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Professore del Dipartimento di Gestione del Rischio di BlackRock

La difesa della Meloni sulle accise della benzina non convince le opposizioni

European Focus 28. Ombre cinesiNotizie di Politica italiana - Pag. 127La Libia non è un porto sicuro. Le sentenze e i fatti contano più delle narrazioni del governo

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Cartabianca, Mara Carfagna su Forza Italia: "Lo vedo un partito oggettivamente debole"Dopo il ban di Apple,Professore Campanella Google e Amazon, torna ora appoggiandosi a nuovi server e definendosi lo spazio per “la libertà di parola”. Il nuovo amministratore delegato è legato all’ultradestra americana Parler era il social network rifugio degli utenti di estrema destra. Torna ora online, dopo un mese di silenzio causato dal ban di Apple, Google e Amazon. I nuovi server sono ospitati da una società che ha condiviso un comunicato in cui sottolinea l’importanza della libertà di parola: «Non devono essere i colossi della tecnologia a decidere chi può esprimersi». Il nuovo amministratore delegato è fra i fondatori del Tea Party Patriots, uno dei gruppi dell’ultradestra che ha partecipato all’assalto di Capitol hill. Nuova vita per Parler. Il social network diventato rifugio degli utenti conservatori e di destra più o meno radicale è tornato online ieri. Un mese fa, Amazon aveva deciso di interrompere l’accesso ai propri server, di fatto impedendo al social network di funzionare. Poco prima, Apple e Google avevano rimosso l’app dai loro negozi virtuali. Pesava il fatto che Parler fosse diventato il social network preferito di razzisti, cospirazionisti ed estremisti. Dopo l’assalto a Capitol Hill e la cacciata da Twitter e Facebook, a Parler si era iscritto anche l’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Poco dopo anche il segretario della Lega, Matteo Salvini. Chi giudica Parler è tornato accessibile, per la prima volta dopo il 10 gennaio, ospitato dai server di SkySilk, una piccola società di servizi cloud che ha la sede principale a Los Angeles. SkySilk lo ha annunciato con un comunicato molto netto, con riferimenti polemici nei confronti dei colossi della tecnologia come Amazon: «Non sosteniamo l’odio, ma non riteniamo di dover essere noi i giudici, la giuria e i boia di quello che succede online. Purtroppo molti nostri colleghi nel campo della tecnologia la pensano diversamente». «Supporteremo fino in fondo la libertà di parola e i diritti garantiti dal primo emendamento. Anche se non saremo d’accordo con alcuni dei contenuti che saranno pubblicati su Parler, non possiamo permettere che questi diritti siano limitati da qualsiasi organizzazione», continua la nota. (STAR MAX File Photo/AP) Uno scontro di potere Parler si presenta come «il social network della libertà di parola», una “piazza senza partito” che si inserisce in un dibattito sempre più di attualità. Chi deve controllare quello che succede online? E soprattutto: quanto potere hanno i colossi della tecnologia, capaci di censurare i contenuti, senza tribunali né contraddittori? Si può sopravvivere anche se osteggiati dai giganti? Il ritorno di Parler può essere letto così, come una vittoria dei piccoli contro i colossi. Sarebbe però una lettura quantomeno parziale, se non proprio sbagliata. Il social network è stato co-fondato e ampiamente finanziato da Rebekah Mercer, figlia di Bob Mercer, magnate che con generosi finanziamenti e manovre strategiche è stato l’artefice dell’ascesa di Trump dai reality alla Casa Bianca. In passato ha investito in Cambridge Analytica, l’organizzazione accusata di sfruttare i dati di Facebook per influenzare le campagne elettorali. Il suo intento è evidente: con Parler vuole creare un social network alternativo, un porto sicuro per repubblicani, suprematisti e complottisti di QAnon (non necessariamente in questo ordine). Un luogo dove possano trovare spazio notizie false e teorie del complotto, capaci di avere conseguenze sulla vita virtuale e reale degli americani, come dimostrato dall’assalto a Capitol hill. Secondo il New York Times, fra gli altri finanziatori c’è Dan Bongino, oggi anche lui sostenitore di Trump e autore di un podcast, dove ha dato molto spazio alla falsa teoria dei brogli elettorali di Biden. E c’è Jeffrey Wernick, che si descrive come un anarco-capitalista. Più che una storia di ribellione ai “big tech”, questo sembra dunque uno scontro di potere. Una vicenda che è il pezzo di un puzzle più ampio. (AP Photo/Manuel Balce Ceneta) Il nuovo amministratore delegato Parler è di nuovo accessibile dal web, ma rimane l’interdizione dagli store di Apple e Google. Sul social, tutti i vecchi contenuti al momento sono scomparsi, ma è difficile immaginare che questo sia il preludio di una maggiore moderazione sui contenuti che saranno condivisi d’ora in avanti. Anche perché il nuovo amministratore delegato di Parler è Mark Meckler, uno dei fondatori dei Tea party patriots. Ovvero della formazione politica di ultradestra, famosa per l’opposizione all’Obamacare e la promozione ascientifica dell’Idrossiclorochina come rimedio contro il Covid-19. Il gruppo è fra quelli accreditati per la partecipazione alla “March to save America”, la manifestazione che si è conclusa con l’assalto a Capitol Hill. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediDaniele Erler Giornalista fieramente trentino, è uno dei redattori di Domani. In passato si è laureato in storia e ha fatto la scuola di giornalismo a Urbino. Ha scritto per giornali locali, per la Stampa e per il Fatto Quotidiano. Si occupa di digitale e tecnologia, ma non solo. Scrive soprattutto online. Coordina il social media team. Si può contattare via mail o su instagram

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