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Eleonora Paveri, morta a 18 anni. L'autopsia: «Grave trauma addominale da caduta dal monopattino»I modelli di linguaggio potrebbero intensificare i conflitti provocandone un’escalation imprevista. È quanto emerge da un recente studio condotto dai ricercatori del Georgia Institute of Technology,Campanella dell’Università di Stanford, della Northeastern University e della Hoover Wargaming and Crisis Simulation Initiative.Il settore militare ha sempre spinto la ricerca, l’innovazione e la conseguente adozione delle nuove tecnologie, ma utilizzare l’intelligenza artificiale per il deployment di droni e altre armi autonome potrebbe non essere la scelta più saggia, considerando le tendenze emerse dallo studio citato. Perlomeno allo stato attuale dei modelli inclusi nella ricerca e senza chiare e stringenti limitazioni. Cosa significa tutto ciò per le applicazioni AI in campo militare cui aspirano sempre più governi a livello globale?I temi trattati all’interno dell’articoloLo studioL’AI riflette e perpetua le nostre scelteCome arginare il problema?Una questione geopolitica: i rischi e il dialogo Usa-CinaLo studioLo studio ha coinvolto cinque programmi di intelligenza artificiale di OpenAI, Meta e Anthropic. Le società sono state poste alla guida di nazioni fittizie nel corso di diverse simulazioni e, dall’esperimento, è emerso che le intelligenze artificiali impiegate in simulazioni di scenari geopolitici tendono a intensificare i conflitti in modo imprevisto e pericoloso. In molti casi, senza alcun preavviso, le AI interpellate hanno fatto ricorso ad armi nucleari o hanno intensificato le ostilità già presenti, ritenendo queste strade le soluzioni più efficienti per la risoluzione dei conflitti.L’AI entra in guerra: una sfida etica e geopoliticaL’AI riflette e perpetua le nostre scelteA prima lettura, potrebbe sembrare che le motivazioni di tali decisioni risiedano nella freddezza delle macchine, non umane e ‘di fabbrica’ prive di emozioni e principi etici. Gli scienziati ipotizzano però che la causa sia da rinvenire nella fase di training: i dati di addestramento su cui si basano questi sistemi di AI potrebbero essere distorti e potrebbero portarli a privilegiare azioni aggressive.L’intelligenza artificiale potrebbe aver programmato la propria ‘bussola morale’ sulla base della letteratura accademica che enfatizza i casi storici di escalation più che su quella che mostra i vantaggi di una risoluzione pacifica dei conflitti. I bias algoritmici rispecchiano dunque quelli storici e sociali insiti nella nostra società e ciò spingerebbe i modelli di AI verso decisioni pericolose e avventate.I bias nell’intelligenza artificiale: un riflesso della società in cui viviamoCome arginare il problema?Soprattutto con riferimento ad applicazioni particolarmente sensibili, è importante rispettare il principio di Human in the Loop, ossia garantire che l’essere umano rimanga coinvolto nel processo decisionale dell’AI, in modo tale da poterne arginare l’operato nei casi in cui le decisioni delle macchine non dovessero risultare compatibili con i principi etici della società in cui vengono utilizzate. Ma cosa si può fare quando il problema è lo stesso essere umano?Dati i danni irreparabili che errori commessi da simili sistemi potrebbero causare, gli studiosi mettono in guardia i governi: prima di affidarsi all’AI in contesti ad alto rischio, è necessario migliorare i dati di addestramento – impresa tutt’altro che semplice – e i meccanismi di controllo. Sforzi, dunque, sia in sede di sviluppo e training, sia a livello legislativo.Una questione geopolitica: i rischi e il dialogo Usa-CinaLe applicazioni dell’AI in campo militare sono vaste e alcuni Paesi, come la Cina, sono meglio posizionati di altri nella corsa agli armamenti intelligenti, ‘forti’ di un sistema di raccolta dati e di sorveglianza privo di stringenti limitazioni giuridiche e tutele della privacy. Tra riconoscimento facciale e tracciamento, le macchine belliche che si basano sull’intelligenza artificiale – soprattutto quelle autonome – possono rivoluzionare il mondo militare, ma i rischi sono numerosi. Si pensi all’utilizzo dei droni comandati da remoto o completamente automatizzati, in grado di riconoscere il proprio bersaglio grazie ai loro sistemi di computer vision e di prendere decisioni in assenza di una guida umana.Nonostante sia fondamentale lavorare allo sviluppo di sistemi di difesa che possano permettere alle democrazie occidentali di competere con Paesi come la Russia e la Cina, le simulazioni citate nello studio dimostrano che, allo stato attuale, l’AI non è pronta per prendere decisioni in autonomia su guerra e pace. Ma forse non dovrebbe mai poterlo fare.Al fine di scongiurare derive ed escalation, negli ultimi mesi del 2023, proprio i leader di Stati Uniti e Cina si sono incontrati per discutere della sicurezza dell’AI e di un eventuale bando dell’intelligenza artificiale nella gestione degli armamenti autonomi e nel controllo e dispiegamento delle armi nucleari. La stampa riportava l’imminente annuncio di un accordo in tal senso, ma, alla fine, Joe Biden e Xi Jinping non hanno siglato alcun documento. I due leader hanno però aperto il dialogo sul tema e già questo rappresenta un importante passo avanti.
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