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Come lanciare in orbita un razzo, il ritorno pieno di incognite di NadalLa chiamavano lotta di classe«Oggi solo evocare il nome di quell’autostrada indica qualcosa di vecchio. Di novecentesco. Da casello a casello,Guglielmo nessuno la percorre più» Condividi CondividiFacebookX (Twitter)EmailWhatsappRegala il Post(Blanquart C/ANDBZ/ABACAPRESS.COM)Di sabato, ho riletto tutte le vostre mail sul tema “Occidente/Resto del mondo” e “Israele/Palestina”. Mi sono sentito metà orgoglioso metà impotente. Orgoglioso perché la qualità è alta, credetemi: anche le opinioni più energiche sono espresse in maniera che siano sopportabili (anche se non ricevibili) da chi non la pensa allo stesso modo. Le due curve, per tornare alla metafora di lunedì scorso, non hanno sopraffatto lo stadio. E dunque: grazie. Toccasse ai lettori del Post, organizzare i colloqui di pace tra Hamas e Netanyahu, il cui solo punto coincidente è il mandato di cattura della Corte penale dell’Aia, avrebbero qualche remota possibilità di farcela. Diciamo: l’uno per cento, contro lo zero per cento attualmente disponibile.Ma mi sono sentito anche impotente perché non riuscivo a immaginare una selezione decente di tanto materiale; a meno di pubblicarlo tutto quanto, ma una newsletter di cinquantamila battute sarebbe un oltraggio al vostro tempo. Dunque ho spento il computer e ho rimandato ogni decisione a oggi, domenica, mentre sto scrivendo. La notte ha portato consiglio. La giornata di sole, dopo tanta pioggia, ha acceso la luce e mi ha dato energia. Ho messo da parte, in un pingue file, tutte le parole dei lettori a proposito di ciò che, non troppo tempo fa, venne definito “scontro di civiltà” e oggi, con un certo cinismo e un tocco di satira, potremmo aggiornare in “scontro di inciviltà”. Come si dice di solito: avremo sicuramente modo di riparlarne, perché lo scontro di inciviltà mostra di voler durare a lungo. E per adesso ho deciso di “svicolare” imboccando non una stradicciola impervia, ma un’autostrada abbandonata.Ecco, immaginiamola esattamente così: fu un’autostrada, lungo le sue corsie sfrecciavano sciami di automobili e camion, c’era chi provvedeva alla sua gestione e alla sua manutenzione. Molti di noi, specie i meno giovani, la percorsero da cima a fondo, sicuri che fosse l’arteria decisiva per conoscere il mondo. Poi venne dismessa. Altre direttrici prevalsero. Sul suo asfalto screpolato germogliarono prima le erbacce, poi veri e propri alberi (numerosi documentari e libri illustrano la sorprendente velocità con la quale, dove gli umani arretrano, la natura avanza, e si ripiglia tutto in un baleno). Oggi solo evocare il nome di quell’autostrada indica qualcosa di vecchio. Di novecentesco. Da casello a casello, nessuno la percorre più.La chiamavano lotta di classe. Ovvero: se vuoi capire il mondo, devi capire prima di tutto, sopra a tutto, la differenza tra ricchi e poveri. Devi percorrerla, devi abitarla. L’ha tirata in ballo, lunedì scorso, un lettore trentenne, Alessandro, e la sua età, confesso, mi ha rassicurato. A meno che fosse Luciano Canfora sotto falso nome, è uno più giovane dei miei figli a suggerire che quella lettura del mondo, alla fin fine, non solo non è da buttare via, ma aiuterebbe assai a integrare, con robuste iniezioni di realtà sociale, la percezione corrente delle cose.Scrive Daniela: “Un applauso ad Alessandro che ha tirato fuori una questione primaria della nostra società. Sono pensionata da tre anni e ho visto il mio potere d’acquisto ridursi notevolmente con il tempo. Non sono mai stata ricca ma il mio stipendio bastava per vivere e anche per togliermi qualche sfizio. Non più. Ora devo fare molta attenzione su come e dove spendere la mia pensione che se ne va in cibo, medicine, visite mediche, riparazioni domestiche e poco altro. E ringrazio di avere un marito che mi supporta, pur essendo io molto orgogliosa”.DanielaScrive Leonardo: “Il dibattito intorno alla cultura (rectius: al marketing) woke sta finalmente portando le persone a capire che si tratta di marketing, né più né meno, teso a sviare il pensiero dalla lotta di classe. Descrive molto bene questo fenomeno Bjung-Chul Han nel suo libro ‘Perché oggi non è possibile una rivoluzione. Saggi brevi e interviste’. Post-marxismo ? Non lo so, quello che è certo è che la lotta di classe non esiste più e che, secondo l’autore, non sembra esservi rimedio”.LeonardoOra vi dico molto in breve, e perdonatemi le approssimazioni, quello che penso io. Quando ero ragazzo (anni Sessanta/Settanta) pareva che la società, le sue dinamiche, i suoi conflitti collettivi, dominassero la scena al punto che il solo vero modo di formarsi una identità (una personalità) fosse la collocazione politica. Da che parte stai? Stai con gli operai o con i padroni? Con le conseguenti rigidità ideologiche, e banalizzazioni, e riduzione del tutto a una sua parte (quella politico-sociale).Oggi mi sembra che, nel campo occidentale, l’individuo, i suoi problemi, le sue dinamiche, i suoi conflitti interni, dominino la scena al punto che il solo vero modo di formarsi una identità sia pensare a se stessi e parlare di se stessi. Un mondo di selfie, non metaforicamente. Con la riduzione del tutto a una sua parte (l’individuo, l’io, il suo esigere spazio, e senso, e immagine, levandoli a tutto il resto).Quasi mi vergogno del vieto buon senso di quanto segue: ma non sarebbe necessario, e importante, che le due modalità infine si parlassero, e si contaminassero? Nel leggendario Sessantotto qualche pulsione virtuosa, in questo senso, ci fu: goffamente, anche schizofrenicamente, si tentò di tenere insieme la psicanalisi e la lotta di classe, Freud e Marx, Franco Basaglia e l’organizzazione operaia, il femminismo e gli scioperi alla Fiat. Fu una breve stagione, caotica, velleitaria, insopportabilmente presuntuosa, e io ero solo un adolescente e capivo meno della metà, forse meno di un quarto, di quanto stava accadendo. Ma, accidenti, quanto è stato importante sognare che la libertà fosse una sola, la libertà dallo sfruttamento in fabbrica e la libertà sessuale, la libertà economica e la libertà dalla famiglia patriarcale? E Padre padrone di Gavino Ledda (poi film dei Taviani, ho paura di rivederlo: e se non fosse bello come me lo ricordo?) era nello stesso momento, nella stessa storia, liberazione individuale e liberazione sociale?Mi fermo qui. È tardi, è sceso il buio, i cani sono già a dormire, e per parlare con voi non ho nemmeno visto l’ultima partita di campionato dell’Inter. Il sacrificio supremo. Domattina, quando leggerete Ok Boomer!, pensate a quali privazioni può sottoporsi, un uomo, pur di mantenere saldo il rapporto con i suoi simili. Mi ha sostenuto, fortunatamente, il Vermentino della Lunigiana. Mezza bottiglia. Troppo, secondo i medici. Poco, secondo Bukowski. Giusto, secondo me.*****Lo scorso 25 aprile non sono riuscito ad andare al cimitero di Torre degli Alberi, nella montagna pavese, come faccio da qualche anno, per portare una rosa bianca sulla tomba di Luchino Dal Verme, comandante partigiano. Monarchico e capo di centoventi comunisti, morto a 103 anni dopo una vita seria e silenziosa, sdegnoso di cariche pubbliche e di retorica. Mi arriva per posta, un mese dopo, un biglietto un poco slavato dalla pioggia che qualcuno ha lasciato, il 25 aprile, sulla tomba di Luchino. Sulla busta c’era solo il mio nome. Lo ha trovato Vittoria, nipote di Luchino, e me lo ha spedito per posta. È un biglietto piccolo, scritto su un foglietto strappato da un notes. Lo firma Camilla, che non conosco, e tra le tante altre cose gentili leggo: “Grazie per avere parlato di Luchino, non lo conoscevo, noi millennial sappiamo sempre troppo poco”. E noi boomer, se ancora serviamo a qualcosa, è raccontare quel poco che ci ricordiamo di sapere. Ciao Camilla, grazie, magari ci incontriamo a Torre degli Alberi il prossimo 25 aprile. Di solito arrivo con una Vespa gialla e una rosa bianca.*****Ultime notizie dal mio orto. Buriana passata, tornato un tempo quasi decente (attese nuove piogge, qui al Nord Ovest, in settimana), uniche vittime irrecuperabili peperoni e melanzane. De profundis. Lutto breve. Subito sostituiti da nuove piantine, che se ne fregano di crescere laddove loro simili, appena ieri, agonizzarono e infine defunsero. Le zucche prosperano, le zucchine non ne parliamo, quelle sono capaci, come nelle favole, di crescere fino a bussare alla porta di casa, e senza dartene avviso. Le fave sono quasi pronte, bestie vigorose, una boscaglia piena di baccelli penzolanti, in settimana le raccogliamo e il classico connubio fave-pecorino consacrerà una tardiva primavera. Bene le fragole. Benino i pomodori. Mostruosi cardi, che avevo dimenticato ai margini, si ergono verso il cielo come creature venusiane. Forse troppo tardi per uso commestibile, potrebbero essere riciclati come armi improprie.*****Un bel gioco dura poco, diceva mia madre. Zanzare mostruose, che ha avuto momenti di fasto e divertimento, è un poco in declino. Non credo che questo dipenda dal fatto che i titolisti dei giornali, intimoriti dal nostro vaglio, hanno deciso di fare più attenzione. Credo che dipenda dal fatto che abbiamo rastrellato parecchio, e poco rimane. Dunque sospendiamo per qualche settimana, in attesa che il serbatoio dei titoli incauti, o claudicanti, si riempia daccapo. E salutiamoci con quest’ultimo, delicato omaggio all’ambiguità, eterna ispiratrice. Bianca segnala, dalla Stampa:IL SINDACO DI BARISPOSA DUE VIGILESSEChi osi pensare a un caso di allegra bigamia, sappia che si tratta invece di conquiste civili di grande importanza.Mostra i commenti

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