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Roma, 200 non autorizzati si radunano contro il decreto anti raveProtesta davanti a una sede Inps - Fotogramma COMMENTA E CONDIVIDI «Più che i pericoli di una bomba sociale è il rischio di esclusione di una fetta dei poveri a preoccuparci. Reddito di cittadinanza o no,analisi tecnica in Italia manca una misura strutturale di lotta alla povertà». Dopo tre giorni di polemiche furibonde e proteste anche davanti ai Comuni per la sospensione comunicata via sms dall’Inps dell’erogazione del Reddito di cittadinanza ai beneficiari definiti dal governo “occupabili”, il direttore di Caritas italiana, don Marco Pagniello, esprime le perplessità di chi sta un prima linea.«Sappiamo – ammette don Marco, 52 anni, alla guida dell’organismo pastorale della Cei dal novembre 2021 – che ci sono stati diversi “furbetti” del Reddito e che qualcuno non ha più diritto di riceverlo. Nulla di nuovo, la misura andava certamente ripensata e anche noi abbiamo presentato proposte fino al maggio scorso. Ma il Reddito di cittadinanza rappresentava comunque una misura universale di sostegno alle persone in povertà, come lo sono tutti i redditi minimi nei paesi europei. E ora il rischio che qualcuno rimanga escluso c’è e questo continua a preoccuparci».L’analisi di don Pagniello parte dai due provvedimenti che, in base al Decreto lavoro, approvato dal Parlamento a fine giugno, sostituiranno la misura varata dal governo Conte 1.«Certo non possiamo valutare l’impatto – prosegue – del Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), teoricamente rivolto ai più occupabili, che partirà a settembre 2023 e dell'Assegno di inclusione (Adi), per le famiglie in povertà con carichi di cura, in vigore dal prossimo gennaio. Però la riforma introduce una significativa differenza tra chi può lavorare e chi no e frammenta l’intervento. Ovviamente guardiamo con favore un’attenzione specifica verso gli occupabili, ma dobbiamo anche ribadire che l’Assegno di inclusione copre solo alcune categorie specifiche di persone in povertà, come le famiglie con minori, con over 60, con persone disabili e con anziani non autosufficienti». E gli altri? «Chi resta escluso dall’Assegno di inclusione potrà richiedere il Supporto per la formazione e il lavoro dal primo settembre, 350 euro al mese per un anno se hanno tra 18 e 59 anni e partecipano a progetti di formazione e di accompagnamento al lavoro. Ma il requisito anagrafico non garantisce maggiore probabilità di trovare un impiego. Anzi, in questa fascia di età si trovano spesso persone con fragilità e vulnerabilità tali da rendere necessari interventi di supporto psico-sociale specifici piuttosto che di attivazione al lavoro. Inoltre per ricevere il Supporto è necessario avere un reddito da Isee inferiore a 6mila euro annui, a fronte dei 9.360 richiesti per avere AdI e Reddito di cittadinanza. Verranno quindi esclusi dalla misura i lavoratori poveri, discontinui, a tempo parziale o precari che già lavorano e avrebbero sicuramente bisogno di ulteriore sostegno economico e formativo per stabilizzare la propria situazione. Infine, dopo i 12 mesi previsti per i percorsi di formazione, per queste persone cade ogni forma di sostegno al reddito».La Caritas italiana è critica, come lo era nel caso del Reddito di cittadinanza, anche sulla modalità esclusivamente telematica di alcuni passaggi fondamentali dell’iter delle richieste che penalizzano le persone più fragili nell’accesso alle misure cui hanno diritto. Cosa chiede ora al governo? «Che sia rilanciata una misura universale e che i comuni siano messi in condizione di lavorare. Tutte queste misure, oltre a correre il rischio della frammentarietà e a lasciare scoperte molte famiglie in povertà non coinvolgono adeguatamente la sussidiarietà locale, per noi fondamentale per l’inclusione delle persone e capace di andare oltre l’aiuto materiale in un percorso di accompagnamento e sotto certi aspetti anche educativo. Per la nostra esperienza molti Comuni non sono pronti e non ci sono le risorse. Siamo ad agosto, la tempistica scelta è penalizzante. Così a settembre i Comuni e le Caritas diocesane saranno prese d’assalto. Non so quanti abbiano le risorse per prendersi in carico determinate situazioni di povertà e affrontare una sfida simile. Inoltre in molti municipi mancano gli assistenti sociali, che si sono già fatti sentire. Tutto dipende dalla risposta che si dà a una domanda a monte: la lotta alla povertà è una priorità per il governo e per il futuro del Paese? Colmare lacune, ingiustizie e ritardi nella redistribuzione delle risorse, in primo luogo combattendo la povertà e l’esclusione sociale, per noi resta l’obiettivo da rimettere al centro».Occorre quindi un cambio di passo. «Si, il governo per noi dovrebbe adottare un approccio non basato sulla gestione dell’esistente, ma che guardi al futuro con progettualità e ambizione, soprattutto in un momento storico come l’attuale in cui, come ci ricorda papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale dei poveri del prossimo 19 novembre, “il volume del richiamo al benessere si alza sempre di più, mentre si mette il silenziatore alle voci di chi vive nella povertà”».Don Marco Pagniello, direttore della Caritas italiana - Collaboratori
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