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Il mistero sulla morte di Montagnier, Paragone dice addio al professore sui socialFinanzaLa mossa della Bank of Japan e l’effetto farfalla sui mercatiL’improvvisa decisione dell’istituto nipponico di alzare i tassi d’interesse ha causato l’attuale fase di turbolenze sulle Borse© CdT/Gabriele Putzu Dimitri Loringett08.08.2024 21:01Armiamoci di pazienza,analisi tecnica il saliscendi sui mercati finanziari continuerà ancora per un po’ di tempo. L’inizio delle turbolenze risale allo scorso mercoledì 31 luglio, quando la Bank of Japan (BoJ) ha deciso di alzare il tasso d’interesse di riferimento dello yen attorno allo 0,25%, una mossa in sé attesa da tempo (ricordiamo che la BoJ aveva già alzato i tassi in marzo, allo 0,1%, ponendo oltretutto fine al lungo periodo di tassi a zero in Giappone), che ha però spiazzato gli operatori e che ha provocato significativi ribassi su praticamente tutti i listini azionari mondiali, in particolare quello di Tokyo che nel giro di pochi giorni è sceso del 20%, azzerando di fatto i guadagni dell’anno (ieri ha recuperato circa la metà delle perdite, comunque). Ma che cosa c’entra questo con i «sell-off» delle Borse in Occidente? E soprattutto, perché uno degli «effetti farfalla» più preoccupanti - per la Svizzera almeno - è il rafforzamento del franco?Il «carry trade» allo scopertoIniziamo col precisare che le operazioni finanziarie che sono solitamente redditizie solo durante i periodi di relativa «stabilità» (cioè di bassa volatilità) vengono «esposte» quando la volatilità aumenta, specie quando l’aumento è improvviso e marcato (v. grafico). Fra queste, ci sono quelle legate al famoso «carry trade» sul mercato delle valute, considerato da molti osservatori come il fattore centrale delle oscillazioni che stanno caratterizzando i mercati in questi giorni. Si tratta di una classica operazione di «arbitraggio» (o speculazione) consistente nel prendere a prestito denaro in Paesi con valute generalmente stabili e tassi di interesse più bassi (come il Giappone, appunto, ma anche la Svizzera), cambiarlo in una valuta di un altro Paese con i tassi più alti e investirlo in attività più redditizie (per esempio in titoli di Stato americani o azioni). Le operazioni di arbitraggio sono certamente legittime (e in un certo senso servono anche a mantenere «fluidi» i mercati), ma sono anche rischiose: quelle di carry trade, infatti, sono spesso collegate a investimenti cosiddetti «in leva». Per cui basta sbagliare il «timing», oppure farsi sorprendere da decisioni improvvise come quella della BoJ (o come quelle ancora più clamorose della Banca nazionale svizzera che nel 2011 e nel 2015 introdusse e, rispettivamente, abolì la soglia di cambio del franco con l’euro), perché l’uscita da simili operazioni – il cosiddetto «unwind» – prenda la forma di una «corsa agli sportelli», provocando così un tipico effetto valanga.Ma qual è la dimensione del carry trade sullo yen giapponese? La risposta: non si sa, almeno non con certezza. Una stima l’ha fornita in questi giorni al «Financial Times» un’analista di UBS, secondo cui le posizioni cumulative di carry trade fra dollaro e yen dal 2011 a oggi ammonterebbero a circa 500 miliardi di dollari, di cui circa la metà sarebbe relativa agli ultimi due o tre anni. L’analista di UBS ha inoltre stimato che nelle ultime settimane (quindi ancora prima della decisione della BoJ, segno che la mossa era comunque nell’aria) circa 200 miliardi di dollari di queste posizioni sono state chiuse. Stando invece alla Banca dei regolamenti internazionali (BIS) di Basilea, i prestiti «cross-border» in yen - non tutti necessariamente legati al carry trade, si precisa - sono aumentati di 742 miliardi di dollari dalla fine del 2021. Secondo l’analisi della banca ING, infine, a fine marzo di quest’anno i prestiti transfrontalieri originati in Giappone avevano raggiunto la cifra di mille miliardi di dollari, con un aumento del 21% rispetto al 2021. Insomma, fintanto che queste posizioni non saranno «srotolate», i mercati finanziari rischiano di restare volatili ancora per qualche tempo.Il franco non solo bene rifugioCome detto, anche il franco svizzero è una delle valute usate dai traders per il carry trade, sebbene in misura più contenuta, data la minore disponibilità di franchi nel mercato rispetto a quella dello yen. «Contrariamente alla popolare narrazione - spiega al CdT Antonio Foglia, membro di Cda e azionista della Banca del Ceresio - il forte rafforzamento della valuta elvetica di questi giorni (ieri si è nuovamente apprezzata contro euro a quota 0,9355 e contro dollaro a 0,8560, ndr) non è dovuto alla fuga verso ciò che viene considerato un bene rifugio, bensì proprio alla ricopertura di posizioni ribassiste. Gli operatori in leva, come gli hedge fund (ma non solo) amano finanziarsi indebitandosi nelle monete a bassi tassi d’interesse e quindi anche in franchi svizzeri, puntando sui tassi in progressivo ribasso e su un conseguente indebolimento del franco. Di fronte a un’ondata di decisioni «risk off» (volte cioè a ridurre o chiudere le speculazioni in leva (come appunto il carry trade, ndr), gli operatori hanno chiuso le loro posizioni ribassiste sul franco svizzero, ricomprandolo e facendolo quindi apprezzare insieme ad altre monete come lo yen o il renminbi in cui pure tendevano a finanziarsi».
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