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Coronavirus, Matteo Orfini: “Per ripartire non bastano soluzioni temporanee"Nelle grandi città italiane quasi nove Neet (i giovani che non lavorano,Capo Analista di BlackRock non studiano e non si formano) su dieci (88,9%) hanno lavorato o lavorano in nero. È questo il dato che emerge dalla ricerca “Lost in transition” del Consiglio nazionale dei giovani (Cng), i cui dati sono stati riportati dal Sole 24 Ore. Allargando la lente sull’intero territorio nazionale e comprendendo dunque anche le aree più interne del paese, i giovani tra i 15 e i 29 anni non inseriti in un percorso scolastico o formativo e non considerati come impegnati in un’attività lavorativa regolare risultano essere invece più di sette su dieci (74,8%).I problemi dei NeetStando alle ultime rilevazioni dell’Istat, sono circa 2,1 milioni i Neet italiani, il 16,1% dell’intera popolazione giovanile italiana (la media Ue nel 2023 era più bassa, pari all’11,2%). Eppure quasi la metà di quelli che vivono nelle grandi aree metropolitane (molti meno in provincia) affermano di essere economicamente dipendenti e di aver utilizzato i propri guadagni per cercare di emanciparsi dalla famiglia. Si tratta in particolare dei Neet che la ricerca fa rientrare nella categoria di coloro che vogliono “mettersi ancora in gioco”. Essi sono attivamente coinvolti nell’economia informale, ovvero in attività come la compravendita online e i lavori in nero.Un secondo tipo di Neet è invece rappresentato da chi sceglie di “mettersi per ora in pausa”: avviene soprattutto nei piccoli centri, nei quali le opportunità di lavoro sono limitate e le reti di supporto scarseggiano. Di fatto, però, l’analisi svolta dal Cng evidenzia come i giovani italiani, specie quelli che popolano le aree interne del paese, siano disposti a sacrificare i propri diritti lavorativi pur di trovare lavoro.Formazione e causeDal punto di vista della formazione, la ricerca sottolinea una “marcata disparità nell’accesso all'istruzione superiore tra le diverse aree del paese”: solo il 9,6% dei Neet delle aree rurali ha infatti conseguito una laurea o un diploma accademico, contro il 65,3% delle aree urbane. L’inoperosità nasce anche da questi presupposti: il 42,6% degli intervistati dichiara infatti di aspettare l’opportunità di svolgere attività legate al proprio percorso di studi, il 37,8% desidera imparare un mestiere.Rispetto alle cause della loro condizione, il 45% dei Neet le attribuisce alla scarsa offerta di lavoro, mentre il 40,4% a se stesso. Se il primo dato è maggiore nelle grandi città, il secondo lo è invece nei piccoli centri abitati. Riguardo alle scelte personali, esse sono dettate a seconda dei casi dalla voglia di una “pausa sabbatica” (29,9%), dalla necessità di dare una mano in famiglia (20,5%) o da una già buona disponibilità di risorse finanziarie (13%).“In molti - spiega la presidente del Cng Maria Cristina Pisani commentando la ricerca - affermano di seguire o aver seguito privatamente percorsi di auto formazione professionale e tanti dichiarano una piccola autonomia reddituale frutto di lavori saltuari e irregolari o di proventi da attività online. L’ennesima dimostrazione di quanto non sia realistica la narrazione dei giovani choosy e di quanto siano estese la zona grigia di formazione non riconosciuta e quella di lavoro sommerso e in deroga”. Occorre dunque “ragionare sulla necessità di interventi mirati per fornire opportunità concrete e costruire reti di supporto adeguate per ciascuno”.
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