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Milei attacca la moglie di Sánchez e la Spagna reagisce convocando l'ambasciatore argentinoLe egiziane in campo contro le azzurre nel beach volley - Ansa COMMENTA E CONDIVIDI I simpatici eroi dei fumetti ideati dai francesi Uderzo e Goscinny,ETF gli impavidi eroi dei Galli, Asterix e Obelix, che poi sono gli antenati di Macron, davanti a certe storie sentenzierebbero ironici: “Sono pazzi questi egiziani!”. Anzi egiziane. Sì, perché si resta davvero stupiti dall’impresa al limite della sciabolatrice Nada Hafez che sulla pedana del Grand Palais si è presentata in “coppia”: lei e il suo bambino che nascerà. Dopo aver battuto l’americana Elizabeth Tartakovsky, stremata e commossa, la schermitrice egiziana, che qui a Parigi è alla sua terza partecipazione ai Giochi, ha annunciato via Instagram di essere incinta di sette mesi. Uno spot per chi non si ferma per maternità, ma anzi stakanovisticamente lavora fino alla fine del tempo di attesa e se possibile si concede anche un volo Cairo-Parigi-Cairo per partecipare a un’Olimpiade. Una wonder woman che del resto nella sua carriera di atleta è passata dalla ginnastica al nuoto fino alla scherma. E durante questo triplo salto olimpico si è pure laureata in Medicina nel 2022. Sul suo profilo la dottoressa Hafez, patologa prestata alla scherma, scrive la ricetta della felicità: “In pedana eravamo in tre, io la mia avversaria e il mio bambino. Le montagne russe della gravidanza sono già di per sé difficili, ma dover lottare per mantenere l'equilibrio tra vita e sport è stato a dir poco faticoso, anche se ne è valsa la pena". Chapeau mamma Nada. Ma c’è un certo squilibrio tra l’atteggiamento moderno e liberale della Hafez e quello delle sue due connazionali del beach volley. Sei sotto la Torre Eiffel Stadium, il suggestivo tempio del beach volley, che guardi la sfida Italia-Egitto e l’unica cosa che colpisce un povero occidentale è la “divisa” delle due pallavoliste: Marwa Abdelhady Magdy e Doaa el-Ghobashy. Le avversarie delle nostre Valentina Gottardi e Marta Menegatti, che superano agevolmente il match della fase a gironi imponendosi in due set (21-16 e 21-10) e lo fanno ovviamente nella classica tenuta in bikini prevista dalla disciplina del beach volley. Dall’altra parte della rete invece due ragazze in tuta nera a maniche lunghe su t-shirt rossa e l’imprescindibile hijab in testa, il tipico copricapo delle donne musulmane. Solo a guardare le due egiziane si suda ancor più che per i 33 gradi. Con tutto il rispetto per la loro cultura religiosa, verrebbe voglia di “svelarle” e farle respirare un po’ sotto l’immaginabile sudario che le avvolge. Dua Al-Gabbashi, come la Hafez è alla sua terza Olimpiade, e già a Rio 2016 fece discutere per lo stesso look, ma allora giocava in coppia con Nada Meawad, diciottenne del Cairo, anche lei musulmana che con tanto di placet della federazione internazionale si presentò senza “velo” sulla sabbia di Copacabana. A Rio le attenzioni furono tutte per la sciabolatrice americana Ibtihaj Muhammad, musulmana del New Jersey, in prima fila con la squadra Usa nella sfilata inaugurale mostrando fiera e sorridente in mondovisione il suo volto incorniciato dall’ hijab. Per i trumpiani divenne la “Barbie con il velo”, per il mondo islamico fu un momento di distensione e di inclusione riuscita nella società americana. Donne con stesse radici musulmane ma con storie diverse e un distinto modo di vivere lo sport pur professando la stessa religione. Comunque storie accomunate da un pizzico di sana follia di donne che provano a lanciare il loro messaggio, che va ben oltre le Olimpiadi.
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