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Il Vaticano ha scomunicato monsignor Carlo Maria ViganòVictor Salvi tra le sue creazioni - Salvi Harps COMMENTA E CONDIVIDI Lo scrittore e poeta Biagio Russo,trading a breve termine già presidente della Fondazione Sinisgalli di Montemurro, racconta la vita e le fortune di Victor Salvi, costruttore di arpe, nel romanzo Victor Salvi il signore delle arpe. Da Venezia a Viggiano. Da Chicago a Piasco (pagine 92, euro 20,00) pubblicato da Lavieri editore in Villa d’Agri e riccamente illustrato dai pastelli di Erika De Pietri che ricordano le tavole di Walter Molino. Siamo in una sera del 10 maggio 2015 e il novantacinquenne Victor, seduto nel museo dell’arpa di Piasco, in Piemonte, accetta di rispondere all’intervista di uno scrittore. In questo modo Victor potrà dare uno sguardo alla propria esistenza. E comincia a raccontare la fortuna di alcune sue arpe che hanno fatto da “attrici” in altrettanti film. Il più fortunato è stato uno strumento che ha partecipato nel 1998 al film di Roland Emmerich in cui protagonista è stato Mel Gibson, The patriot. Nel film Gibson si porta ad armacollo una piccola arpa portatile. Una rarissima arpa viggianese della metà dell’800 che Victor ha rintracciato in un negozio di antiquariato a Chicago, città dove l’arpista è nato da genitori emigrati. Con la voce di Victor che racconta le proprie vicende, Biagio Russo approfitta per chiosare la storia degli strumenti mostrando grande abilità di ricerca e finezza di scrittura. La narrazione parte da un articolo del 1834 dove per la prima volta si descrivono le qualità degli arpisti viggianesi. Si tratta di braccianti e contadini che a fine raccolto partivano con le loro arpe portative, raggiungevano Napoli e tenevano concerti per strada e nelle locande. C’erano con loro suonatori di tamburo, di triangolo, di violino. l’arpa viggianese conservata al Museo dell’arpa “Victor Salvi” di Piasco (Cuneo) - Pino Dell'Aquila/Museo dell’arpa “Victor Salvi”E queste postegge si facevano apprezzare dappertutto, tant’è che il poeta Regaldi trasse un bellissimo racconto. Nessuno di questi musicanti aveva studiato musica, ma suonavano a orecchio. Pietro Paolo Parzanese scrisse dei versi che stigmatizzano la qualità dei musici: “Ho l’arpa al collo son viggianese / tutta la terra è il mio paese”. Il poeta romantico Nicola Sole inviò invece una sua poesia a tema gli arpisti a Giuseppe Verdi, perché la musicasse. Verdi gli diede ascolto ma la musicò solo quando il poeta di Senise era già morto. C’erano musicanti di Viggiano che avevano bisogno di ragazzi che li accompagnassero con strumenti, e li prendevano come assistenti in fitto. Hector Malot racconta in Senza famiglia la storia di un bambino Remì che impara da un italiano, un certo Vitali, a suonare l’arpa e gira per il mondo accattonando. Victor continua col raccontare la vita di suo padre, Rodolfo Salvi, nato a Venezia nel 1865. Rodolfo eredita dai genitori un negozio di strumenti e di liuti. Nella bottega venivano grandi musicisti da Berlino e da Vienna, come Wagner e Franz Liszt, e arpisti da Napoli e da Viggiano lucana. Costoro gli parlavano della loro tradizione di viaggiatori e musicisti girovaghi e tra i musicanti vi approdò un maestro viggianese, Giuseppe De Cunto, il quale magnificò l’arte e la fortuna musicale di un paese della Lucania vicino a Potenza. Roberto sposò intanto Livia, una donna che si ammalò di tubercolosi. Il venditore di strumenti musicali decise di lasciare una città così umida e di raggiungere il sud e la musicale Viggiano, dove conobbe un grande artigiano, Vincenzo Battista, che si era fatto un buon nome nel napoletano e che cominciò a costruire arpe per il venditore veneziano. Purtroppo Livia non si riprese e morì nel gennaio 1899, a trent’anni. Due anni dopo Roberto Salvi sposò la viggianese Apollonia Paoliello, da cui ebbe quattro figli. I Paoliello erano una famiglia di musicisti ma con l’ingresso nel XX secolo la Lucania si ritrovò in una miseria spaventosa e si aprì la triste strada dell’emigrazione verso l’America. Anche Roberto decise di partire. Trovò lavoro a Chicago e aprì una bottega di arpe. Nel 1920 nacque Victor, che apprese lezioni di musica dalla sorella Aida e che divenne prima musicante girovago e poi grande artista diretto persino da Toscanini. A metà anni cinquanta compie il salto e decide di farsi costruttore di arpe. Da musicista e imprenditore nel 1956 visitò Londra e in Italia Genova, Torino e la casa paterna a Viggiano, dove nel 2006 ebbe la cittadinanza onoraria, oltre ad onorificenze a Chateauneuf e Piasco, dove la Salvi Harps si trova dal 1974. Ma anche a Londra e a New York. Fu un articolo del “New York Times” che lanciò la sua piccola azienda che divenne successivamente la più grande del mondo, con filiali in Svizzera, Inghilterra, Italia e Stati Uniti. Victor e il fratello Alberto da solisti girarono il mondo intero, e si esibirono nei maggiori teatri, pubblicando oltre 40 dischi con la Decca e la Victor. Durante uno dei suoi ritorni a Viggiano Victor ha modo di ascoltare un concerto tenuto da un contadino che non conosceva la musica, Rocco Rossetti, un giovane dalle mani callose e grandi. Gli ricordò suo padre, gli arpisti girovaghi e si commosse. Le sue arpe erano ormai fitte di innovazioni. La Salvi Harps è l’azienda costruttrice di arpe più grande che esista al mondo. Victor intanto sposò Julia, con cui fece visita privata al principe Carlo d’Inghilterra nel 2006. Lo stesso anno in cui fu inaugurato il Museo dell’Arpa in Piemonte, a Piasco, nel cuneese, dove Victor Salvi fu sepolto dopo la morte avvenuta a Milano il 10 maggio 2015.
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