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Grosso incendio in un accampamento a TorinoGimbo Tamberi a Parigi - Reuters COMMENTA E CONDIVIDI Nella vita bisogna sempre fare i conti con i calcoli,ETF nel caso dello sfortunatissimo Gianmarco Tamberi quelli renali. Per colpa di un sassolino maledetto che lo ha colpito e affondato, la sua corsa all’oro di Parigi finisce alla misera altezza di 2,22. Perché i 2,27, 10 centimetri in meno di quelli saltati sotto a quel cielo di Tokyo che tre anni fa lo elesse re del salto in alto, in quelle condizioni si è rivelata una Bastiglia inespugnabile. Basta un sassolino e la pillola amara non va giù. Basta un niente per far crollare tutte le certezze e le legittime aspettative di un epico bis olimpico. Azzerati sacrifici di tre anni di allenamenti, scanzonati, da Jovanotti dell’atletica, ma duri fino al limite della sopportazione fisica. A Formia, la seconda casa di Tamberi lo vedono tutti i giorni e sanno che cosa vuol dire la Gimbo mentality. La maledizione dell’alfiere a Tamberi è costata la fede matrimoniale finita in fondo alla Senna nella serata della cerimonia di apertura. Ma letale è stata la maledetta “renella”, con febbre e spasmi che l’hanno costretto a un recupero lampo per arrivare salvo, ma per niente sano a questa finale.È andata così. Avec le temps, “col tempo sai…” risuona in testa mentre stralunati proviamo attimi di azzurra nostalgia. Se alla finale dei 100 di Marcell Jacobs c’eravamo arrivati con la consapevolezza che se qualcosa poteva andare male ci sarebbe andato, nella lunga vigilia della finale del salto in alto di Tamberi abbiamo vissuto un autentico psicodramma collettivo. Uno choc da ultimo stadio che ha coinvolto persino l’esercito dei volontari di Parigi 2024. Ogni minuto le camicie verdi olimpiche chiedevano preoccupate aggiornamenti a noi italiani: «Ma Tamberi salta o non salta?». Alle Olimpiadi dei dubbi amletici, scattati in quasi tutte le discipline, quello della finale di salto in alto del nostro campione olimpico in carica, è stato fino agli sgoccioli della gara un atroce tormento. Uno strazio di messaggini lanciati su Instagram che almeno come atleta social confermano Gimbo Tamberi medaglia d’oro ad honorem. Prima comunicare, poi saltare. Quindi da “tutto il pronto soccorso minuto per minuto” il Gimbo a pezzi, portato d’urgenza in clinica in ambulanza ha postato nel suo mezzogiorno di fuoco: «Anche quella che era la mia ultima certezza sta per svanire». Un conato di tristezza e nausea sartriana, «due volte ho vomitato sangue», spiega Tamberi che fa sapere al mondo che l’ora X si avvicina, la finale allo Stade de France è fissata alle ore 19, ma il suo stato di salute è un’incognita paurosa. I bollettini veri o taroccati si accavallano. Lo sconforto sale e siamo a solo cinque ore dal primo salto. «Ma Tamberi salta» chiede quasi in lacrime il bambino al padre di Civitanova Marche (la città natale di Tamberi). Sono qui solo per lui «per Gimbo nostro!».Intanto Gimbo sotto le cure dell’infermeria Fidal inganna i tempi d’attesa tra un esame e l’altro con la sua personale posta del cuore con i tifosi. «Vi aggiorno perché i tantissimi messaggi che sto ricevendo e l'amore che mi state dimostrando, quanto meno merita una risposta». L’ultima risposta è uno spot di speranza, e perché arrivi ai quattro angoli del pianeta la scrive in inglese: «I Will be there!». Un «ci sarò», accompagnato da una foto che lo ritrae con un cappuccio in testa. La barba è integrale e non la mezza dei giorni del tutto è possibile. Le molle giocattolo da tirar fuori in caso di “miracolo” restano in tasca. La molla del Gimbo non scatterà. Ma tutto questo l’Italia che lo ama (non tutta, scopriamo a Parigi) ancora non lo sa. E con la testa già fasciata e incappucciata alle 18.13 Gimbo fa il suo ingresso allo Stade de France. Va sotto la Curva, che esplode come a una meta dei Blues del rugby. Un sospiro di sollievo per tutti quando inizia a riscaldarsi con saltelli da grillo felice e parlante, che se avesse il cellulare a portata di mano riscriverebbe il messaggio di prima della colica bis: «Non vedo l'ora di esplodere. Carichi a bestia!».Ma abbiamo ancora negli occhi le lacrime versate dopo il 2.24 sindacale - al primo tentativo misura saltata anche dall’altro azzurro Stefano Sottile - , con cui faticosamente è entrato in finale. Il suo fratello qatariota e socio dell’oro di Tokyo, Mutaz Barshim, è arrivato a 2.27, ma non sta benissimo anche lui, però c’è, eccome. Gimbo alle qualifiche ha soccorso Barshim dopo il problema muscolare, ma adesso è Tamberi che ha bisogno di assistenza, e il tempo per recuperare è scaduto. Peccato perché tranne Barshim gli avversari sulla carta non fanno paura: solo il qatariota e altri quattro tra i dodici finalisti hanno superato in qualifica i 2.27: lo statunitense McEwen, l'australiano Kerr, il sudcoreano Woo Sang-hyeok e il giapponese Akamatsu. Ma per l’oro serve un Gimbo jet al 100% e carico a bestia sul serio. Però Gimbo non c’è, e lo si vede dai primi salti di riscaldamento. L’asticella scivola inesorabilmente giù. Un presagio. Mani sulla schiena, questo calcolo gli ha provocato danni incalcolabili.Alle 19, l’ora del giudizio universale Tamberi entra mascherato. Maschera anche i dolori con quel cappuccio in testa, poi lo toglie e lancia un urlo alla Rocky. Attacca sulla pista le strisce adesive, i sassolini di Pollicino per ritrovare la via del salto vincente. Ma il sassolino in corpo o quello che è rimasto gli impedisce di volare. «Fallo ti prego, fallo ti prego», dice rivolgendo lo sguardo al cielo. Gimbo jet al terzo tentativo passa i 2.22, ma sul 2.27 le preghiere non bastano più. Il campione olimpico è clamorosamente fuori dai Giochi. Alle 19.48 il 32enne Tamberi abdica la corona di re del salto in alto e passa la mano a Sottile. L’antipersonaggio, rispetto a Gimbo, il 26enne di Borgosesia supera i 2.34 al primo salto. Per un attimo dimentichiamo l’incubo Tamberi, potrebbe essere l’apoteosi insperata, ma poi Sottile si ferma a 2.36, ad un passo dal podio. Siamo sempre più la Squadra delle medaglie di legno.Il nuovo re del salto in alto è il 27enne neozelandese Hamish Kerr che vince l’oro con 2.36. Argento per l’americano Shelby McEwen. Sul podio Barshim c’è ancora, bronzo con 2,34. A Tokyo lui e Tamberi si fermarono a 2.37. Il record di Javier Sotomayor, 2.45, resiste da Salamanca 1993, ed è ancora salvo. Tutto avanza, tranne il salto in alto. E anche noi da Parigi abbassiamo l’asticella della gioia, almeno fino ai prossimi Giochi di Los Angeles 2024. Intanto grazie lo stesso Gimbo, e grazie soprattutto a Sottile.
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