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Ministro senza portafoglio, il significato della formula

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Sul lockdown Salvini si pente: "Oggi non riapproverei quelle norme"Nel volume “Con Dio non se mai solo” sono raccolti alcuni dei più significativi interventi pubblici di Benedetto XVI,VOL interamente scritti da lui La prefazione di padre Lombardi - Ansa COMMENTA E CONDIVIDI Pubblichiamo la prefazione di padre Federico Lombardi, presidente della Fondzione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, già direttore della Sala Stampa vaticana al libro “Con Dio non sei mai solo”. Il volume (Rizzoli, 168 pagine, 15 euro) è curato da Alessandra Maria Turco e Lorenzo Fazzini. Come tutti sappiamo, non solo gli scritti, ma anche i discorsi e le omelie pronunciati da Papa Ratzinger durante il suo governo della Chiesa sono stati immensamente più di dieci, e quasi sempre di contenuto molto ricco e di qualità espressiva eminente. Se poi allarghiamo lo sguardo all’intera opera di Joseph Ratzinger, anche precedente il papato (e in piccolissima parte pure seguente), ci troviamo di fronte a un vasto mare, che grazie alla pubblicazione dell’Opera Omnia, tuttora in corso, potrà essere percorso e scandagliato per lungo tempo. Ogni scelta è quindi necessariamente riduttiva e in certa misura discutibile.Allo stesso tempo, il pensiero di Benedetto XVI è così coerente, e diciamo pure “organico” nel suo insieme e nel suo sviluppo, che se ne possono cogliere le linee principali anche a partire da una scelta limitata dei suoi testi.In questa raccolta ci si limita rigorosamente al tempo del pontificato. È il Papa Benedetto XVI che parla. Perché sia facilmente leggibile, la si è contenuta in dimensioni ridotte. Perciò la scelta di dieci testi, necessariamente arbitraria ma di numero simbolicamente compiuto. Scorrendo l’indice si vede che si tratta sempre di “discorsi”, cioè testi effettivamente pronunciati oralmente in modo integrale davanti a un uditorio preciso. Non sono “scritti” o “documenti” magisteriali, né arricchiti da ampia documentazione. Sono di lunghezza limitata e caratterizzati da un contesto concreto. Ciò non impedisce a papa Benedetto di allargare il suo sguardo agli orizzonti del mondo e della storia, ma determina ogni volta la scelta dell’argomento e il genere espressivo, che egli stesso indica con grande chiarezza introducendo i suoi interventi. I tempi dei discorsi sono diversi e si distribuiscono sull’intero pontificato. Altro è parlare alla Chiesa intera nel grande giorno dell’inaugurazione del pontificato, altro parlare ai sacerdoti nel tempo drammatico della crisi degli abusi sessuali, altro parlare nell’ultima udienza generale, accomiatandosi dei fedeli. Si va dunque dall’inizio alla fine di un papato.Anche i luoghi sono diversi. Altro è parlare ai fedeli raccolti in Piazza San Pietro o collegati in audio-video da ogni parte del mondo, altro parlare alla Curia romana, altro ai giovani della Giornata mondiale della Gioventù a Colonia. Altro ancora parlare nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, altro nell’Università di Regensburg, altro nel Reichstag di Berlino al Parlamento tedesco e così via. All’osservatore attento non sfugge tuttavia che tutti i luoghi sono in Europa. In certo senso non è un caso. L’ultimo “Papa europeo” conosce fino in fondo la cultura e la storia del suo continente, ed è convinto che non sia un caso che la forma assunta dalla fede cristiana in dialogo con la ragione si sia formata in Europa, che qui si siano verificate le drammatiche fratture del dialogo fra fede e ragione, che qui egli è tenuto a continuare a impegnarsi per continuarlo e risanarlo, al servizio dell’umanità intera. Chi parla è sempre Benedetto XVI – inconfondibilmente lui. Con la vastità della sua cultura, la chiarezza dell’esposizione anche per argomentazioni complesse, la sua passione per la ricerca della verità, la professione esplicita della sua fede cattolica. Non è superfluo osservare che degli innumerevoli discorsi e interventi che ogni papa legge o pronuncia nel corso di udienze di ogni tipo, una gran parte naturalmente non sono stati redatti da lui personalmente ma da suoi collaboratori, e il papa “li fa suoi” dopo averne verificato la fedeltà alla sua mente. Ciò valeva anche per Papa Ratzinger, seppur meno che per altri. Ma per i discorsi di questa raccolta possiamo stare certi che sono assolutamente “suoi”, dalla prima all’ultima parola. Si trattava di occasioni troppo importanti per non assumersi pienamente la responsabilità della scelta di ogni parola e argomentazione.Se ci è permesso aggiungere qualche parola sui dieci discorsi scelti, possiamo distinguerli in due gruppi di cinque ciascuno. Quelli diretti piuttosto alla vita della Chiesa e quelli diretti al mondo della cultura, della società, della politica.«La Chiesa è viva. Questa è la meravigliosa esperienza di questi giorni» (24 aprile 2005) – «Sono veramente commosso! E vedo la Chiesa viva» (27 febbraio 2013). Il pontificato si apre e si chiude con la stessa testimonianza: la vitalità della Chiesa che gli è stata affidata da guidare. Nonostante le difficoltà la Chiesa è viva perché Cristo è vivo, risorto, e la Chiesa appartiene a lui, che è il Buon pastore e la accompagna stando nella sua barca anche nei momenti della tempesta.Non c’è altro programma da compiere che lasciarsi guidare da lui con fiducia. Pascere vuol dire amare, vuol dire mostrare Dio agli uomini, il Dio che possiamo incontrare in Cristo e che ci salva dai deserti e dalle oscurità per condurci alla vita e alla luce. Il primo discorso di Benedetto si chiude con un appello ai giovani a non aver paura di Cristo, che non toglie nulla e dona tutto. Risuona l’eco del primo grande discorso di Papa Woytjla: «Non abbiate paura, aprire le porte a Cristo!». La vicenda della Chiesa, al suo interno e nella sua proiezione missionaria, può essere compresa solo nella fede.I giovani Benedetto li incontrerà pochi mesi dopo alla Giornata mondiale della gioventù di Colonia, e li inviterà a mettersi in cammino, come i Magi, lungo la strada della Chiesa nel tempo. Una Chiesa con i suoi errori e difetti, composta di peccatori ma anche di santi. Questi sono i veri rivoluzionari della storia e ci insegnano lo stile di Dio, non il potere ma la verità, il diritto, la bontà, il perdono, la misericordia, costruendo uno spazio di comunione e di unità attraverso i continenti, le culture, le nazioni, seguendo la stella di Cristo, che illumina la storia.Per il cammino e il rinnovamento della Chiesa nel nostro tempo, Papa Benedetto indica come riferimento i testi del Concilio Vaticano II, a quarant’anni dalla sua conclusione. Testimone del Concilio, a cui ha partecipato attivamente come esperto teologo, ha l’autorità per sviluppare il discorso sulla corretta recezione del Concilio. Un discorso rimasto famoso, sulla differenza fra un’ermeneutica della “rottura e discontinuità” e un’ermeneutica “della riforma e continuità”, in cui fedeltà e dinamica diventano una cosa sola. Papa Benedetto afferma che i frutti positivi del Concilio vanno sviluppandosi. Egli mette in luce in particolare il nuovo atteggiamento positivo della Chiesa, che orienta il dialogo fra ragione e fede nel nostro tempo in campi di importanza cruciale, come la relazione fra le scienze e la fede, la relazione fra lo Stato moderno laico e la Chiesa con la sua visione dell’uomo e della società, la relazione fra la Chiesa e le grandi religioni.Anche se il pontificato di Benedetto XVI è caratterizzato dalla personalità del papa-teologo – e quindi dal suo impegno per la proposta della fede cristiana in rapporto alla cultura contemporanea –, non si può dimenticare che esso è segnato anche da grandi problemi di governo, in particolare la crisi per il venire alla luce degli abusi sessuali non solo nella società, ma anche specificamente nel clero cattolico. Una situazione dolorosa e drammatica a cui il Papa deve dedicare gran parte delle sue forze. Fra i suoi numerosi interventi sul tema, in questa raccolta vi fa riferimento – in prospettiva di lettura teologico-spirituale –, il discorso per la conclusione dell’Anno sacerdotale. La presenza del male, del “maligno” e del peccato nella vita della Chiesa, pur nella loro forza terribile, non devono spegnere la fiducia nella forza della grazia di Cristo e nei suoi frutti di santità. A testimonianza dell’impegno profuso da Papa Benedetto nel rispondere a questa sfida è apparso però necessario aggiungere, in Appendice, la Lettera ai cattolici dell’Irlanda, il documento più completo da lui dedicato all’argomento, un orientamento lungimirante e di ampia prospettiva per il cammino di conversione e rinnovamento.Gli altri cinque discorsi, rivolti “all’esterno” della Chiesa, sono generalmente riconosciuti fra i più noti e significativi del pontificato. Rileggendoli insieme ne appare – con chiarezza forse inaspettata e sorprendente – il filo conduttore comune: quello del rapporto e del dialogo fra la ragione e la fede. Nella storia e in particolare oggi, nel nostro tempo. Dalla drammatica e ineludibile domanda di Auschwitz: «Dov’era Dio in quei giorni?», Papa Benedetto percorre con umiltà un cammino lungo e impegnativo. Si tratta di riconoscere un Dio della ragione, di una ragione che non è una neutrale matematica dell’universo, ma che è una cosa sola con l’amore, con il bene, e che ci conduce a riconoscere il male come male e a rifiutarlo. A Regensburg, egli si pone espressamente come tema il rapporto fra fede e ragione a partire dall’incontro fra la fede biblica e l’interrogarsi greco, fino ad oggi. A Parigi, al Collège des Bernardins, approfondisce il rapporto fra le origini della teologia occidentale nel medioevo e le radici della cultura europea, indicando che la formazione di tale cultura è frutto del quaerere Deum, e conclude che l’attuale assenza di Dio è assillata dalla domanda di lui e che la ricerca di Dio rimane il fondamento di ogni vera cultura. A Londra, alla Westminster Hall, di fronte ai rappresentanti dell’intero popolo britannico, nel luogo del processo a san Tommaso Moro, parla del giusto posto che il credo religioso deve mantenere anche oggi nel processo politico e sostiene che il mondo della ragione e quello della fede hanno bisogno l’uno dell’altro per il bene della nostra civiltà. Afferma che se i principi morali che sostengono il processo democratico non si fondano su qualcosa di più solido che sul consenso sociale, la sua fragilità diventa evidente. Infine, proprio nella sede del Parlamento tedesco a Berlino, evocando l’abisso di orrore del nazismo, affronta la questione dei fondamenti dello Stato liberale di diritto, della difficoltà di distinguere il bene dal male nelle fondamentali questioni antropologiche in gioco nella società contemporanea. Mette in questione il dominio esclusivo della ragione positivista, ricorda che l’uomo ha una natura che bisogna rispettare e non manipolare a piacimento, poiché l’uomo non crea sé stesso. Così, Papa Benedetto ripropone agli uomini del nostro tempo la domanda se la ragione oggettiva che si manifesta nella natura, indagata e conosciuta dalla ragione soggettiva dell’uomo, non presupponga una Ragione creatrice che fonda ambedue, e richiama la responsabilità dell’uomo davanti a Dio e il riconoscimento della dignità inviolabile di ogni persona umana, fatta ad immagine di Dio.Se ricordiamo che Papa Benedetto ha sempre considerato che la missione della Chiesa e sua è anzitutto di parlare all’umanità di Dio, del Dio di Gesù Cristo, in un tempo in cui Dio sembra tramontare all’orizzonte dell’umanità secolarizzata; se ricordiamo che ha visto il frutto del Concilio nel ritrovare il rapporto positivo di dialogo fra la Chiesa e il mondo moderno… comprendiamo con quanta passione egli ha cercato di praticare in prima persona e di proporre a tutti il dialogo vissuto fra la ragione e la fede come via necessaria per il bene e la salvezza di ognuno e dell’intera famiglia umana di fronte alle sfide drammatiche del nostro tempo.Questo è il messaggio che emerge con grande forza dalla lettura di queste pagine, dal riascolto dei grandi discorsi di Benedetto XVI.

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