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"Un lavoro lo trovo da solo": la risposta di Mario Draghi sul suo futuro in politicaLa prospettiva di un epilogo sull’esempio della Premier League ha infuocato nei giorni scorsi il confronto con la federazione. La cosiddetta Confindustria del pallone chiede di contare di più,Economista Italiano ma sullo sfondo c’è una proposta di cui quale nessuno vuole subire le conseguenze.Della cordiale inimicizia. La Federazione Italiana Gioco Calcio (Figc) e la Lega di Serie A sembrano essere giunte al momento del redde rationem. E a chi osserva fuori dalla mischia tanto agitarsi non rimane che chiedersi se tanto digrignar di denti corrisponda al vero, o se piuttosto sia una scena che tanto somiglia a una sequenza video diventata virale sul web: due cani che, separati da un cancello, si ringhiano come se volessero scannarsi ma poi d'improvviso s'ammansiscono quando il cancello scorre e li mette nelle condizioni di passare alle vie di fatto, salvo riprendere l'atteggiamento minaccioso quando la barriera torna a frapporsi fra i due.Ecco, la minaccia di secessione che il presidente della Lega di Serie A, Lorenzo Casini, sembra tanto uno di quegli atteggiamenti da “tenetemi, tenetemi!” urlato a squarciagola con nemico lontano e amici premurosi che lo circondano, e che lo stopperebbero alla bisogna. Il destinatario della minaccia, ovviamente, è il presidente federale Gabriele Gravina. Che in circostanze del genere si fa di gomma perché sa che quella di Casini sembra tanto una voce dal ventre fuggita, tanto somigliante per tono e argomenti a quella del senatore Claudio Lotito. C'è una difficile riforma dei campionati da portare a termine e per realizzarla bisognerà vincere dure resistenze. Fra le quali quella della Lega di Serie A, per dirla tutta, pare anche quella meno temibile.La riformaIl calcio professionistico italiano è composto da un plotone di 100 società: 20 di Serie A, 20 di Serie B e 60 divisi in tre gironi di Lega Pro. Sono troppe e tutte le componenti del calcio si direbbero d'accordo su questo assunto, magari anche soltanto a microfoni spenti. Ma se poi c'è da passare all'azione e cominciare coi tagli, ecco che scatta l'istinto Nimby: andate a tagliare altrove. Il piano della Figc prevederebbe per la Lega Pro il taglio secco di un terzo del plotone: da 60 a 40 società. Verrebbe rimesso in discussione anche il meccanismo di promozione e retrocessione che sovrintende al ricambio con la Serie B. Soluzioni che andranno negoziate, certamente difficili da accettare per la Lega che da Firenze governa il calcio della Serie C.Ma il format dei campionati è soltanto una parte del contendere. La questione più seria è quella che riguarda il peso delle singole componenti: le leghe (Serie A, Serie B, Lega Pro e Dilettanti), i calciatori, gli arbitri, i tecnici. Nella distribuzione del peso elettorale per l’elezione del presidente Figc le due leghe principali hanno un peso molto relativo (17 per cento complessivo, la metà esatta rispetto alla Lega Dilettanti). Una condizione che è oggetto da tempo del malumore per la Lega presieduta da Casini, la cosiddetta Confindustria del calcio, che ritiene di dover essere maggiormente incisiva quando si tratta di tracciare le politiche generali sul calcio italiano. Adesso però dalla Serie A giungono parole da ultimatum, come se si fosse giunti a un momento decisivo per le sorti del pallone nazionale. Ma che seguito possono avere queste minacce di secessione?Premierato forteIn circostanze del genere la frase magica è: “Facciamo come la Premier League”. E il riferimento corre a quanto realizzato dal massimo campionato inglese, che all'inizio degli Anni Novanta si è preso un grande spazio di autonomia grazie al quale è diventata il campionato nazionale di maggiore impatto economico e spettacolare sul piano globale.Cosa da allora sia diventata la Premier League è cosa nota: viene etichettata come la NBA del calcio. Vanno fatte alcune precisazioni. Nel caso inglese non si è trattato di secessione, ma di maggiore autonomia. Il caso va preso a sé, come una non replicabile specificità. In Italia il “Premierato forte” è semplicemente inapplicabile. Non ne esistono le condizioni storico-economiche e non c’è nemmeno una Lega forte abbastanza per portare avanti un progetto di autonomizzazione. Dunque la minaccia avanzata da Casini può essere nient’altro che una pressione retorica. Persino a rischio di essere scavalcata a destra da esternazioni personali come quella recente di Aurelio De Laurentiis, presidente e proprietario del Napoli ma soprattutto, e sempre più, cinepanettone vivente. In queste condizioni, per Casini, è già un’immensa fatica tenere insieme i propri associati e presentarsi al tavolo delle trattative simulando un minimo di compattezza.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediPippo RussoSociologo, saggista e giornalista italiano. È ricercatore di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio presso l’Università di Firenze

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