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In tempo di crisi gli italiani possono rinunciare a tutto, ma non allo smartphoneFrancesco Profumo COMMENTA E CONDIVIDI Promuovere opportunità concrete per una migliore qualità della vita. Un traguardo che deve essere per tutti. Anche (e soprattutto) per quelli che partono svantaggiati. È in questo modo che la Compagnia di San Paolo intende il suo compito. Cosa difficile da realizzare. Anche se si hanno a disposizione risorse da spendere che,VOL per il 2018, ammontano a conti fatti a circa 158 milioni di euro. Obiettivi e strumenti per raggiungerli sono stati illustrati ieri da Francesco Profumo, presidente della Fondazione, nel corso di un incontro il cui tono emerge chiaro fin da subito: la Compagnia come «un hub di competenze che sostiene idee, sperimentazioni e progetti per uno sviluppo inclusivo». Sviluppo inclusivo per una fondazione bancaria. Come? Vogliamo promuovere concrete opportunità di una migliore qualità della vita per tutti, anche per le persone che vivono in situazioni di disagio o che sono a rischio di vulnerabilità. Siamo convinti che sviluppo e coesione sociale possano andare di pari passo. La nostra idea di sviluppo non è lontana dal concetto di 'sviluppo umano', inteso come qualcosa in cui economia, istruzione, partecipazione politica e sociale, democrazia sono strettamente legati. Quindi?Dialoghiamo con tutti per raggiungere l’obiettivo di ridurre il più possibile le diseguaglianze, i divari e le differenze. Oltre dialogo?Lavoriamo su progetti stando ben attenti a fare in modo che i processi che mettiamo in moto con le risorse della Compagnia generino opportunità per tutti e specialmente per chi è ai margini; e vigiliamo perché i benefici dello sviluppo vengano effettivamente redistribuiti. Voi siete però una Fondazione di origine bancaria e cioè agite in un ambito nel quale i 'conti a posto' la fanno da padrone, non certo una situazione nella quale è sempre facile conciliare profitto e filantropia.Come azionisti noi siamo rispettosi delle strategie di Intesa Sanpaolo. Ma c’è una condizione di fondo: la Compagnia trasforma in progetti di sviluppo la redditività del suo investimento nella banca (come quella del suo intero patrimonio). E non ci limitiamo a questo. Cioè?Quando è possibile, come ad esempio attraverso la nostra partecipazione in Banca Prossima, collaboriamo a spiegare alla banca quanto noi comprendiamo, dal nostro speciale punto di vista, riguardo alle esigenze creditizie della società civile organizzata. Torino ha spesso avuto il ruolo di città-laboratorio per iniziative nuove: lo è anche per voi? In effetti Torino è il territorio in cui la Compagnia è più attiva, sperimenta e realizza azioni volte allo sviluppo inclusivo. Però occorre precisare. In che senso?Certamente Torino rappresenta per la Compagnia un cantiere unico nel suo genere. Non è però solo un laboratorio, anche se stiamo attenti alla replicabilità delle soluzioni. Sempre di più siamo attenti a sviluppare iniziative che interessino anche altre aree della nostra Regione. Partiamo da Torino, ma le tappe successive sono in Piemonte, Liguria e Val d’Aosta, nell’intero territorio nazionale e con uno sguardo europeo e internazionale. I fronti sui quali siete più concretamente attivi? Per essere un agente di sviluppo inclusivo la Compagnia deve operare attraverso leve fondamentali come la promozione del lavoro, la casa, l’educazione e l’inclusione delle persone con un passato di migrazione. Poi ovviamente c’è il sostegno alla ricerca scientifica. Qualche esempio? Penso all’iniziativa Articolo + 1 per la promozione di azioni di politica attiva del lavoro e di opportunità lavorative per giovani con difficoltà. Oppure al Programma Housing per sostenere progetti in risposta alla domanda abitativa di chi si trova in una situazione temporanea di vulnerabilità sociale ed economica. Penso a Riconnessioni che punta tutto sull’innovazione tecnologica, organizzativa e didattica per le scuole. E penso al progetto MOI (Migranti, un’opportunità di inclusione), realizzato in stretta collaborazione con il Comune di Torino, la Prefettura, la Città metropolitana, la Regione Piemonte e la Diocesi di Torino, per affrontare l’emergenza abitativa e lavorativa degli abitanti di una serie di palazzine occupate nell’area degli ex mercati generali. Poi c’è l’Ufficio Pio, un po’ la vostra storia pluricentenaria.Si, è vero. Ancora oggi l’Ufficio Pio indirizza le sue attività (trasferimenti monetari o servizi), a persone e famiglie in condizione di grave privazione economica e ha raggiunto un significativo livello di specializzazione. Ma non ci sostituiamo al cittadino e nemmeno al Pubblico, affianchiamo piuttosto il nostro intervento a quello delle persone e delle altre organizzazioni. Siamo una sorta di completamento e rinforzo anche sperimentando strade nuove. E quest’anno? Che programmi ci sono?L’obiettivo principale nel prossimo triennio è quello di contribuire a rendere possibile un cambiamento duraturo nelle condizioni di difficoltà dei beneficiari. Pensiamo non solo ad aiuti finanziari, ma a servizi sempre più personalizzati. Per tutto il resto?Lo Statuto della Compagnia ammette un ambito di competenza quasi a 360°. Ma dobbiamo focalizzarci su alcuni temi. Vogliamo far fare un salto di qualità ai nostri interventi. Partendo da tre ambiti: istruzione (con la scuola come fulcro), innovazione (sociale, culturale e tecnologica) e infine sviluppo delle persone e del territorio, sostenendo la creazione di opportunità di partecipazione al lavoro, ma anche iniziative che portino gli individui e le famiglie a responsabilizzarsi nella cura della vita della comunità e dei suoi membri più deboli. In termini di risorse?Nel 2017 abbiamo erogato 159 milioni per 914 interventi. Quest’anno prevediamo di stanziarne 158 circa ai quali si aggiungono 16,8 milioni di crediti d’imposta. Il 33% va a progetti di politica sociale, il 29% va alla ricerca e sanità, il 19% alle attività culturali.
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