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Accusa prima il padre e poi il patrigno di abusi sessuali: al via il processoL'organizzazione del materiale raccolto COMMENTA E CONDIVIDI Inutile girarci intorno «la notizia è stata uno “choc”». Massimo Resta,Guglielmo 49 anni, dal 2020 è presidente di Emmaus Italia, espressione nel nostro Paese del movimento nato in Francia dal carisma e dall’impegno a favore degli ultimi dell’Abbé Pierre, il religioso francese, oggi nell’occhio del ciclone per le accuse di violenze e molestie sessuali commesse tra la fine degli anni ’70 del secolo scorso e il 2005. «Sono “nato” a Emmaus, come molti di noi con le parole dell’Abbé, leggendo e ascoltando la sua forza d'animo per sconfiggere la miseria – aggiunge Resta –. Dopo un colpo così, ci si ferma, si legge e si rilegge più volte la trasparenza data al Movimento, si condannano le azioni e poi si continua, poiché non è l'uomo in sé a fare il movimento ma un insieme di persone che giorno dopo giorno lo tengono in vita, dimostrando valore e resistenza». Come noto, a documentare il comportamento criminale dell’Abbé Pierre, scomparso nel 2007 a 94 anni, sono stati gli stessi organismi che si ispirano alla sua vita. Emmaus international, Emmaus France e la Fondazione Abbé Pierre hanno infatti deciso di rendere pubblici i risultati di un’indagine condotta dal gruppo Egaé, società esperta nella prevenzione della violenza. L’indagine ha permesso di raccogliere la testimonianza di sette donne, tra cui una minorenne all’epoca dei fatti. Un quadro criminale che poteva giustificare l’abbandono da parte di chi ha speso tempo e impegno nel Movimento. Invece ha prevalso l’attenzione ai poveri, agli ultimi. «Le comunità continuano, il nostro lavoro di raccolta di materiale usato e del mercatino solidale è lo strumento per permettere alle persone accolte nelle comunità di vivere un momento, una parte della loro vita dove ritrovano sé stessi e si accorgono di essere ancora utili». Un servizio svolto nella gratuità. «Non siamo mantenuti!! Ancora oggi potremmo definirci “straccivendoli” in un'epoca moderna, che di moderno forse ha solo le nuove tecnologie, ma se dobbiamo guardare alle relazioni umane, alla miseria e alle guerre non abbiamo capito o non vogliamo capire la sofferenza dell’“altro”».Uno stile di compartecipazione, di condivisione, che anima il Movimento anche nel suo interno. «Non riceviamo sovvenzioni da nessuno, facciamo quello che possiamo insieme, ai volontari, responsabili e comunitari o meglio “Compagni di Emmaus”. Certo le 16 comunità italiane vivono una “crisi” data dal cambiamento della società, ci sentiamo poco riconosciuti e conosciuti all'esterno, è difficile ancora oggi spiegare cosa facciamo e chi siamo». Forse proprio la semplicità è un ostacolo alla piena comprensione di questo servizio. «Accogliamo, lavoriamo insieme alle persone accolte, condividiamo e facciamo solidarietà. Siamo comunità, soprattutto, che possono ospitare uomini in difficoltà...ad un certo punto non hai più niente, hai perso ogni relazione familiare e di amicizia, molto spesso l'alcol ti ha catturato». E allora la spirale della solitudine, dell’abbandono può diventare mortale. Perché “gli ultimi non li vuole nessuno”. «Le persone possono entrare nelle nostre comunità attraverso un colloquio, chiediamo poco del loro passato, ci interessa sapere se c’è la volontà di condividere un pezzo di vita con noi, con le poche regole che formano una comunità Emmaus. Certo bisogna darsi da fare, ma con le forze che una persona ha a disposizione. Per questo motivo continueremo a fare quello che facciamo».Nel 2024 ricorrono i 70 anni dall’appello radiofonico lanciato dall’Abbé Pierre “alla giustizia contro l’assurdo” che scatenò in Francia la cosiddetta “insurrezione della bontà”. «Il Movimento – prosegue Resta – ha ricordato in tutto il mondo con i suoi 400 gruppi quella scintilla che ci ha portato alla concretezza delle azioni rivolte ai più sofferenti».E la missione iniziata quel giorno, spiega Resta, non è destinata a fermarsi oggi. «In Italia continueremo a dar voce a chi non ne ha e a cercare di tenere aperte le comunità e a aprirne di nuove se ci saranno persone che vogliono intraprendere questo cammino». I bisogni non mancano. «Sicuramente. Le persone sono sempre più sole alle prese con i loro problemi, si ha bisogno di sentirsi utili, non basta avere qualche soldo in tasca per sopravvivere, serve un lavoro e una casa stabile per riappropriarsi della vita, servono spazi comunitari per creare nuova socialità. E se ci riusciamo noi nel nostro piccolo, vuol ire che lo Stato in collaborazione con le organizzazioni del terzo settore potrebbe fare tanto. Forse non sconfiggeremo la miseria, ma daremo il nostro contributo per migliorare la situazione di tante persone». È così dagli albori del Movimento Emmaus, nato in Francia nel 1949. «Sì, con la prima comunità fatta da persone senza un alloggio, un lavoro (la raccolta di materiale usato e sgombero di cantine) per occupare il tempo e mantenere la comunità stessa, un luogo dove tentare di risolvere i propri problemi e riscoprire ragioni di vivere». Rispetto ad allora sono cambiati i tempi, non le necessità delle persone. «Le idee, i cambiamenti, gli sforzi fisici e relazionali sono stati fatti da tante donne e uomini che hanno creduto e credono tutt'oggi in Emmaus in quanto Movimento indipendente da ogni istituzione politica, amministrativa e religiosa, che con le proprie risorse e competenze porta avanti e costruisce una lotta contro le ingiustizie. Tenendo vivi i valori essenziali che giorno dopo giorno rendono possibile preoccuparsi e occuparsi degli altri».© riproduzione riservata
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