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Non chiamatelo Papeete, la crisi di governo è un papocchio che fa arrabbiare i cittadiniIl dato statistico dimostra non l’inutilità del reato di abuso d’ufficio,analisi tecnica ma al contrario gli imponenti effetti della riforma disposta nel 2020, tesa a evitare – a causa dell’eccessiva indeterminatezza della previgente norma – la denunciata paralisi dell’attività pubblica «Nel 2021 sono stati definiti 5.418 procedimenti per abuso d’ufficio davanti alle sezioni Gip/Gup dei tribunali. Le condanne sono state nove, a cui si aggiungono 35 sentenze di patteggiamento». È così che i sindaci italiani hanno convinto addirittura il Ministro Nordio a impegnarsi per abrogare l’art. 323 c.p., che prevede il delitto di abuso d’ufficio. L’argomento non è soltanto fallace, perché è soprattutto dialetticamente suicida. Ben vero, accogliendo proprio le istanze dei pubblici amministratori, l’art. 23 del D.L. n. 76/ 2020 (conv. con L. n. 120/ 2020), ha ristretto ulteriormente gli spazi applicativi dell’art. 323 c.p., prevedendo – a far tempo dal 17-7-2020 - che sia penalmente rilevante soltanto la violazione "di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità". Tale imponente modifica restrittiva ha perciò inevitabilmente prodotto, ai sensi dell’art. 2 c.p., un ingente numero di archiviazioni, proscioglimenti e assoluzioni, travolgendo anche le sentenze irrevocabili di condanna. Il riferito dato statistico dimostra dunque non l’inutilità del reato di abuso d’ufficio, ma – al contrario - gli imponenti effetti della riforma disposta nel 2020, tesa a evitare – a causa dell’eccessiva indeterminatezza della previgente norma – la denunciata paralisi dell’attività pubblica. Per conseguenza, rivelatasi estremamente efficace tale riforma proprio nel senso voluto dai sindaci («funzionari pubblici: basta paura»), resta immotivata proprio l’esigenza dell’invocata abrogazione. Ma quali ne sarebbero gli effetti concreti? Aiuta l’analisi casistica. È noto che alla magistratura si accede per pubblico concorso (artt. 97, 4° e 106, 1° Cost.) e che, per effetto dello scandalo Palamara (i cui correi sono rimasti impuniti), i commissari chiamati a giudicare le prove dei candidati sono estratti a sorte tra i magistrati ordinari. Ebbene, si ipotizzi in primo luogo che resti dimostrato - al di là di ogni ragionevole dubbio - che il commissario Bianchi abbia rivelato con congruo anticipo al candidato Rossi le tracce delle prove scritte, previo accertato pagamento di una somma di denaro: viene in rilievo il reato di corruzione (primo caso). Immaginiamo invece che, a fronte della illegittima rivelazione di Bianchi (espressamente vietata da disposizioni vincolanti di legge), non sia dimostrato alcun pagamento in suo favore. Viene in rilievo questa volta il vigente art. 323 c.p., (prima fattispecie), e il commissario sarà sanzionato, qualora Rossi sia nominato vincitore, giacché l’attività illecita di Bianchi ha provocato un ingiusto vantaggio anche patrimoniale a Rossi e determinato un ingiusto danno al primo dei non eletti (secondo caso). Infine ipotizziamo che partecipi al medesimo concorso il figlio del commissario Bianchi che, omettendo di denunciare il conflitto d’interesse, proceda personalmente al suo esame orale. Ai sensi del vigente art. 323 c.p., non scaturisce alcuna conseguenza penale per il commissario se il figlio venga bocciato. Ma se invece risulta vittorioso, il conflitto d’interesse rileva penalmente perché ha provocato un ingiusto vantaggio patrimoniale al figlio e un danno ingiusto al primo dei non eletti (terzo caso). L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio comporterebbe che nel secondo (già verificatosi in concreto e registrato dalla stampa) e terzo caso il commissario Bianchi non sarebbe penalmente sanzionabile, neppure se la sua condotta fosse anteriore all’abrogazione stessa. É questo che vogliono i sindaci italiani e il Ministro Nordio? E allora a che gioverebbe l’avere previsto l’estrazione a sorte dei commissari del concorso? Una precisazione finale. Lo scrivente ammette di essere un magistrato ordinario in pensione. Come tale, ma anche come cittadino informato dei fatti, difende (sia come persona sia come socio dell’Anm) il diritto di esprimere il proprio avviso sulla proposta di abolizione del reato di abuso d’ufficio. E lo fa non contro i sindaci e tampoco contro il Ministro, ma soltanto perché siano penalmente sanzionati (anche) i magistrati che si rendano autori di così gravi condotte, in sfregio agli artt. 54 e 97 Cost. Al pari degli altri concorsi, anche quello per l’accesso alla Magistratura ordinaria è un procedimento estremamente serio; e lo deve restare. Se questa – come opina il Ministro Nordio – è una abusiva interferenza, il sottoscritto la rivendica. Questo articolo è un contributo alla newsletter di giustizia “In contraddittorio”, che esce ogni venerdì e a cui ci si può iscrivere a questo link: https://t.co/tEJlQrK2xQ © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediRosario Russo

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