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Tra i consiglieri eletti in Veneto anche due condannatiIl Garante delle persone private della libertà ha pubblicato un report sui suicidi in carcere: 79 da inizio anno,èrecordnegativocon MACD il numero più alto degli ultimi 10 anni, ancora più preoccupante visto che nello stesso arco temporale la popolazione dei detenuti è calata di 11.687 unità. Si tratta di detenuti tra i 26 e i 54 anni, 33 dei quali con fragilità personali o sociali Nelle carceri italiane si muore. Il Garante nazionale delle persone detenute ha realizzato uno studio sui suicidi nei penitenziari e ha reso noti i primi risultati, che fotografano un aumento record del fenomeno. Da gennaio a novembre 2022 i suicidi sono stati 79, di cui 74 uomini e 5 donne, ed è il numero più alto mai registrato negli ultimi dieci anni. Ma rischia di essere ancora più alto visto che si sono verificati anche altri 30 decessi per cause ancora non accertate. Il record negativo è ancora più preoccupante perché nel 2012 la popolazione carceraria era composta da 66.528 detenuti contro i 55.184 di oggi. Eppure i suicidi erano stati 56. Una cifra più o meno in linea con quella degli ultimi tre anni: 58 nel 2021, 62 nel 2020 e 54 nel 2019. Negli ultimi dieci anni si sono suicidate in carcere 583 persone. La metà di loro era in attesa di sentenza definitiva, quindi ancora con un processo pendente. . La relazione del Garante ci dice che dei 79 morti per suicidio 46 erno italiani e 33 stranieri. La fascia di età più colpita è quella tra i 26 e i 39 anni, con 33 suicidi. Subito dopo, con 28, quella tra i 40 e i 54. Infine, 9 sono i suicidi tra i 18 e i 25 anni, 6 tra i 55 e i 69 anni e 3 over settanta. Il più anziano aveva 83 anni, con un fine pena al 2030, e un reato che viene definito dall’amministrazione penitenziaria di «riprovazione sociale». Era in isolamento dovuto al Covid. La maggior parte di loro, 51 suicidi, era in carcere per reati contro il patrimonio (il 64 per cento). A far riflettere, tuttavia, è un elemento: quasi tutti i detenuti che si sono suicidati avevano già dato segnali di fragilità o vulnerabilità. 65 persone (pari all’82, per cento) erano coinvolte in altri eventi critici, mentre altre 26 (il 33 per cento) avevano precedentemente messo in atto almeno un tentativo di suicidio (in 7 casi addirittura più di un tentativo). Inoltre, 23 persone erano state sottoposte alla misura della “grande sorveglianza”, che si prevede per esigenze di trattamento a personalità “fragili”, e di queste 19 lo erano anche al momento del suicidio. Infine, 18 persone tra quelle che si sono tolte la vita – tutte di nazionalità straniera – risultavano senza fissa dimora al momento dell’ingresso in carcere. Dall’analisi è emerso un dato allarmante rispetto ai tempi in cui i suicidi si sono verificati. «Le condizioni della vita detentiva o la durata della pena ancora da scontare o della carcerazione preventiva non sembrano risultare determinanti», osserva il Garante, «troppo breve è stata in molti casi la permanenza all’interno del carcere, troppo frequenti i casi di persone che presto sarebbero uscite». Sembra quindi che «lo stigma percepito dall’essere approdati in carcere costituisca l’elemento cruciale», infatti la maggior parte dei suicidi si è verificata nei primi mesi di pena. L’elemento temporale Il 62 per cento del totale – 49 persone – si sono suicidate nei primi 6 mesi di detenzione (di cui 21 nei primi tre mesi, 15 entro i primi dieci giorni, 9 addirittura nelle prime ventiquattr’ore). Infine, 5 avrebbero completato la pena entro l’anno in corso e 39 una pena residua inferiore a 3 anni. Solo 4 avevano una pena residua superiore ai 3 anni e una soltanto aveva una pena residua superiore ai 10 anni. Il picco di suicidi, con 17 casi, è avvenuta nel mese di agosto in cui gran parte dell’attività carceraria si ferma. L’Autorità garante, guidata da Mauro Palma, parla di un quadro complessivo che «non può non preoccupare e interrogare, pur con la consapevolezza che la decisione di porre fine alla propria vita si fonda su un insieme di cause e di ragioni intimamente personali». Il dato particolarmente significativo è anche il fatto che quasi la metà dei suicidi non erano ancora stati condannati in via definitiva: 31 erano in attesa di primo giudizio e 7 erano in appello. L’altro dato eclatante riguarda il fatto che 11 suicidi erano affetti da patologie di tipo psichico. Gli istituti in cui i suicidi si sono verificati sono in tutto 54 (il 28,4 per cento del totale delle strutture penitenziarie), quelli dove ne sono avvenuti di più sono la casa circondariale di Foggia, con 5, Torino le Vallette e Milano San Vittore entrambi con 4. Questi numeri fanno emergere un dato: in Italia il tasso di suicidio tra i liberi è dello 0,6 per cento, quello dei detenuti condannati è del 7,9, mentre quello delle persone detenute in attesa di giudizio è del 19,1 per cento. Possibili interventi A fronte di questi dati, nella relazione del Garante, Palma propone tre possibili direzioni di intervento per affrontare il problema: l’immissione di figure di mediazione sociale e supporto all’interno degli istituti; ridurre la distanza che separa i detenuti dall’esterno, incrementando le possibilità di connessione con i propri affetti; la riduzione dei numeri dei detenuti, a partire dal dato che attualmente sono in carcere 1.492 persone con una pena da scontare inferiore a un anno e altre 2.608 con una pena da scontare compresa tra uno e due anni. All’origine di ogni intervento, però, c’è la necessità di «un discorso pubblico diverso sulla pena, riportato nel solco dell’utilità della funzione penale, dei suoi limiti e delle sue necessità in terni di qualità professionale e di capacità di allinearsi con la vita esterna», ha concluso Palma. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha fissato il carcere tra le priorità del suo incarico, scegliendo Poggioreale e Regina Coeli come meta della sua prima uscita ufficiale e ha approfondito le sue intenzioni illustrando le linee programmatiche del dicastero al Senato: in particolare, assunzioni alla polizia penitenziaria, edilizia carceraria, assistenza psico-fisica e per le tossicodipendenze ai detenuti in ingresso e diversa gestione tra detenuti in attesa di giudizio e definitivi. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediGiulia Merlo Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

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