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Lui, 35 anni, è il protagonista dell’incredibile e paradossale vicenda che vi abbiano raccontato ieri: cittadino kosovaro, arrivato in Svizzera con la famiglia (in Ticino dagli anni Settanta) quando aveva pochi mesi di vita, nel 2009 viene condannato a due anni e due mesi di carcere per un pestaggio in centro città andato in scena l’anno prima. «Ho sbagliato e mi dispiace molto» ammette. Un limbo lungo anniDa quel momento inizia un iter giudiziario fatto di ricorsi e domande di revisione. Fino ad arrivare, appunto, al suo allontanamento dal Ticino, un anno fa. Già, perché in seguito a quella condanna, le autorità cantonali gli ritirano il permesso di domicilio. All’epoca non esiste ancora l’espulsione penale obbligatoria (probabilmente non sarebbe stata pronunciata in quanto caso di rigore) ma il Cantone è irremovibile: Ardit se ne deve andare. A complicare le cose, come abbiamo potuto appurare dalla documentazione che il diretto interessato ci ha inviato, c’è però un grave problema cardiaco alla valvola aortica, attestato nel 2016 da una perizia medica. «Sin da quando ero piccolo sono stato seguito da specialisti svizzeri», ci spiega. Proprio su questi problemi cardiaci, Ardit e il suo legale fanno leva nel ricorrere contro la decisione di revoca del permesso (e nelle successive domande di revisione). In alcuni casi, il Tribunale federale accoglie i loro ricorsi e ordina nuovi accertamenti circa il suo stato di salute. Ma alla fine, le autorità cantonali gli intimano di lasciare la Svizzera nel giugno del 2023 e la Segreteria di Stato della migrazione emana un divieto di entrata valido tre anni, iscritto nel SIS. Per quanto riguarda le cure di cui Ardit ha bisogno, la SEM – e così il Tribunale amministrativo federale, che respinge il ricorso con una sentenza ora cresciuta in giudicato – fa presente che è possibile chiedere una sospensione temporanea del divieto per poter essere ricoverato in una struttura elvetica.Cosa dicono i mediciUna terza domanda di revisione è al vaglio del TRAM. Un’altra procedura è invece pendente davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo e concerne il ripristino del permesso C (o almeno il rilascio di un permesso B) e la revoca del divieto d’entrata in Svizzera e nell’area Schengen. Ardit fa leva su due certificati medici: uno del 20 giugno 2023, redatto da uno specialista ticinese in chirurgia: «Dall’ultimo rapporto cardiologico di Zurigo datato il 1. giugno 2023 si nota un peggioramento progressivo della valvola Melody e a breve termine avrà bisogno di una nuova sostituzione valvolare. Per tutta la vita il paziente dovrà essere monitorato in centri specializzati come quelli di Zurigo e da cardiologi qualificati che conoscono a perfezione la patologia. Nell’arco della sua vita avrà bisogno di più interventi di sostituzione valvolare che dovranno essere seguiti in centri altamente specializzati come quelli di Zurigo», si legge. «Gli ospedali in Kosovo non sono attrezzati per eseguire interventi così complessi e delicati di cui ha bisogno il paziente e non possono nemmeno eseguire tutti i controlli necessari. Se il paziente venisse espulso con questa progressiva degenerazione della valvola Melody in Kosovo, dove non ci sono strutture che possono prenderlo a carico, è garantito che morirebbe». Questo documento, va precisato, era stato presentato anche nella speranza di scongiurare il rimpatrio: invano. Il secondo certificato è di un medico kosovaro, il quale ammette che «le attuali condizioni cardiache del paziente sono estremamente peggiorate ed instabili dall’ultimo controllo» e che «non posso approfondire la situazione cardiologica del paziente per mancanza di attrezzature e di conoscenza approfondita del caso, e il solo monitoraggio ecocardiografico non è sufficiente per un caso così complesso e difficile». Anche lo specialista kosovaro conferma «la nostra incapacità di poterlo seguire adeguatamente e operarlo in Kosovo come hanno detto due colleghi dell’Ospedale Universitario di Pristina e dell’Ospedale Americano di Pristina». Sul caso, ci dice il nostro interlocutore, si erano espressi a favore quattro medici, oltre al medico cantonale. «Non lo hanno ascoltato». «Ho bisogno dell’intervento»Ardit non nasconde la sua preoccupazione: «Sono preoccupato. Ho bisogno di questo intervento e anche se mi concedessero la sospensione del divieto d’entrata, dovrei farmi carico di tutti i costi, visto che non ho una cassa malati. E non avendo potuto lavorare per tutti questi anni (era senza permesso, ndr) dipendo esclusivamente dalla mia famiglia. Non ho mai avuto debiti né percepito prestazioni assistenziali». Il pensiero non può che tornare a quella maledetta sera di ottobre del 2008. «Vorrei solo poter dimostrare che sono una brava persona, rivedere la mia famiglia e i miei amici a Lugano e in Ticino. Sono preoccupato per la mia vita: più il tempo passa più le mie condizioni fisiche peggiorano, rischiando di provocarmi danni irreparabili».In questo articolo: Luganese

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