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Nuovo decreto Covid, road map del ritorno alla normalità: tutte le date più importantiIl 3 maggio è la giornata mondiale della libertà di stampa,Economista Italiano ma c’è poco da festeggiare. Il clima è sempre più irrespirabile. La tendenza è globale, ma con Meloni in particolare le allerte crescono esponenzialmente Il clima si fa sempre più irrespirabile: arriviamo al trentesimo anniversario della giornata mondiale per la libertà di stampa sotto una cappa di allerte, di indici che schizzano in alto e di emergenze. Più i media si infragiliscono – perché peggiora il contesto economico, culturale e politico – più i giornalisti e la loro libertà finiscono sotto scacco. La tendenza è globale ed europea, ma Domani è in grado di certificare anche una “eccezione Meloni” che è sfuggita finora alle classifiche già pubblicate. Parlano i fatti: il numero di denunce di attacchi alla libertà di informazione registrate sulla piattaforma del Consiglio d’Europa è salito in modo impressionante. E di pari passo crescono i silenzi governativi. L’eccezione Meloni «Per l’Italia ho notato un incremento delle violazioni della libertà di stampa, e si tratta di fatti certificabili, denunciati puntualmente sulla piattaforma del Consiglio d’Europa», dice Ricardo Gutiérrez, il segretario della Federazione europea dei giornalisti (Efj). I numeri non possono non colpire: nel 2020 le denunce erano undici, altrettante l’anno successivo, e dieci nel 2022. Nel 2023, anno di pieno governo meloniano, soltanto nel primo trimestre sono stati registrati sulla piattaforma ben sei casi. Ma l’incremento è ancora più evidente se si aggiornano i dati ad oggi: ad aprile concluso, dunque neppure a metà anno, in un solo quadrimestre, i casi denunciati sono diventati già nove, quasi quanto quelli registrati nel corso di un intero anno pre Meloni. Dunque gli episodi simbolicamente più rilevanti – la premier che porta in tribunale i giornalisti, i carabinieri che sequestrano l’articolo di Domani sul sottosegretario Durigon – non sono casi isolati ma la punta dell’iceberg. E c’è di più: non è eccezionale solo il fenomeno ma anche la risposta data dalla politica. O più propriamente, la non risposta. «C’è un calo drastico dei feedback», prende atto Gutiérrez: fa riferimento al fatto che quando una denuncia compare sulla piattaforma, sarebbe compito del governo del paese in questione risponderne. «Ma di tutti i nove casi segnalati nell’èra Meloni, soltanto uno ha ricevuto una – pur rapida – risposta. Per il resto, silenzio. La mancanza di risposta significa anche mancanza di rispetto e di attenzione». Libertà sotto scacco Anche a Londra il governo conservatore si fa notare: che dire della ministra Suella Braverman, falco anti-rifugiati, che per il viaggio di stato in Ruanda ha voluto solo la stampa amica, tagliando fuori BBC e Guardian? Le derive liberticide dell’estrema destra si incastonano dentro un quadro in generale preoccupante. «Nel World Press Freedom Day, è allarmante vedere quanto crescono insicurezza, pressioni e intimidazioni subite dai giornalisti», dice Pier Luigi Parcu. Dirige il Centre for Media Pluralism and Media Freedom (Cmpf), il cui monitor annuale sul pluralismo è la bussola utilizzata da Bruxelles per stilare il suo rapporto sullo stato di diritto. In attesa che a fine giugno sia presentato il nuovo monitor, va ricordata la tendenza già registrata dal Cmpf: non esistono più isole felici. Già nel monitor 2022 l’unico paese che non risultava a rischio in fatto di pluralismo era la Germania. Tra i punti di maggiore vulnerabilità, le pessime condizioni di lavoro per i giornalisti, di pari passo con la riduzione della loro libertà: nel giro di un biennio, il livello di rischio è salito di dieci punti percentuali. Cosa si muove Nell’indice di Reporter senza frontiere – il World Press Freedom Index - pubblicato ieri e relativo al 2022 si segnalano le fibrillazioni continue: «In molti paesi le autorità sono sempre più aggressive verso i giornalisti, il che produce instabilità, assieme alla proliferazione dell’industria della disinformazione». In sette paesi su dieci, a livello globale, tira una brutta aria per l’informazione libera, e in Ue quella che ne esce peggio è la Grecia governata da Kyriakos Mitsotakis, sponsor di Meloni nel Ppe. L’Italia in questo indice globale è al 41esimo posto, dopo la Macedonia del Nord, il Montenegro e l’Argentina; non bisogna illudersi per l’apparente miglioramento (l’anno prima eravamo 58esimi) perché è relativo e non considera il 2023. Dovremo attendere il nuovo monitor Cmpf a fine giugno, per avere un’analisi mirata sull’Ue. Intanto Bruxelles, che ha competenze ristrette per quel che riguarda i media, sta provando a contrastare la deriva negativa, con due dossier: la legge anti slapp (querele temerarie) e quella per la libertà dei media. Guarda caso, la anti slapp law è stata boicottata dai governi in sede di Consiglio, e il Media Freedom Act è stato bersagliato anzitutto dai colossi dell’editoria tedeschi e poi a cascata persino nell’Europarlamento. Si è dovuta mobilitare una schiera di associazioni per la libertà dei media, inclusa la federazione europea dei giornalisti: la settimana scorsa ha scritto alla presidente della commissione Cultura del Parlamento Ue per chiedere di smetterla di «annacquare il Media Freedom Act» con un plotone di emendamenti. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediFrancesca De Benedetti Europea per vocazione. Ha lavorato a Repubblica e a La7, ha scritto (The Independent, MicroMega), ha fatto reportage (Brexit). Ora pensa al Domani.Short bio Twitter account
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