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Il diritto al boh - Il PostOratorio Sacro Cuore di Gesù alla Cagnola - Oratorio Sacro Cuore di Gesù alla Cagnola COMMENTA E CONDIVIDI La sala dove ci portano Ilary,ETF Valentina, Camilla e Davide è il loro regno: l’aula degli animatori del Cre-Grest. Un tavolo centrale, una decina di sedie e un accumularsi di cartelloni, cancelleria, materiali. «Ci sono sempre così tante cose da preparare» dice Ilary, 15 anni. Siamo nella parrocchia del Sacro Cuore di Gesù alla Cagnola, Milano Nord-Ovest, per la terza tappa di Avvenire in oratorio, il percorso che sta coinvolgendo 7 oratori della diocesi ambrosiana per dare voce agli adolescenti. Lo schema è lo stesso delle altre occasioni: ci sediamo attorno a un tavolo e ascoltiamo le parole delle ragazze e dei ragazzi su sé, gli altri, gli adulti. Questa volta partiamo da un tema preciso: loro che frequentano l’oratorio, si considerano credenti? Ilary è la prima a rispondere: «Io sono totalmente atea. Non credo in niente, non vado a Messa» dice senza bisogno di pensarci nemmeno per un momento. Davide ci riflette un po’ e poi spiega che da bambino era molto coinvolto nelle attività legate alla Messa. «Ero addirittura arrivato a cantare nel coro della chiesa, ero un fenomeno - scherza il diciassettenne - Adesso vado a Messa molto meno, di solito partecipo quando andiamo come oratorio insieme agli altri ragazzi». Lo stesso per Camilla, 16 anni: «Non dico di essere atea, ma non baso il fatto di fare l’animatrice sull’avere fede o meno». «Non mi sono mai allontanata dall’oratorio ma crescendo mi sono staccata dalla parte più spirituale di questa esperienza» conclude poi Valentina. I motivi per cui stanno in oratorio, dunque, sono soprattutto altri. Il clima umano (« non lo troviamo da altre parti») e poi la voglia di stare con i bambini e in generale con le altre persone. L’oratorio è anche un «ambiente protetto», come spiega Camilla. «Qui è più facile fare amicizia, abbiamo tutti qualcosa in comune, ci capiamo. Ci si trova a lavorare insieme per uno stesso obiettivo e si collabora e quindi è più facile interagire anche per chi magari è nuovo».«Vorrei porre un problema relazionale che vedo tra noi ragazzi - aggiunge Davide - In generale noi puntiamo sempre a dimostrare di essere tutti uguali invece di essere unici. Si può vedere nel modo in cui ci vestiamo ma soprattutto nel modo in cui ci comportiamo, è come se indossassimo delle maschere. Ogni volta che cambiamo compagnia ci relazioniamo in modo diverso, facciamo di tutto per piacere e non essere presi di mira. È così finché non troviamo un vero gruppo in cui stiamo bene e non dobbiamo più dimostrare niente a nessuno. Per me l’oratorio è proprio questo, io qui posso mettere via l’orgoglio e riesco a stare bene con me e con gli altri. Alla fine sarebbe bello se tutti potessimo dimostrare di essere unici». Si parla di questo tra coetanei, magari a scuola o in altri contesti? « No - risponde ancora Davide - non ci sono momenti per parlare di argomenti importanti tra di noi. Negli unici momenti di pausa dalla scuola giustamente pensiamo a svagarci».Nelle classi degli intervistati, sono due o tre i coetanei che fanno gli animatori al Cre-Grest. «Diciamo che l’oratorio è una cosa che fa parte della Chiesa e se parli di queste cose con gli altri magari vieni vista come una persona diversa » dice Camilla. E Davide replica: «Sì, però poi quando qualcuno prova a venire in oratorio non va più via». Succede spesso? «C’è un grande ricambio di noi animatori. Qualcuno si aggiunge, qualcuno magari viene per un anno e poi va via, qualcuno arriva senza avere partecipato ad altri percorsi in oratorio». La seconda parte della nostra chiacchierata si concentra sulla fase di vita che loro come quindicenni, sedicenni, diciassettenni, stanno vivendo. Come vedono il mondo intorno a sé? Due considerazioni emergono più di altre: le persone sono sempre più «egoiste» e in giro c’è «tanto odio». «Vorrei che tutti fossimo più gentili e rispettosi e che capissimo che siamo parte dello stesso mondo e che conviene aiutarci a vicenda, non ostacolarci - dice Ilary - Faccio un esempio, gli anziani se la prendono con noi giovani e ci giudicano, ma sono loro che ci lasciano il mondo con tanti problemi, come la crisi climatica. Vorrei ci fosse più speranza». Tutti gli intervistati concordano sul fatto che «in base a quello che fa comodo, noi adolescenti veniamo trattati o come adulti o come bambini. Quando sbagliamo veniamo trattati da grandi, ma poi veniamo sottovalutati e gli adulti ci parlano come se avessimo quattro anni». Pesa il sentirsi giudicati, quando «se gli adulti raccontassero il loro passato, probabilmente scopriremmo che facevano cose peggiori rispetto a quelle che facciamo noi oggi». Valentina aggiunge che «i tempi sono cambiati. Penso ai ragazzi che viaggiavano in autostop al tempo dei miei genitori, i pericoli c’erano anche allora. Oggi sono diversi, ma noi sappiamo riconoscerli». Lo sguardo critico è anche verso i coetanei. Valentina, che è anche rappresentante del suo Istituto, porta la sua esperienza: «A scuola organizziamo alcuni eventi e ogni volta io devo stare a richiamare i miei compagni di classe perché arrivino nei tempi. Loro non si preoccupano perché pensano “tanto anche se sono in ritardo, sono solo io” ma il problema è che poi tutti fanno così. Vorrei si capisse che ciascuno fa la differenza, che siamo liberi di fare quello che vogliamo ma che le nostre azioni hanno una conseguenza e un effetto anche sulle altre persone». Ilary e Camilla aggiungono che gli adolescenti oggi sono «più spenti e riservati. Abbiamo paura di aprirci e rimaniamo chiusi nella nostra bolla».E che desideri ci sono, per il futuro? Risponde Camilla: «Vorrei avessimo il coraggio di buttarci di più nelle cose che vogliamo davvero senza stare sempre a fare confronti con gli altri. Nella vita saremo sempre giudicati per qualcosa, vorrei superassimo questa paura e ci sentissimo liberi di essere semplicemente chi siamo».© RIPRODUZIONE RISERVATA

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