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Il caso Ruberti finisce in procuraIl ministro ha detto che «il governo non ha intenzione di abrogare il reato», madicelestessecosedi FdI MACD apparentemente contraddicendo l’iniziativa del partito che lo ha eletto. Ha aggiunto che però andranno fatte correzioni tecniche: renderlo a dolo specifico e separarlo da quello di “trattamenti inumani”. Gli stessi argomenti usati da FdI nella sua proposta di abrogazione Fratelli d’Italia e il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, fanno il gioco delle tre carte con il reato di tortura. Apparentemente, il guardasigilli e il partito che lo ha eletto sono in aperto contrasto. FdI, infatti, ha presentato un disegno di legge per abrogare gli articoli 613 bis e ter del codice penale, ovvero il reato di tortura e di istigazione alla tortura, trasformandole in una semplice aggravante, che prevede l’aumento fino a un terzo della pena. Il ministro, invece, ha risposto al question time del Pd dicendo che «senza se e senza ma, il governo non ha intenzione di abrogare il reato di tortura», sia per ragioni di «ottemperanza a norme internazionali» che di «coerenza». Tuttavia, ha aggiunto, «vi sono aspetti tecnici da rimodulare», perchè l’attuale formulazione del reato «ha delle carenze tecniche di specificità e tipicità». Proprio in questo corollario solo apparentemente secondario si nasconde invece l’elemento determinante. Nordio dice le stesse cose di FdI Il ministro, infatti, ha detto che, per ottemperare alla previsione della convenzione di New York, il reato di tortura dovrebbe essere «circoscritto al dolo specifico» e quindi prevedere che un comportamento sia tortura solo se ha «finalità di ottenere confessioni, punire o intimidire». Invece, nella sua formulazione attuale, il reato è a cosiddetto dolo generico, perchè punisce chiunque provochi acute sofferenze fisiche o un trauma psichico a chi è privato della libertà personale o è affidato alla sua custodia. Secondo Nordio, l’assenza di dolo specifico «ha eliminato il tratto distintivo della tortura, rendendo concreto il rischio di vedere applicata questa disposizione in caso di casi leciti di tutela dell’ordine pubblico». Ha aggiunto poi che bisognerebbe separare i reati di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, che sono distinti sul piano del diritto internazionale e hanno una offensività diversa. Nordio ha concluso minimizzando, dicendo che si tratta di «questioni tecniche, ma il reato rimarrà».Peccato che esattamente queste stesse argomentazioni siano usate anche dai depositari del progetto di legge di Fratelli d’Italia che punta ad abrogarlo. Nel progetto di legge, infatti, si legge che la Convenzione contro la tortura prevede che si tratti di «un reato proprio», circoscrivendo le condotte a quelle «per raggiungere le finalità di ottenere informazioni o confessioni, punire, intimidire, discriminare». Quindi, «il nostro legislatore ha eliminato il tratto distintivo della tortura rispetto agli altri maltrattamenti rendendo concreto il rischio di vedere applicata la disposizione nei casi di sofferenze provocate durante operazioni lecite di ordine pubblico e di polizia». Anche la seconda argomentazione utilizzata da Nordio – l’unione del reato di tortura e di trattamenti inumani e degradanti – viene ripresa in modo identico dai firmatari, che parlano di «inopportuna fusione in un'unica fattispecie». Le argomentazioni sono sostanzialmente le stesse utilizzate da Nordio per rispondere al question time.  A cambiare è solo la conclusione del ragionamento. Il ministro la lascia sospesa limitandosi a un proclama generico di intoccabilità del reato. FdI ha invece esplicitato l’obiettivo: abrogare i due reati autonomi, che secondo loro hanno una pena «chiaramente sproporzionata. Duque, «per tutelare adeguatamente l'onorabilità e l'immagine delle Forze di polizia», è sufficiente introdurre una nuova aggravante comune, da sommare ai reati di percosse, lesioni personali, sequestro di persona e tutte le norme repressive simili. L’ambiguità della posizione di Nordio viene usata in chiave politica da entrambi i lati dell’emiciclo. Le opposizioni hanno fatto leva soprattutto le prime parole di Nordio, che ha assicurato che il reato non verrà abrogato. «Chiarisca con FdI che il reato rimane», è la richiesta della dem Debora Serracchiani, e anche Ivan Scalfarotto del terzo polo ha chiesto che il progetto di legge «venga ritirato». Il capogruppo di FdI, Tommaso Foti, invece, ha fatto valere l’inciso successivo sui correttivi, dicendo che «quanto dichiarato dal ministro Nordio è esattamente in linea con quanto sostenuto da FdI». Il rischio Se il progetto di legge venisse approvato, dunque, il risultato sarebbe quello di ridurre in modo sostanziale le pene per le forze dell’ordine. Il reato di tortura, nel suo caso meno grave, è punito con una pena che va dai 4 ai 10 anni. Nel caso in cui la stessa condotta si tramutasse nel reato di percosse (reclusione fino a 6 mesi) o lesioni personali (da 6 mesi a 3 anni), anche con l’aggravante la pena quasi certamente non supererebbe l’anno. Inoltre, l’aggravante generica può venire compensata con una attenuante e quindi non produrre aumenti di pena. Non solo. Abrogare il reato significa anche inficiare l’esito di processi in corso, uno su tutti quello contro i pestaggi ai danni dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, per cui a quasi metà dei 105 agenti imputati viene contestato proprio il reato di tortura. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediGiulia Merlo Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

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