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Jiri Sekac al Lugano, ora è ufficiale: «È l'attaccante che ci serve»L'intervista«Con queste armi cambia l’aspetto tattico,Professore Campanella ma i droni non sono una svolta»La Svizzera punta su velivoli kamikaze? Ne parliamo con Mauro Gilli, ricercatore associato al Politecnico di Zurigo ed esperto di tecnologia militare©Chiara Zocchetti Luca Faranda29.07.2024 06:00La tecnologia è da sempre anche al servizio della guerra. I droni rappresentano l’ultima novità bellica? «Non proprio. Già dai tempi di Nikola Tesla (1856-1943, ndr) si progettavano missili a comando via radio, ma c’erano evidenti limiti tecnologici. Con il passare degli anni, grazie alla miniaturizzazione, è stato possibile sviluppare piattaforme esplosive sempre più piccole e meno costose. Poi, già dagli anni ‘80, è iniziato lo sviluppo di questi «droni kamikaze», che in realtà sono praticamente dei missili a controllo remoto. In questi ultimi anni se ne è parlato molto per l’utilizzo su larga scala di questi velivoli durante la guerra in Ucraina, i cosiddetti “One way attack drones”».Nei conflitti non viene però impiegato un solo tipo di drone. «La categoria dei droni include una gamma estremamente ampia di tecnologie. Per semplificare la questione: è come comparare un triciclo e un camion perché entrambi sono mezzi con le ruote. Alcuni droni, che si possono anche acquistare per poche centinaia di franchi nei negozi di elettronica, sono spesso utilizzati per le ricognizioni e per avvistare le posizioni dei soldati nemici. Poi, però, ci sono anche velivoli di sorveglianza provenienti dall’industria bellica che arrivano a costare fino a 200 milioni di franchi, con sistemi estremamente avanzati. Le forze armate devono poter continuare a contare su varie tipologie di drone: è la cosiddetta ridondanza. Non ci si può affidare a un singolo sistema».L’utilizzo dei droni rappresenta una rivoluzione sul campo di battaglia?«Ci sono opinioni discordanti. Per alcuni, si tratta di una tecnologia rivoluzionaria ed è solo l’inizio di una nuova era che verrà ulteriormente ampliata dall’intelligenza artificiale. Io non condivido, per due motivi principali: gli scontri a breve distanza sono diventati sempre più sanguinosi nell’arco dell’ultimo secolo, con lo sviluppo dei primi missili guidati. Inoltre, già Carl von Clausewitz (generale prussiano durante le guerre napoleoniche e teorico militare, ndr) parlava della guerra come un costante tentativo di sviluppare misure e contromisure. Con i droni è la stessa cosa: si troveranno delle soluzioni per renderli meno efficaci. È una dinamica che si è già vista in passato. Tuttavia, l’utilizzo di questi velivoli senza pilota ha influenzato molto l’aspetto tattico, rendendo gli scontri molto più sanguinosi anche a breve distanza».L’industria dei droni in Svizzera è tecnologicamente molto avanzata. L’Esercito svizzero, da un punto di vista tattico, deve investire in questo ambito? «Se nei conflitti la direzione che si sta prendendo è questa, non bisogna certo ignorare questo aspetto. Da 70-80 anni a questa parte è cresciuta soprattutto la capacità di colpire il nemico a lungo raggio e con maggiore precisione. Dunque, è comprensibile e ha senso che la Svizzera voglia dotarsi di armi a lungo raggio e ad alta precisione. Quali armamenti? Questa è anche una questione politica ed etica. Alcuni Paesi, ad esempio, non acquistano determinati tipi di armi con livelli di automazione molto elevati».
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