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Manichino di Giorgia Meloni impiccato a testa in giù a BolognaVent'anni consumati dalla necessità di saltare le tappe in fretta,investimenti vivendo nella casa di famiglia da sola (con la gatta), e lavorando in una fabbrica di pelli, fra ritmi indistinti e alienanti. Poi un piano folle che riesce, diventa la molla che porta la protagonista (una straordinaria Marianna Fontana) a uscire dall'ombra: un personale bisogno di ribellione contro più di un potere. E' il percorso profondo tracciato da Luce di Silvia Luzi e Luca Bellino, il primo dei due film italiani in concorso alla 77/a edizione del locarno Film Festival.I due autori, a sei anni dalla loro pluripremiata opera prima Il Cratere (sulla voglia di rivalsa di un padre che vede la possibile svolta nel talento canoro della figlia), che aveva esordito a Venezia in gara nella Settimana della Critica tornano al loro cinema di fiction intessuto di vita reale (è una produzione di Bokeh Film e Stemal Entertainment con Rai Cinema), utilizzando un cast in grandissima parte di non professionisti, sviluppando la sceneggiatura con un lungo lavoro di preparazione, fra le persone e nei luoghi dove la storia è ambientata. Come per Il Cratere siamo in Campania, stavolta, in una zona montagnosa e industriale, intesa come riflesso di un sud esteso . Torna al centro anche la figura paterna: "In Il cratere quel padre lo vedevamo e la protagonista sentiva la necessità di provare a fuggire - spiega all'ANSA Luca Bellino -. Qui è un'ossessione molto più intima, un bisogno che forse non riguarda soltanto la figura paterna, ma tutti i rapporti di potere, cioè il bisogno di essere riconosciuti in qualche modo, in quel passaggio che si vive da ragazza a donna". La protagonista ( di cui non conosciamo il nome, gli altri le si rivolgono utilizzando spesso vezzeggiativi, come Picciré) "rinasce" quando grazie all'aiuto di un fotografo di cerimonie, entra in contatto (non sveliamo come) attraverso un cellulare con una voce, forse quella del padre (Tommaso Ragno), oltre le mura di un carcere."E' una relazione che vive molto nella testa della ragazza, è una sua costruzione e viene dal suo tumulto interiore - aggiunge Silvia Luzi - . C'è la nostalgia, c'è lo struggimento, c'è la solitudine, c'è la finzione totale, è un gioco di ruoli feroce". Si affronta nella storia "il bisogno di rivolta di fronte a diversi poteri, tra quali anche quello dell'immagine" . Perché la riscrittura della verità appartiene alla società di oggi "è qualcosa che vediamo costantemente sui social, attraverso la presentazione pubblica di noi stessi. Siamo in un'epoca in cui il filo tra realtà e finzione non c'è più" sottolinea Bellino. La protagonista però ha "bisogno di vedersi realmente"; cerca la luce che possa illuminarla" chiosa Luzi.Un racconto intimo abbracciato con totale dedizione da Marianna Fontana che "ha accettato di diventare per un periodo quell'operaia, stando per 4 mesi in catena di montaggio. Ha dovuto imparare il lavoro e a comportarsi con le altre attrici non attrici, alla pari - spiega Bellino -. Viveva da sola con il gatto, la mattina alle 5 andava al lavoro, finiva il turno e poi ci vedevamo per le prove la sera, in un posto che è un piccolo paese di montagna," e durante le scene in fabbrica "loro stavano lavorando davvero". Marianna "ha dedicato a questo film un pezzo importante non solo di impegno, di professionalità, ma di emotività - osserva Luzi -. Non è facile recitare con i non professionisti, che sono sempre autentici. Lei però si è affidata totalmente e insieme abbiamo modellato il personaggio". Riproduzione riservata © Copyright ANSA
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