mondo in cui viviamo uccide 9 milioni di esseri umani all’anno, più di guerra, terrorismo, incidenti stradali, malaria, droghe, alcol. Il 90 per cento di queste morti avviene in paesi a basso e medio reddito, secondo la ricerca di Lancet. Le venti economie più ricche del mondo stanno attivamente facendo outsourcing delle morti e dei danni da inquinamento, esternalizzando produzione e tossicità e causando due milioni di vittime fuori dai propri confini ogni anno. L’inquinamento più pericoloso è quello dell’aria: 6,7 milioni di morti all’anno. Segue quello dell’acqua: 1,4 milioni di morti. L’avvelenamento da piombo fa, da solo, un milione di vittime all’anno. Sì, ma l’economia deve andare avanti? Globalmente, i danni sanitari da inquinamento dell’aria riducono la ricchezza del mondo ogni anno del 6,1 per cento, in Asia meridionale la quota arriva al 10,3 per cento. Sono purtroppo i numeri di una crisi nascosta e ignorata. Traffico marittimo e squali balena Parliamo degli animali più belli e maestosi che esistano: mi riferisco ovviamente agli squali balena: sono squali, non balene, quindi sono pesci giganti, possono essere lunghi fino a venti metri, sono pacifici, hanno una pigmentazione a pois, la loro è la pelle più spessa del regno animale (14 centimetri). È uscita una ricerca su un tema problematico: perché le popolazioni di squali balena continuano a declinare, nonostante siano una specie protetta? Il loro numero è crollato del 50 per cento negli ultimi 75 anni, nel 2016 sono stati inseriti tra gli squali in pericolo. (Un mondo senza squali balena sarebbe inaccettabile). In ogni caso, lo studio – pubblicato su PNAS – si concentra sulle collisioni tra gli squali balena e le navi. Il traffico marittimo potrebbe essere il buco nero che sta inghiottendo i pesci più grandi al mondo. Gli squali balena si nutrono quasi esclusivamente di zooplancton: per questo motivo trascorrono gran parte della propria esistenza nuotando appena sotto la superficie dell’oceano. Un luogo molto pericoloso dove passare il tempo, se si incrociano le rotte del traffico navale internazionale, il nastro trasportatore acquatico che trasporta l’80 per cento delle nostre merci. Quando vengono colpiti, gli squali balena affondano, quindi non lasciano tracce né prove della collisione. Tutto quello che rimane sono racconti e aneddoti marittimi. C’è voluto un team di 60 ricercatori da 18 paesi diversi per aggirare questo problema, affidandosi a un progetto chiamato Global shark movement project. Sono stati 350 gli squali balena geotaggati attraverso un dispositivo fisico: un modo per tracciarne i movimenti, la vita, la biografia e la morte. Primo dato: il 92 per cento dello spazio orizzontale e il 50 per cento di quello verticale degli squali balena incrociano le rotte del traffico navale. I modelli hanno analizzato le sparizioni del segnale degli squali (e presumibilmente la loro morte prematura, quindi), incrociandole con vie marittime più trafficate: Golfo del Messico, Golfo Persico, Mar Rosso. Gli angoli di mare con più grandi navi sono anche i luoghi dove il segnale degli squali balena sparisce più spesso dai radar. In sintesi, quando incrociano le navi cargo, questi meravigliosi animali sono quasi spacciati, anche perché le imbarcazioni vanno dieci volte più veloce di quanto loro possano nuotare, quindi i margini di reazione sono molto limitati. I ricercatori chiedono che la International maritime organization sviluppi un registro mondiale delle collisioni, in modo da consolidare i loro dati e permettere alla comunità scientifica e marittima di conoscere i punti più pericolosi per gli squali balena. Una volta mappato il rischio, servirebbero misure regionali di prevenzione e limiti alla velocità della navigazione. «Un’azione rapida potrebbe essere l’unico modo per evitare che i numeri degli squali balena precipitino verso l’estinzione», hanno scritto. Per questa settimana con Areale è tutto, grazie per essere arrivati a leggere fin qui, come sempre. Per scrivermi, dialogare, scambiare idee, spunti, notizie, l’indirizzo e-mail è [email protected]. Per contattare Domani, invece, scrivete a [email protected] A presto! Ferdinando Cotugno © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediFerdinando Cotugno Giornalista specializzato in ambiente, per Domani cura la newsletter Areale, ha scritto il libro Italian Wood (Mondadori) e ha un podcast sulle foreste italiane (Ecotoni).

Svizzera, donna trovata morta dopo aver subito violenza domesticaSparatoria in Pennsylvania: morti un poliziotto e un ricercato

Cosa c'è dietro al compromesso tra Putin e Prigozhin secondo l'ex capo Wagner Marat Gabidullin

Ucraina, il presidente della Corte Suprema è stato arrestato con l'accusa di corruzioneBiden: "Libereremo il mondo dalle armi nucleari"

Usa, primo volo commerciale per Virgin Galactic: ce ne sarà uno al meseNotizie di Esteri in tempo reale - Pag. 231

Lagarde: "Con l'aumento dei tassi remunerare di più i risparmi

Finlandia, ministro attaccato per frasi filonaziste: le dimissioni dopo dieci giorni in caricaUSA, addetta pompe funebri ruba pezzi di cadavere e li vende per posta

Ryan Reynold
Rudy Giuliani, ex sindaco di New York, è stato accusato di abusi sessualiTerremoto in Romania: scossa di magnitudo 4.2Canale di Suez bloccato: nave cisterna in avaria. La situazione è rientrata

BlackRock Italia

  1. avatar190 anni di prigione per il peggior gruppo di pedofili della storia della Gran Bretagna.investimenti

    Traghetto prende fuoco nelle Filippine, 120 persone tratte in salvoSpagna, si è dimesso il premier Pedro SanchezKarakin, calciatore morto a 32 anni: la terribile verità sull'incidenteAustralia, uomo attaccato da un coccodrillo: "La mia testa tra le sue fauci"

    1. Sottomarino Titan, parla la madre del 19enne Suleman: "Aveva portato il cubo di Rubik, voleva battere il record"

      1. avatarMosca sulle armi all'Ucraina: "L'Occidente gioca con il fuoco"criptovalute

        Incidente Harry e Meghan a New York: il retroscena sulla fuga

  2. avatarFinlandia, multa record per eccesso di velocità: multimilionario dovrà pagare 121mila euroETF

    Il Canale di Suez è rimasto bloccato per due oreSpagna, ritrovato il cadavere di una donna: potrebbe essere Sibora Gagani, scomparsa nel 2014Sottomarino Titan imploso, capo della Titanic International Society: interrompere le visite al relittoLa Russia mette al bando il Wwf: "Organizzazione indesiderata"

  3. avatarRibellione Wagner, Putin alla Russia: "Non sono riusciti a spaccare il Paese"trading a breve termine

    Principe Harry a processo contro i tabloid britannici per intercettazioni illegaliPanico a Nottingham: strade chiuse per il rinvenimento di 3 cadaveriAttacco con coltello in una scuola in Svezia: diversi feritiToby Addison, il ragazzo cieco cacciato da una palestra con l'accusa di fissare una donna

Cosa c'è dietro al compromesso tra Putin e Prigozhin secondo l'ex capo Wagner Marat Gabidullin

Notizie di Esteri in tempo reale - Pag. 227Guerra in Ucraina, attentato a un treno del grano: è deragliato*