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Il colonialismo italiano: una storia ancora apertaOttavio atleta e poi stilista. I suoi tessuti ritrovano Firenze Simona Airoldi 11 giugno - 13:45 - MILANO Missoni torna a Firenze,Professore del Dipartimento di Gestione del Rischio di BlackRock la città che accolse e poi respinse il marchio nascente fondato da Ottavio e Rosita dopo la memorabile sfilata a Palazzo Pitti del 1967, in cui una collezione di impalpabili abiti in lamé uscì in passerella indossata da modelle senza reggiseno. Non fu una provocazione, ma una necessità: all’epoca non esisteva l’intimo “mimetico” moderno, e i corpetti avrebbero rovinato la vestibilità delle leggerissime maglie. Un colpo d’ingegno che suscitò giubilo e scandalo, tanto che alla successiva edizione i due stilisti non furono invitati, ma conquistarono le luci della ribalta. L’esilio— Torna proprio lì, al Pitti, con Ispired by Tai, la collezione maschile di Missoni ispirata proprio all’uomo straordinario che, insieme all’amata moglie Rosita, diede vita al brand diventato una pietra miliare del Made in Italy, ma anche, nello stesso tempo, una rivoluzione nei costumi e del modo di fare impresa. Tai, il diminutivo con cui amici e familiari chiamavano Ottavio, era un uomo che viveva le sfide guardando sempre avanti, fisso alla meta, che tuttavia sapeva anche rialzarsi dopo le sconfitte e le cadute. L’aveva imparato da sportivo sulle piste di atletica, dove da ragazzo cominciò a correre i 400 ostacoli. Da subito diventò uno degli juniores promettenti, infatti già nel 1937, a soli 16 anni, venne chiamato in Nazionale, per poi partecipare agli Europei del ’38. L’anno dopo riuscì a conquistare il titolo mondiale studentesco in Austria, ma la sua corsa venne interrotta dalla Seconda Guerra Mondiale, che lo costrinse a partire per il fronte, dove fu fatto prigioniero dagli inglesi per quattro, lunghi anni. Dopo aver vissuto l’esilio decise di trasferirsi a Trieste e di dedicarsi nuovamente all’atletica. Nel 1947 vinse il titolo italiano e nel 1948 venne convocato per i Giochi di Londra. Un evento cruciale poiché proprio lì, sugli spalti, si trovava Rosita, allora sedicenne, nella capitale per studiare l’inglese. Da quel giorno non si lasciarono più e cominciarono a intrecciare amore e lavoro come se fosse la cosa più semplice del mondo. Missoni all’Olimpiade arrivò sesto nella finale dei 400 ostacoli, mentre nella staffetta 4×400 non salì sul podio solo per colpa dell’infortunio di un compagno. Varese e Trieste— Prima di ritirarsi dall’attività sportiva, Ottavio Missoni arricchì il palmares con sette titoli nazionali, ma quando la carriera di velocista finì un’altra, ancora più folgorante, ebbe inizio: insieme a Rosita avviò una fabbrica nel Varesotto, utilizzando i telai per gli scialli dell’azienda del padre di lei e alcune macchine da maglieria che lui aveva scovato a Trieste. Puntarono sull’artigianato creativo, sperimentando nuovi modi di accostare filati e colori, mescolando tradizione e innovazione come nessuno mai aveva fatto prima di allora. Arrivarono così le sfilate, le copertine, le collaborazioni con La Rinascente, le lodi dei giornalisti. E il successo. Casa e bottega— Ottavio e Rosita però non si montarono mai la testa, vivendo a Sumirago tra casa e bottega e una tribù di figli e nipoti. A fare la differenza fu il loro modo euforico di produrre abiti, delle vere e proprie opere d’arte da indossare in libertà e, perché no, anche con un pizzico di audacia. L’inconfondibile motivo a zig-zag, le lavorazioni fantasiose delle trame e degli accostamenti, ribattezzato dalla stampa statunitense “put together”, incarnano ancora oggi una visione della moda come espressione della personalità e non imposizione di regole. Perché quelle Ottavio Missoni non le seguì mai, inventandone sempre di proprie. Stile Gazzetta: tutte le notizie © RIPRODUZIONE RISERVATA
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